venerdì 10 settembre 2021

The Card Counter (Il collezionista di carte) - Paul Schrader

i fantasmi del passato non spariscono mai e bisogna farci i conti, per forza, prima o dopo.

Paul Schrader racconta una storia di oggi (sulla grazia, la responsabilità, l'odio, il perdono, la memoria, l'espiazione, e anche sull'amore) che ha le sue radici nel passato, non pacificato, non dimenticato. 

il paese più terrorista del mondo (leggi qui), autonominatosi a gendarme del mondo, con un'economia basata sulle scommesse (dal gioco alla finanza), ha molto a che fare con i personaggi del film, che hanno in comune Abu Ghraib (leggi qui).

i protagonisti della storia, Oscar Isaac per primo, sono attori bravissimi, sarà merito loro, ma Paul Schrader c'entra, eccome.

non sarà un capolavoro, però è un film da non perdere (a parte il titolo italiano, che fa schifo).

la sala cinematografica vi aspetta, non ve ne pentirete, buona visione - Ismaele 

 

 

 

 

Willem Tell (nome d’arte) passa da un casinò all’altro, da uno stato all’altro, perché tutta l’America è una Las Vegas espansa, capillarmente diffusa e inquinante (apprendiamo dei Racino, ovvero i casinos sorti accanto alle piste per le corse dei cavalli). Non è un truffatore, non cava fuori gli assi dalla manica, lui è un ingegnere dell’azzardo e del rischio, calcola, algoritmizza, pesa le probabilità, e perlopiù vince. Non troppo, per non dare nell’occhio, per non allarmare. Che ci sia l’ombra nel suo passato lo capiamo ben presto, almeno da quando un giovane uomo lo accosta…

…Film dalla perfetta, geometrica costruzione, che procede inesorabilmente secondo le spirali tracciate dall’onnisciente regista-demiurgo. Una sacra rappresentazione laica dove il peccatore-eroe va dalla tenebra alla luce, ma senza mai potersi disfare davvero dell’ombra. Siamo in zona capolavoro e se i giurati non se ne accorgono peggio per loro.

da qui

 

Schrader denuncia quel modello politico e sociale in cui, più che le mele, sono marci i cestini, e pur non assolvendo la responsabilità dei singoli, la contestualizza nell'incoraggiamento ricevuto dall'alto a compiere le peggiori nefandezze. I capri espiatori pagano, i loro mandanti naturalmente no, ed è a questo tipo di ingiustizia che il regista-sceneggiatore e i suoi antieroi si ribellano. Tuttavia Schrader non sfugge alla sgradevole realizzazione che chiunque può riconoscere in se stesso l'istinto primordiale verso la violenza e la sopraffazione, a prescindere dagli ordini ricevuti.
Torna spesso anche il tema del debito, in cui tutti (non solo gli americani) siamo immersi, che è non solo monetario ma esistenziale, e mostra come l'esaltazione del sistema capitalistico ignori il fatto che proprio sul debito di molti si costruiscono (e accrescono) le ricchezze di pochi.

da qui

 

Il fatto che Schrader abbia da giovane scritto un libro su Dreyer, Ozu e Bresson permette di tracciare con legittimità e disinvoltura estrema il tragitto che porta dalla sua cinefilia al suo cinema: in estrema sintesi, l'austerità e i conflitti morali rimandano ai film del cineasta danese, l'indole taciturna e solitaria dei personaggi a quelli di Bresson, il rigore della messa in scena allo stile del maestro giapponese. Quella del riconoscimento è però un'arma a doppio taglio, perché rischia sempre di consegnare i film di Schrader ad una tradizione alta e nobile del cinema d'autore, in virtù della quale alla singola opera viene poi automaticamente attribuito un attestato di qualità. Mi chiedo però se sia sufficiente riconoscere in un film, un film di Schrader, e in un film di Schrader un continuatore dell'eredità concettuale e filosofica di Bresson e Dreyer, per uscire soddisfatti dalla sala. E me lo chiedo perché The Card Counter è un film che non riesce a dare al protagonista e agli eventi lo spessore drammatico necessario a fare della vicenda qualcosa di più di un catalogo esemplare delle ossessioni del regista. L'universo del gioco d'azzardo è raccontato con precisione, le scene di violenza sui prigionieri sono stilisticamente originali, eppure il film rimane inerte, quasi schiacciato dal peso di una partitura che impone un tracciato narrativo ma dispensa il regista dalla necessità di renderlo appassionante, o almeno interessante.

Siamo piuttosto di fronte ad una forma confessionale di cinema, che – come per il diario – si alimenta delle proprie ossessioni e le coltiva a partire dalla consapevolezza che si tratta di una modalità intransitiva di scrittura. Come il personaggio, il film è chiuso in sé stesso, prigioniero della propria solitudine.

da qui

 

Schrader dirige il film con piglio quasi documentaristico, con immagini secche e asciutte in cui però ogni tanto fanno capolino scene evocative e quasi oniriche, simbolo di una bellezza effimera capace di spuntare anche nel marciume del mondo. La sceneggiatura è a tratti ondivaga ma solida, e si avvale della splendida interpretazione di Oscar Isaac, semplicemente perfetto nella parte e capace di restituire sia l’empatia, sia il lato oscuro del suo personaggio, ambedue nascosti sotto una patina di apparente ieraticità.

Il collezionista di carte è un film difficile da inquadrare, che cambia continuamente direzione, (in)seguendo la tormentata psiche del protagonista. Il risultato è a volte straniante e imperfetto, ma di grande impatto, e impone allo spettatore riflessioni sulle responsabilità individuali e collettive.

da qui

 

Un grande film che, purtroppo, a causa di difetti per me evidenti (un personaggio, alcune forzature, alcuni dialoghi) non ce la fa ad essere grandissimo.

La storia di un giocatore di carte (black jack e poker) con alle spalle un passato terribile.

La sua amicizia con un ragazzo al quale sente di "dover" far da padre, lo porterà a riaffrontare quel passato e a giocare il suo futuro come fosse una partita di poker, calcolando i rischi e sperando di fare la scommessa giusta…

da qui

 

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