in Father and son sceglie un registro che non è comico, né patetico, e neanche strappalacrime, come altri avrebbero potuto fare.
lui sceglie di essere sincero, e (di)mostra come essere i migliori in qualcosa, nel lavoro, o negli affari, non significa essere migliori in tutto.
essere padre, un buon padre, è difficile e ha bisogno di molto tempo.
le due madri si capiscono bene, gli uomini meno.
un errore di sei anni prima, in un ospedale, nella assegnazione dei bambini alle famiglie, fa risorgere le domande di sempre, quanto conta il sangue e quanto l'ambiente.
il film è bellissimo, non perdetevelo - Ismaele
QUI il film completo, in italiano
… Il giapponese Kore-Eda conferma le
qualità artistiche di cui ha sempre dato prova con questa esplorazione
splendidamente misurata di un dilemma che mira dritto al cuore dell'uomo. Con
la leggerezza della grande scrittura, l'abilità di costruire un'architettura
perfetta nel bilanciare il peso di azioni e reazioni tra i due nuclei familiari
coinvolti (il regista ha affermato di essere partito con questo film per un
viaggio dentro se stesso, riconoscendosi nelle questioni personali di Ryota,
che nella finzione è appunto un architetto) e con un cast in grado di conferire
all'opera un valore aggiunto altissimo, Kore-Eda non si lascia mai tentare dal
richiamo del melodramma, che è nelle corde del soggetto ma non nelle sue, e
mantiene un registro contenuto ma attento ai particolari e ai piccoli incidenti
del vivere, nel quale le belle idee sono silenziosamente numerose e nulla è mai
di troppo. In particolare, nonostante il film racconti la maturazione di Ryota
rispetto al suo essere padre, che passa forzatamente dal suo essere stato
figlio a sua volta di un certo padre, sorprende la verità con la quale il
regista coglie le reazioni dei due bambini, bloccati tra la fiducia che
ripongono nei genitori, la volontà di ottenere la loro ammirazione e il disagio
dell'incomprensione…
… Curiosamente anticipato da altri due film
analogamente imperniati sullo stesso argomento (Il figlio dell'altra e
I figli della mezzanotte) Like Father, Like Son se ne
distacca sia dal punto di vista dei significati che di quello della
messinscena. Koreeda infatti non sente la necessità di contestualizzare la
vicenda all'interno di un processo storico e politico ben preciso, come era
accaduto nei due film precedenti, né eventualmente di utilizzare la dialettica
interna per vagheggiare il ritorno a un'esistenza più a misura d'uomo,
attraverso il contrasto tra le due famiglie: quella agiata e benestante di
Ryota, integrata nella modernità produttiva del paese ma compressa dalle
conseguenze di quei ritmi, contrapposta all'altra, quella dei Saiki,
felicemente umile e spudoratamente naif. Certamente è impossibile non vedere
negli sviluppi della narrazione, e nel confronto tra il carattere chiuso e
rigoroso di Ryota con quello sgangherato ma pieno di slanci del suo
"contraltare", una propensione nei confronti di uno stile di vita
meno formale e più rispettoso delle regole del cuore…
…Like Father, Like Son
è anche la bravura di un regista capace di far convivere la vicenda collettiva,
quella che coinvolge ogni membro della famiglia, con un'altra, più intima e
personale che appartiene a Ryota, chiamato a fare i conti con i traumi di
un'infanzia solitaria e sofferta, rivissuta nelle vicissitudini dei due
bambini, smarriti in una vicenda che rischia, come successe a lui, di
allontanarli per sempre da coloro che amano. Koreeda filma in punta di piedi,
riuscendo a mantenersi in bilico tra lirismo emotivo e gusto della
rappresentazione. Del suo film stupisce la presenza di uno sguardo intimo sulle
vite dei personaggi e allo stesso tempo il pudore con cui il regista le ha
restituite sullo schermo.
Tenero e commovente, Like Father, Like Son è una pellicola di intensa umanità. E' un gesto di pace e di poesia. Averlo premiato in un'edizione così importante del Festival di Cannes è stata la testimonianza di una corrispondenza a cui anche noi ci sentiamo di partecipare.
Tenero e commovente, Like Father, Like Son è una pellicola di intensa umanità. E' un gesto di pace e di poesia. Averlo premiato in un'edizione così importante del Festival di Cannes è stata la testimonianza di una corrispondenza a cui anche noi ci sentiamo di partecipare.
…Father and son riesce nell’impresa umile ma maestosa di non cercare
l’eccessiva originalità né lo stile debordante, per avvincere e convincere, ma
il semplice andamento mai crudo ma nemmeno idealizzato di un reale fatto di credenze,
convinzioni e false illusioni. I personaggi si muovono sullo stesso piano, non
su podi ideologici allestiti dall’eventuale invadenza del regista, ma
intersecandosi nei ruoli e nelle posizioni, così come avviene nella vita vera.
Nonostante la musica possa aiutare a capire di che scena si tratti, se trist o
meno, spesso essa si insinua delicatamente, e lascia trapelare un’emozione
reale, timida e non tracotante, sempre temperata, in grado di non imbastire
drammi ma forse anche un po’ castrata e rinchiusa. Che il film sia il trionfo
della “via di mezzo”, fra gli eccessi e i difetti, può essere un punto a
favore; oltretutto, in Occidente non funzionano quasi mai le storie che si
reggono su un pretesto per avvolgersi nelle pure personalità dei protagonisti o
nei sentimenti in evoluzione, questo è ormai solo un piccolo miracolo
orientale. Ma questa eccessiva medietà può anche essere un punto a sfavore: che
forse non ci sia la voglia, o il coraggio, di osare? È lecito chiedersi,
dopotutto, se si potesse fare di più, con più fervore, senza cadere nel
sensazionalismo? Si può raccontare una storia pudica, quieta, priva di
fronzoli, anche costruendo un proprio personale stile? Anche se la miglior
regia è quella che non si vede, dietro un uomo sta respirando, comunque…
da qui
da qui
Nessun commento:
Posta un commento