fino alla settimana prima della grande manifestazione di Piazza Tahrir del 2011 il commissario Noredin Mostafa fa la solita vita di poliziotto, qualche arresto, qualche pestaggio, qualche mazzetta, come sempre.
ma quella settimana gli cambia la vita, deve indagare su un omicidio di quelli pesanti, che coinvolge persone importanti.
Noredin Mostafa vuole fare le cose per bene, forse è arrivato il momento del riscatto, per lui stesso, per la sua dignità.
i suoi amici e colleghi lo tradiscono, quando capisce tutto è tardi.
grande film e Fares Fares è bravissimo.
cercatelo, non ve ne pentirete, è passato in qualche cinema, pochi spettatori, è sparito in fretta.
nei cinema all'aperto estivi potrebbe riapparire, chissà - Ismaele
ma quella settimana gli cambia la vita, deve indagare su un omicidio di quelli pesanti, che coinvolge persone importanti.
Noredin Mostafa vuole fare le cose per bene, forse è arrivato il momento del riscatto, per lui stesso, per la sua dignità.
i suoi amici e colleghi lo tradiscono, quando capisce tutto è tardi.
grande film e Fares Fares è bravissimo.
cercatelo, non ve ne pentirete, è passato in qualche cinema, pochi spettatori, è sparito in fretta.
nei cinema all'aperto estivi potrebbe riapparire, chissà - Ismaele
…Il regista arricchisce la vicenda, già
politica, inserendola in un contesto decadente che porta alla rivoluzione; un
tentativo di rinnovamento politico e sociale dopo un regime trentennale. La
polizia, in quell’occasione, ebbe l’ordine di sparare sulla folla. Omicidio
al Cairo risulta un
thriller che ha l’eleganza di un noir ma ricorda i film politici e polizieschi
degli anni '70, nella scarna crudezza e nel tentativo di raccontare una verità
(opere che in Italia portavano le firme di Francesco Rosi ed Elio Petri). Se l’attore Fares Fares possa paragonarsi a Gian Maria
Volontè è difficile a
dirsi: l’attore svedese mantiene uno spaesamento e un’ambiguità contraddittoria
che rendono il suo volto una maschera profondamente umana.
… Sul modello di un Marlowe lacerato da dubbi esistenziali, Fares Fares subisce la progressiva delegittimazione della sua figura di investigatore: con i soldi si può comprare tutto tranne la dignità e dalla radio la voce della cantante uccisa è un memento mori quasi profetico. L’antenna della televisione è rotta e Noredin va perdendo con il tempo sicurezza e autorità, dissolvendosi nel fumo delle innumerevoli sigarette aspirate. Sulla scena del delitto si ruba il denaro della vittima, i poliziotti torturano i sospettati, mentre i vertici dirigenziali tendono a chiudere frettolosamente le indagini archiviando il caso come suicidio. L’incontro con la cantante Gina (Hania Amar) fa rivivere a Fares l’illusione di un sentimento d’amore ma il riflesso in uno specchio nasconde l’ombra del ricatto. Anche Gina non è libera, vive solo in una prigione più grande. La canzone al club Solitaire rimanda a un destino di solitudine comune a quasi tutti i personaggi del film: anche la cameriera somala Salwa (Mari Malek), unica testimone oculare del delitto, è sola, mentre si moltiplicano i cadaveri e le connivenze di un sistema pronto a stritolare l’innocente nei suoi ingranaggi.
Tarik Salek gioca molto coi contrasti: le ville e i campi da golf della borghesia arricchita contro le stanze sporche e affollate dei quartieri dormitorio; la confusione della rivolta per le strade e la visuale atarassica da una camera d’albergo che sembra affacciarsi su un mondo da favola; la gente che si inchina davanti al poliziotto protettore e la solitudine di una fuga che finisce in pieno deserto. Il messaggio è chiaro: in una realtà così opprimente e piramidale non c’è spazio per i sognatori…
…Il caso raccontato, ispirato a un vero fatto di cronaca precedente la rivoluzione, che vide protagonista un uomo d'affari accusato di essere il mandante dell'omicidio della sua amante, celebre cantante, nelle mani di Saleh diventa un thriller allegorico sugli abusi del potere e sulla corruzione endemica degli apparati dello Stato, che intascano mazzette come regola e insabbiano casi ritenuti sconvenienti. Nel marasma di una città in cui le forze di polizia si preoccupano più di mantenere gli equilibri precari in via di disgregazione che di difendere l'ordine, si staglia sensibilmente dall'insieme la figura sofferta di un investigatore (interpretato da Fares Fares), che ricorda un po' Solfrizzi, un po' Chiellini, ma che discende direttamente dagli antieroi dolenti e silenziosi di Jean-Pierre Melville. Non è diverso dagli altri, anche lui è coinvolto nel clima generalizzato di concussione, però prende a cuore il caso, ed è probabilmente – questo arbitrario ribaltamento di aspirazioni, lo scrollarsi di dosso improvvisamente il consueto torpore – l'occasione più debole del film. È tuttavia un personaggio coerente con gli altri protagonisti del cinema di Saleh (ed è anche più compiuto degli altri), e la sua decisione di affrontare un intero sistema avverso ha qualcosa dell'hamartia classica, che in questo caso assume i contorni dell'errore sociale e politico, più che dell'indole da loser del noir…
…Saleh in Omicidio al Cairo
riesce a far emergere anche espressivamente la trama più profonda del racconto.
Che certamente riguarda i destini del suo protagonista (e si concentra su un
Egitto lontano anni luce dalle indubbie bellezze monumentali), ma più
ambiziosamente riguarda i destini di una rivoluzione nata per essere ricompresa
in fretta dai meccanismi più ferali della lotta tra poteri, in uno Stato che,
pare suggerire il film, è strutturato per non cambiare mai. I prodromi della
rivolta egiziana puntellano ovviamente l’intero racconto, che si ferma il 25
gennaio 2011, il giorno in cui migliaia di persone scesero nelle strade del
Cairo per chiedere riforme al governo. Come Noradin, chi era animato da un
desiderio autentico di libertà e di giustizia è destinato a essere intrappolato
ancora una volta. E come Noradin (la cui televisione, che propagandisticamente
decanta le lodi di un Egitto in crescita, è sempre mal funzionante), anche noi
europei, che guardavamo quegli eventi attraverso lo specchio dell’informazione,
abbiamo avuto una percezione parziale e monca. Da Mubarak non si poteva che
arrivare ad al-Sisi, sembra dire Saleh, e solo la miopia ci ha illuso.
Come ha illuso Noredin, che per un attimo ha creduto di guidare delle
“vere indagini”. Ma non esistono vere indagini, vere rivolte, vera giustizia,
in un luogo in cui anche un caso di omicidio è terreno di ricatti e dove la
morte non è mai solo quel che sembra. Intelligente, infine, il ruolo assegnato
alla testimone del delitto, una “clandestina” fuggita dal proprio Paese, che
cerca di imparare l’inglese per andarsene (come anche il giovane collega del protagonista,
un poliziotto ancora ingenuo che guarda all’Europa come meta esistenziale),
completamente sola e che, proprio perché al di fuori di ogni ingranaggio,
compirà l’unico atto netto e definitivo della vicenda. Vincitore del Premo
della Giuria come miglior film straniero al Sundance 2017, Omicidio al Cairo è uno di quei film in cui il
godibile intreccio serve a leggere una vicenda più grande e vasta, perché ne
coglie efficacemente la struttura. Impossibile non pensare a Giulio Regeni,
rapito proprio il 25 gennaio 2016, la cui morte resta un caso angosciosamente
irrisolto, avvolto da omertà e menzogne.
…El actor sueco de origen libanés, Fares Fares realiza una magnífica
actuación como el perdedor Noredin. Exuda un aire de pesimismo resignado
mientras intenta resolver los casos. Mientras más investiga, más
corrupción encuentra y pone su vida en peligro también. Las violentas protestas
de la sociedad para derrocar a Mubarak y
su régimen que aparecen como telón de fondo nos sirve para establecer una
analogía con la paulatina transformación de Noredin.
El policía parece está cansado de seguir siendo cómplice de un sistema
corrupto, hastiado de ser empujado por los ricos y poderosos, harto de
ayudarlos para aplastar los derechos humanos básicos, de tratar a los
marginados como material de deshecho y prescindible, por lo que necesita poner
fin a las mentiras y engaños…
Accueilli en France en période estivale après deux
prix prestigieux, l’un américain, le Grand Prix de la World Compétition à
Sundance, l’autre à Beaune, pour un Grand Prix qui était loin d’être
anodin, Le Caire Confidentiel est a priori réalisé par un
inconnu, un certain Tarik Saleh.
Cet ancien graffeur, réalisateur de documentaires (l’un sur Guantanamo, un autre sur la révolution cubaine) est pourtant connu comme clipper pour le tube I follow Rivers, chanson de sa compatriote Lykke Li, dont on garde tous en tête les images enneigées troublantes, et dans lequel on trouvait déjà la vedette de Le Caire Confidentiel, Fares Fares.
Cet ancien graffeur, réalisateur de documentaires (l’un sur Guantanamo, un autre sur la révolution cubaine) est pourtant connu comme clipper pour le tube I follow Rivers, chanson de sa compatriote Lykke Li, dont on garde tous en tête les images enneigées troublantes, et dans lequel on trouvait déjà la vedette de Le Caire Confidentiel, Fares Fares.
Pour son nouveau polar, après l’inédit Tommy (2014), le Suédois frappe fort avec une
œuvre qui, une fois de plus, se délocalise. Cet amoureux de l’Histoire du
monde, et grand spécialiste des opprimés, a décidé cette-fois ci d’infiltrer
l’Histoire récente égyptienne, à l’orée du Printemps arabe et du soulèvement de
la Place Tahrir. Délaissant l’approche purement documentaire pour évoquer les
événements qui allaient mener le peuple à se révolter contre la présidence
autoritaire de Moubarak, Saleh opte pour un mariage percutant entre la fiction
(le thriller de chambre d’hôtel avec soupçons politiques) et le réalisme du
reportage, puisque c’est bien au contexte historique qui s’ébroue en filigrane
que l’auteur s’intéresse…
…La Primavera Araba in Egitto è
stata soprattutto una rivoluzione contro lo strapotere della polizia e la
corruzione; iniziò il 25 gennaio 2011, il giorno in cui l’Egitto celebra la
Festa della Polizia. E proprio in quel giorno si svolge l’ultima scena del film. Omicidio al Cairo descrive
la situazione che portò i giovani egiziani a sollevarsi contro la polizia e
l’élite corrotta: un regista che vive e lavora in Egitto non sarebbe mai
riuscito a trovare i finanziamenti per girare un film come questo, che mostra
il sistema così esplicitamente.
E anche Saleh nel 2016 ha rischiato di non farcela. Lo racconta nelle Note di Regia: “Si tratta di un film sul Cairo, sul passato e sul futuro che collidono – e sulla gente che rimane schiacciata in mezzo. Tre giorni prima dell’inizio delle riprese l’Egyptian State Security ci ha messi a tacere e abbiamo dovuto spostare la produzione a Casablanca. Ero devastato. Poi ho pensato a Fellini e ad Amarcord. La gente della sua città, Rimini, può giurare di aver riconosciuto nel film strade e case. Lui, però, aveva girato a Cinecittà. Si poteva fare! Ma per ricreare una città devi catturarne l’anima. E Noredin è la nostra guida, un Principe della città.”
E anche Saleh nel 2016 ha rischiato di non farcela. Lo racconta nelle Note di Regia: “Si tratta di un film sul Cairo, sul passato e sul futuro che collidono – e sulla gente che rimane schiacciata in mezzo. Tre giorni prima dell’inizio delle riprese l’Egyptian State Security ci ha messi a tacere e abbiamo dovuto spostare la produzione a Casablanca. Ero devastato. Poi ho pensato a Fellini e ad Amarcord. La gente della sua città, Rimini, può giurare di aver riconosciuto nel film strade e case. Lui, però, aveva girato a Cinecittà. Si poteva fare! Ma per ricreare una città devi catturarne l’anima. E Noredin è la nostra guida, un Principe della città.”
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