i fantasmi del passato non spariscono mai e bisogna farci i conti, per forza, prima o dopo.
Paul Schrader racconta una storia di oggi (sulla grazia, la responsabilità, l'odio, il perdono, la memoria, l'espiazione, e anche sull'amore) che ha le sue radici nel passato, non pacificato, non dimenticato.
il paese più terrorista del mondo (leggi qui), autonominatosi a gendarme del mondo, con un'economia basata sulle scommesse (dal gioco alla finanza), ha molto a che fare con i personaggi del film, che hanno in comune Abu Ghraib (leggi qui).
i protagonisti della storia, Oscar Isaac per primo, sono attori bravissimi, sarà merito loro, ma Paul Schrader c'entra, eccome.
non sarà un capolavoro, però è un film da non perdere (a parte il titolo italiano, che fa schifo).
la sala cinematografica vi aspetta, non ve ne pentirete, buona visione - Ismaele
…Willem Tell (nome d’arte) passa da un
casinò all’altro, da uno stato all’altro, perché tutta l’America è una Las Vegas
espansa, capillarmente diffusa e inquinante (apprendiamo dei Racino, ovvero i
casinos sorti accanto alle piste per le corse dei cavalli). Non è un
truffatore, non cava fuori gli assi dalla manica, lui è un ingegnere
dell’azzardo e del rischio, calcola, algoritmizza, pesa le probabilità, e
perlopiù vince. Non troppo, per non dare nell’occhio, per non allarmare. Che ci
sia l’ombra nel suo passato lo capiamo ben presto, almeno da quando un giovane
uomo lo accosta…
…Film dalla perfetta, geometrica costruzione,
che procede inesorabilmente secondo le spirali tracciate dall’onnisciente
regista-demiurgo. Una sacra rappresentazione laica dove il peccatore-eroe va
dalla tenebra alla luce, ma senza mai potersi disfare davvero dell’ombra. Siamo
in zona capolavoro e se i giurati non se ne accorgono peggio per loro.
…Schrader denuncia quel modello
politico e sociale in cui, più che le mele, sono marci i cestini, e pur non
assolvendo la responsabilità dei singoli, la contestualizza
nell'incoraggiamento ricevuto dall'alto a compiere le peggiori nefandezze. I
capri espiatori pagano, i loro mandanti naturalmente no, ed è a questo tipo di
ingiustizia che il regista-sceneggiatore e i suoi antieroi si ribellano.
Tuttavia Schrader non sfugge alla sgradevole realizzazione che chiunque può
riconoscere in se stesso l'istinto primordiale verso la violenza e la
sopraffazione, a prescindere dagli ordini ricevuti.
Torna spesso anche il tema del debito, in cui tutti (non solo gli americani)
siamo immersi, che è non solo monetario ma esistenziale, e mostra come
l'esaltazione del sistema capitalistico ignori il fatto che proprio sul debito
di molti si costruiscono (e accrescono) le ricchezze di pochi.
… Il fatto che Schrader abbia da
giovane scritto un libro su Dreyer, Ozu e Bresson
permette di tracciare con legittimità e disinvoltura estrema il tragitto che
porta dalla sua cinefilia al suo cinema: in estrema sintesi, l'austerità e i
conflitti morali rimandano ai film del cineasta danese, l'indole taciturna e
solitaria dei personaggi a quelli di Bresson, il rigore della messa in scena
allo stile del maestro giapponese. Quella del riconoscimento è però un'arma a
doppio taglio, perché rischia sempre di consegnare i film di Schrader ad una
tradizione alta e nobile del cinema d'autore, in virtù della quale alla singola
opera viene poi automaticamente attribuito un attestato di qualità. Mi chiedo
però se sia sufficiente riconoscere in un film, un film di Schrader, e in un
film di Schrader un continuatore dell'eredità concettuale e filosofica di
Bresson e Dreyer, per uscire soddisfatti dalla sala. E me lo chiedo
perché The Card Counter è un film che non riesce a
dare al protagonista e agli eventi lo spessore drammatico necessario a fare
della vicenda qualcosa di più di un catalogo esemplare delle ossessioni del
regista. L'universo del gioco d'azzardo è raccontato con
precisione, le scene di violenza sui prigionieri sono stilisticamente
originali, eppure il film rimane inerte, quasi schiacciato dal
peso di una partitura che impone un tracciato narrativo
ma dispensa il regista dalla necessità di renderlo appassionante, o
almeno interessante.
Siamo piuttosto di fronte ad una
forma confessionale di cinema, che – come per il diario – si alimenta delle
proprie ossessioni e le coltiva a partire dalla consapevolezza che si tratta di
una modalità intransitiva di scrittura. Come il personaggio, il
film è chiuso in sé stesso, prigioniero della propria solitudine.
… Schrader dirige il film con piglio quasi
documentaristico, con immagini secche e asciutte in cui però ogni tanto fanno
capolino scene evocative e quasi oniriche, simbolo di una bellezza effimera
capace di spuntare anche nel marciume del mondo. La sceneggiatura è a tratti
ondivaga ma solida, e si avvale della splendida interpretazione di Oscar Isaac,
semplicemente perfetto nella parte e capace di restituire sia l’empatia, sia il
lato oscuro del suo personaggio, ambedue nascosti sotto una patina di apparente
ieraticità.
Il collezionista di carte è un film difficile da inquadrare, che cambia
continuamente direzione, (in)seguendo la tormentata psiche del protagonista. Il
risultato è a volte straniante e imperfetto, ma di grande impatto, e impone
allo spettatore riflessioni sulle responsabilità individuali e collettive.
Un grande film che, purtroppo, a causa di difetti per me evidenti (un
personaggio, alcune forzature, alcuni dialoghi) non ce la fa ad essere
grandissimo.
La storia di un giocatore di carte (black jack e poker) con alle spalle
un passato terribile.
La sua amicizia con un ragazzo al quale sente di "dover" far da
padre, lo porterà a riaffrontare quel passato e a giocare il suo futuro come
fosse una partita di poker, calcolando i rischi e sperando di fare la scommessa
giusta…
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