una famiglia nella tempesta perfetta, la crisi economica lascia senza lavoro il pater familias, il figlio grande parte a fare la guerra, pensando a una missione di pace, il figlio piccolo ha un sogno nascosto, la moglie e madre è impotente davanti agli eventi.
un dramma nel dramma costringe tutti a guardare la realtà in faccia e a essere indulgenti, con difficoltà, certo, ma anche il padre, sopratutto il padre, che intanto pulisce i cessi di un centro commerciale, fa un bagno di realtà e di umiltà senza pari.
un film grandissimo, cercatelo e godetene tutti - Ismaele
Kiyoshi Kurosawa è regista che in
passato si era messo in evidenza soprattutto nel campo dell'horror. Qui si
cimenta invece col terrore reale, tangibile della società e delle paure che
vivono in noi. E riesce a dipingere un ritratto talmente accurato della
middle-class giapponese odierna che se non fosse supportato da un copione
decente “Tokyo Sonata” risulterebbe comunque un buon film, quanto meno da
un punto di vista strettamente sociologico. Ma il buon copione c'è. Ne
vien fuori un'eccellente opera che insegna senza annoiare. Presentato a Cannes
2008, vinse il premio della giuria. Fortemente consigliato.
…Kurosawa osserva la
famiglia con amore, forse, con comprensione, magari, ma con ben poca
compassione, privilegiando la camera fissa per denudarne le fragilità: a volte
il tavolo da pranzo, unica occasione di (finta) riconciliazione, è addirittura
inquadrato dall'esterno, mediato da un vetro e da riflessi che dicono più di
mille parole su quel che avverrà di lì a breve. Straordinaria la prova
attoriale di Teruyuki Kagawa, calato perfettamente nel ruolo fantozziano del
protagonista, incapace di liberarsi persino nel momento di massima ira, quando,
seppur armato di bastone e con intento distruttivo, non rinuncia a sistemarsi
goffamente il borsello, residuo di una divisa che per lungo tempo ha
significato "classe media" e un determinato inquadramento sociale.
Prima che lo tsunami della crisi rimettesse tutto in discussione, giocando con
i destini di piccoli uomini indifesi come lui.
…questo film non è la storia di un personaggio ma di una
famiglia: la moglie anche lei vittima di alienazione dall'essere casalinga
cerca di tenere unita la famiglia con il figlio grande che vuole partire per
fare il militare di professione in America(contro il parere dei genitori) e
l'altro figlio più piccolo che vuole studiare pianoforte anche lui contro il
volere del padre.Se nella
prima parte letteralmente incastonata in scenari urbani degradati, insistiti
piani sequenza in campo lungo per seguire il protagonista, interni familiari
carichi di silenzi e di significati, la seconda parte proprio perchè sente
l'urgenza di raccontare gli altri componenti della famiglia perde di
compattezza soprattutto nel racconto delle vicende della donna che viene rapita
da un disperato venuto a rapinare casa per pochi spiccioli(che non trova).La
sua fuga per un attimo le fa prendere consapevolezza del vuoto che la sta
attanagliando ma anche della volontà ferrea di non perdere quello che ha
ottenuto. E' venuto il tempo di ufficializzare la nuova situazione: dopo varie
vicissitudini(e per narrarle il film assume un ritmo che non aveva prima con
tanti avvenimenti compressi in pochi minuti)la famiglia si ritrova a tavola
come per voler consumare un rituale. Ognuno con il suo ruolo nuovo ormai noto
anche agli altri componenti della famiglia. Dopo l'apparente implosione, la
restaurazione di un nuovo ordine, un nuovo modo di relazionarsi non più
improntato al grigiore. Esemplare anche il modo in cui Kurosawa sceglie di
terminare: quasi a simboleggiare l'uscita di scena da una rappresentazione
teatrale dei personaggi principali. Forse tutto quello che abbiamo visto
in due ore abbondanti non è stato reale ma solo una rappresentazione. Forse quello
che ci vuole consegnare il film è un messaggio di ottimismo, di speranza nei
nuovi virgulti che possano trarre dalle secche la vetusta società nipponica
incagliata in rituali millenari assolutamente obsoleti. E questo è già uno
scarto in positivo rispetto ai finali di Kyua e Kairo(Pulse) che
terminavano con un apocalisse incombente. Certo quelli erano horror ma lo
sguardo su una società apparentemente cinica come quella nipponica era lo stesso. Ma, indipendentemente dal
genere credo che il pensiero di Kurosawa sul Giappone di oggi sia stato
costantemente affermato in ogni suo film. Chissà dopo una carriera trentennale, a 55
anni compiuti anche lui sta cercando di guardare quello che lo circonda con più
comprensione....
…Lo que media entre los dos primeros planos de Tokyo
Sonata, ya comentados, y aquel que cierra la película —la salida de los
personajes de la sala de conciertos—, es el tránsito entre la intuición vaga de
otro mundo, y el desvanecimiento de Megumi, Ryūhei y Kenji en este. No resulta
baladí que la música, es decir, la expresión artística, sea la que abra las
puertas a esta fuga —sentimental, existencial— de padres e hijo hacia un
territorio que se resiste a ser delineado por nuestra psique. El papel que
juega el Claro de luna de Claude Debussy en Tokyo
Sonata revela que estamos ante una de las producciones más
rotundamente metacreativas de Kurosawa: ¿no es acaso el arte el único medio
susceptible de abrir, siquiera por un instante, la rendija que nos permite
vislumbrar ignotos grados metafísicos del ser por los que sentimos, tan a
menudo, esa extraña añoranza que suscita lo no vivido? Al final del filme, la
familia ya pertenece a una realidad que no es la que habitamos, y hacia esta
nos giramos, desconcertados y conmovidos, como los asistentes al concierto.
…Passare dall’horror a sfondo sociale di tutti i suoi film
precedenti al terrore soffocante che risiede all'interno di una famiglia del
ceto medio su cui si abbatte il dramma della disoccupazione è cosa che a Kurosawa Kiyoshi riesce magnificamente.
Tutti gli stilemi del suo cinema sono rispettati, le ellissi e
la suspense, campi larghi e lenti movimenti di camera, lo
sguardo diretto sul lato nascosto delle cose, là dove incombono la tragedia,
l’enigma e l’incomprensibile coperti da paradigmi di ordine e regolarità.
Il brusco capovolgimento di scena che dal quadretto rassicurante di
una vita tranquilla si trasforma in un vortice che risucchia tutti trascinando
sul fondo appartiene a quell’orrore del quotidiano che non appare, non ha
bisogno che la temperatura emotiva dello spettatore si alzi, circospetto e
insinuante come una serpe toglie dal basso ogni sorta di radicamento al terreno
sicuro del reale.
Quello che appare, allora, è uno scenario apocalittico dove tutto
continua a scorrere nei binari consueti, come quei treni che passano e
ripassano con i loro finestrini ciechi.
Siamo a Ozu, il primo
passo di ogni cineasta giapponese che si rispetti.
E la prima scena di Tokyo sonata è
in perfetto stile Ozu.
Un vento leggero muove la tenda, entra un po’ di pioggia a bagnare il
pavimento, la madre corre ad asciugare con passo leggero e
la macchina è posta “ad altezza di tatami”.
L’interno dell’appartamento della famiglia Sasaki è sobrio, gli spazi
cubici, i pasti silenziosi e le ciotoline variegate, marito e figli alla fine
ringraziano educatamente la madre per la cena.
Fuori c’è Tokyo, sempre lei, la città per antonomasia, quella
dei salary men e della yakuza, delle madri di famiglia
silenziose e docili e dei figli che scalpitano in cerca d’altro. La Tokyo che è
un pezzo importante dell’immaginario giapponese, città tentacolare e
straniante, dove si dà un pasto caldo in spazi adibiti a gente in giacca e
cravatta rimasta senza lavoro, dove svettano i grattacieli delle compagnie
internazionali d’affari e da un momento all’altro ti ritrovi a svuotare la tua
scrivania e mettere tutto dentro una scatola di cartone.
Come negli USA, e film del genere ne abbiamo visti tanti.
Il Giappone sconfitto del dopoguerra ha metabolizzato ferite che sono
diventate tumori.
C’è in Tokyo Sonata una
lettura politica che non va sottovalutata.
Il primogenito che decide di arruolarsi con l’esercito americano,
contravvenendo, complice il governo che lo lascia fare insieme ad altri, alla
Costituzione che vieta al Giappone di entrare in guerra.
Ma gli Americani non vanno ad uccidere! risponde
il ragazzo alla madre perplessa.
No, gli Americani portano la pace nel mondo!...
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