giovedì 5 aprile 2018

Tonya - Craig Gillespie

vai al cinema senza sapere niente, uscirai stupito e ammirato.
è un film con un bel po' di cattivi, qualche uomo-minchia, come il piccolo grassone guardia del corpo, investigatore, praticamente un niente (sembra uscita da Fargo, uno sfigato che vuole conquistare il mondo, ma il suo livello è quello del letame, o poco più).
c'è il marito di Tonya. la madre di Tonya e poi c'è Tonya, che in mezzo a tanta compagnia sembra un fiore profumato.
gli interpreti sono straordinari, la madre ha vinto, giustamente, l'Oscar, ma chiunque, con una madre così, avrebbe avuto problemi di crescita, povera Tonya.
nessuno sembra felice, solo Tonya, quando pattina e vola e atterra come si deve.
all'improvviso mi viene in mente questa canzone, Tonya come Frida, chissà.




non perdetevi Tonya al cinema, una bellissima sorpresa - Ismaele



Perché se considero quest'opera un capolavoro non è solo perché ha dentro tutte le cose che io più amo al mondo (ovvero lo sport, la cronaca nera e l'umanità/disumanità) ma è anche un grandissimo film a prescindere da tutto questo.
Colonna sonora straordinaria, regia superlativa, specie nel ricreare in un modo quasi mimetico il mondo delle esibizioni in gara. E un modo di narrare che migliore non si poteva scegliere, con quel mix tra interviste (fatte dagli stessi attori anche se TUTTE ricalcate da interviste reali) e racconto per immagini. E questi attori che, ogni tanto, interpellano la telecamera, quasi a creare una crasi tra le interviste e la fiction.
Ovviamente tutto è possibile grazie ad un grandissimo montaggio.
La quantità delle cose che ha dentro Tonya è indescrivibile…

Non è il solito film sul campione sportivo. E’ molto meglio. Più avvincente del “Borg McEnroe”: Björn Borg usciva senza i soldi per il caffè a Montecarlo e il barista non lo riconosceva. Più spassoso di “La guerra dei sessi” di Jonathan Dayton e Valerie Faris, già registi di “Little Miss Sunshine”: la battaglia di Billie Jean King per essere pagata come i tennisti maschi, contro il maturo Bobby Riggs che mandava in campo un maialino per screditarla. Non è tennis, per cominciare. Ma il meno nobile – vorranno scusarci i fanatici – pattinaggio artistico. Per mettere subito le carte in tavola, Graig Gillespie dice che il film si basa su interviste “totalmente vere, totalmente contraddittorie, prive di ironia”. Intende, prive di “autoironia”: ognuno si prende terribilmente sul serio – non solo lo sciocco che ha detto a tutti di lavorare per l’Fbi, e forse lui fermamente ci crede – e intanto le spara grossissime. L’ironia – venata di nero e di grottesco – viene dalla messa in scena: sguardi e discorsi in macchina, come un un finto documentario, alternate a scene realisticamente ricostruite…

Buoni sentimenti assenti. Nessun messaggio edificante. Di eroi neppure l’ombra. Carezze al pubblico inibite. La pasta di cui è fatto “Tonya”, uno dei migliori film dell’anno, è quella di un’incontenibile energia che fa saltare gli argini tra finzione e realismo infiltrandosi in tutte le pieghe di una commedia divertente e a tratti farsesca ma sempre cinica e insolente. La tendenza agiografica del genere biopic viene, infatti, fatta a pezzi dal film dell’australiano Gillespie che ricostruisce a colpi di virtuosismi tecnici e stilistici il sorprendente identikit di una campionessa di pattinaggio artistico sul ghiaccio votata alla lotta continua contro l’indigenza, la madre, il marito, il proprio sport, l’America e soprattutto se stessa…

La sua Tonya Harding è una pattinatrice brava ma tenuta ai margini del mondo del pattinaggio per la sua natura popolare, un’esclusa sempre e comunque che rifiuta di assumersi qualsiasi responsabilità, bambina viziata che non si adegua alle regole estetiche del suo sport ma lo stesso è determinata a vincere con una forza che è nulla rispetto alla determinazione di Margot Robbie stessa nell’interpretare il ruolo. È la maniera tenace in cui dà vita ai mille toni del personaggio a infondere la vera linfa al film e, risate a parte, a portarlo sul terreno del cinema più serio.

Il merito della pellicola, ad ogni modo, è quello di non mostrare Tonya come una vittima degli eventi, quanto come una forte individualità che a causa di circostanze avverse - che stimolano molte giustificazioni ed indulgenze con se stessa della protagonista - si è trovata a dover affrontare ostacoli molto più importanti di gran parte delle sue compagne pattinatrici, viste e celebrate come piccole principesse con la possibilità di allenarsi in strutture private e coccolate in ogni tappa del loro percorso.
Certo, non mancano le occasioni perdute dalla stessa Harding a causa del suo orgoglio e di un carattere spigoloso e difficile, ma così come sottolineato dalla voce narrante della protagonista e dal bellissimo montaggio parallelo dell'epilogo, la verità è una brutta bestia, e le sfumature di ciò che ci accade possono essere percepite diversamente a seconda delle angolazioni dalle quali si guarda una vittoria o una sconfitta, un volo o una caduta.
E a volte, un triplo axel che nessuna pattinatrice aveva mai completato prima di lei può essere una liberazione più costretta e soffocata di un rovinoso knockout di quelli che avrebbero lavato via i peccati al più tosto tra i "tori scatenati".
L'importante, ad ogni modo, sarà allargare le spalle, tornare in piedi ed andare avanti a testa alta.
Vittoria o sconfitta che sia.

…Il film è molto efficace nel tratteggiare i ritratti psicologici  dei protagonisti, molto meno nello sviluppo della trama: il ritmo è continuamente spezzato dalle interviste e dalle ricostruzioni dei dialoghi (spesso davvero prolisse) che giocoforza fanno calare la tensione. Ne viene fuori un film "strano" ma curioso, un po' faticoso da seguire ma comunque intrigante, impreziosito dall'ottimo lavoro delle sue attrici: entrambe detestabili ed entrambe bravissime, che restano ben impresse anche dopo i titoli di coda.

…No sé si Yo, Tonya es una película política, pero intuyo que es una radiografía perfecta del mundo en el que habitamos. Hoy yo creo que las niñas no hacen gimnasia rítmica, sino que estudian mucho inglés y hacen cursillos de emprendizaje porque quieren pirarse de España a toda velocidad como yo quise pirarme en su día de San Blas. Tenemos tanto miedo a la pobreza, tanto miedo al fracaso, tanto miedo a que nadie tenga nada bueno que decir de nosotros. Acunamos a nuestros hijos en el miedo más puro a la mediocridad, y así quizá nos convertimos en la madre de Tonya Harding, y así quizá vamos justificando en sordina que a veces hay que romper alguna rodilla. Hoy yo creo que las niñas no hacen gimnasia rítmica, sino que se afanan mucho para ser finalistas en Master Chef Junior y forrarse alimentando a turistas –que, dicen, es la escritura exacta del futuro.
Nadie rodará –vamos a decirlo claro- imágenes tan falsas y tan bellas para recordar a mis niñas lumpen. Nadie rodará el paraíso del Happy Meal el día de la competición y, después, volver a casa mientras en el piso superior se escuchaban los aullidos de una paliza y en el inferior, el silencio horrendo de la madre que había perdido a sus cuatro hijos donde el polígono por el jaco. Nadie contará eso y, sin embargo, cuando cierro los ojos al final de Yo, Tonya intentando mantener la compostura, tengo la sensación de que ciertas imágenes han sido creadas con justicia –nada que ver, ya lo imaginan, con la célebre máxima de Godard-, y que, al infectar las minisalas de los centros comerciales de los extrarradios, han conseguido llegar a su objetivo…

Quando di biopic ne hai visti tanti (o anche se ne hai visti pochi ma hai scarsa fiducia nel prossimo), è difficile non approcciarne un altro con un po' di scetticismo. Per carità, ogni tanto ci scappa il filmone, se non il capolavoro, ma in media ti ci avvicini convinto che, nel migliore dei casi, ti ritroverai davanti una storia interessante, delle ottime interpretazioni, dei valori di produzione lussuosi ma una scrittura e una regia al massimo anonime. E sai anche che, se butta male, andrà molto peggio. Ogni tanto, però, va meglio. E non so se Tonya sia un filmone (probabilmente no), ma oltre a raccontare le sue vicende ha qualcosa da dire, trova un modo azzeccato per dirlo, butta sul piatto qualche idea e si permette di giocare coi punti di vista, i narratori inaffidabili e la rottura del quarto muro, pasticciando fra intervista, documentario, film, ipotesi, chiacchiere, balle. E, sì, ha un ottimo cast, una ricostruzione storica adorabile, un'attrice molto brava ma forse un po' sopravvalutata, un'attrice qui clamorosa ma forse un po' sottovalutata. Poteva andare peggio…

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