giovedì 19 aprile 2018

The Attack (L'attentat) - Ziad Doueiri

il regista, Ziad Doueiri, è quello de L'insulto, gran film di pochi mesi fa.
L'attentat è tratto dal romanzo L'attentatrice, di Yasmina Khadra, il film racconta di un attentato, un'attentatrice e il marito, affermato chirurgo arabo-israeliano.
a sorpresa succede qualcosa di inspiegabile, apparentemente;
Siham si fa esplodere in in ristorante, Amin, il marito, vuole capire cosa è successo nella testa della moglie, l'amata Siham.
un viaggio alle radici dell'odio, crudo e assoluto, e del fanatismo, e per ciascuno è diverso.
un film che non ti fa distrarre un attimo, un thriller a ritroso.
buona visione - Ismaele





Oggetto contundente fin dall’inizio, quindi, questo lavoro che affonda le radici nel libro-bestseller di Yasmina Khadra, L’attentatrice, e che se da un lato cerca di destreggiarsi tra la corsa ad ostacoli minata che è il conflitto israelo-palestinese, dall’altro offre apertamente il fianco e ne ricade dentro con tutto il suo peso. Sottigliezze e precisazioni cercano di fortificare la narrazione, che innalza strati su strati, contrapposizioni su contrapposizioni, con un dottore arabo che ha lasciato i Territori per Tel Aviv; che ha dimenticato le sue radici, la sua storia; che ha lottato per essere accettato unicamente per il suo lavoro; che ha sposato un’araba; che è cristiano (come la moglie); che è ricco e felice; che è il migliore chirurgo. Amir si trova esattamente al centro di tutto questo, un centro-Empireo, un motore primo immobile che è continuamente sferzato dagli eventi ma proprio come il vento non riesce ad afferrare, a far cambiare direzione, semplicemente, a ripararsi. Ripararsi, sì, forse è solo questo che Amir cerca, pace dopo l’attentato della moglie, come pace era quel che cercava prima, lavorando, accumulando, vincendo come nulla fosse nella città-stato da Primo Mondo che è Tel Aviv. Forse non può essere accusato di niente altro il dottor Amir Jaafari che di ingenuità, la colpa e il dolore più grandi in una porzione di spazio-tempo come sono la Palestina e Israele dove ogni azione viene pesata, giudicata e, per forza di cose, trovata mancante: ingenuo com'è, va a trovare i suoi parenti a Nablus cercando di capire, ma questo capire comporta uno spostamento di azioni e reazioni senza fine; ingenuo com'è, non ha visto quello che succedeva al nipote, alla moglie, alla sorella; ingenuo com'è, non ha compreso quanto il suo essere sia alieno da tutto ciò che ha, da tutto ciò che è la sua storia, la sua terra, la sua vita. 
E allora trova un senso la struttura utilizzata da Doueiri, la sua formazione americana, il suo cercare di uscire dalle secche filmiche di molte cinematografie vicine al suo paese: The Attack è un thriller che oscilla tra l’abisso personale e quello politico, non indeciso su quale lato attraversare, ma grumo che frulla costantemente i due aspetti, risputando per necessità un protagonista come Amir. Una Tel Aviv moderna e veloce, interni eleganti, un commento sonoro fatto di chitarre emozionali, un colore patinato che non abbandona mai i nostri occhi, né in Israele né in Cisgiordania, una Nablus arroccata tra androni, vicoli, automobili: il lavoro di Doueiri sul visivo è talmente efficace e naturale che il film è riuscito persino ad uscire in programmazione limited negli Stati Uniti. Il regista-sceneggiatore sta addosso ai corpi, agli ambienti, alternando macchina a mano e movimenti precisissimi, costruendo pian piano un ritmo e una progressione che si staglia di pari grado di fronte ad Hollywood come a Hong Kong come alla Francia. Un’operazione, quindi, gravida di sviluppi futuri visto il coraggio e la forza di proporre unicamente una lettura di genere di un conflitto pericoloso e sfuggente, che sembra già aver tracciato una sua personale e precisa direzione grazie al futuro lavoro di Doueiri, quel Foreign Affairs che vedrà Gérard Depardieu nel ruolo di un diplomatico francese mandato segretamente dagli americani a trattare per un accordo tra palestinesi e israeliani. Ancora, un attentato?

loin de n’être qu’un film à thèse, L’attentat est également construit comme un vrai thriller politique, avec des pointes de suspense qui viennent rappeler que son réalisateur a été formé à Hollywood. L’emploi d’une musique electro très efficace d’Eric Neveux permet d’éviter le cliché du film d’auteur moyen-oriental, tandis que les savants mouvements de caméra et l’utilisation de plans-séquences tournés à la Steadicam viennent dynamiser une œuvre qui se veut avant tout une expérience cinématographique enthousiasmante pour tous les publics. Si cette patine hollywoodienne risque de lui attirer les foudres de certains ayatollahs de la critique, elle est pour beaucoup dans le plaisir ressenti devant une oeuvre aussi accomplie sur le plan formel qu’intelligente sur le plan thématique. Et c’est suffisamment rare pour être signalé.

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