martedì 17 aprile 2018

Father and son - Hirozaki Koreeda

Koreeda riesce sempre a raccontare storie senza eccedere, non risparmia niente e nessuno, ma lo fa senza accusare, senza colpevolizzare, senza condannare, cercando di mostrare tutte le ragioni.
in Father and son sceglie un registro che non è comico, né patetico, e neanche strappalacrime, come altri avrebbero potuto fare.
lui sceglie di essere sincero, e (di)mostra come essere i migliori in qualcosa, nel lavoro, o negli affari, non significa essere migliori in tutto.
essere padre, un buon padre, è difficile e ha bisogno di molto tempo.
le due madri si capiscono bene, gli uomini meno.
un errore di sei anni prima, in un ospedale, nella assegnazione dei bambini alle famiglie, fa risorgere le domande di sempre, quanto conta il sangue e quanto l'ambiente.
il film è bellissimo, non perdetevelo - Ismaele


QUI il film completo, in italiano




Il giapponese Kore-Eda conferma le qualità artistiche di cui ha sempre dato prova con questa esplorazione splendidamente misurata di un dilemma che mira dritto al cuore dell'uomo. Con la leggerezza della grande scrittura, l'abilità di costruire un'architettura perfetta nel bilanciare il peso di azioni e reazioni tra i due nuclei familiari coinvolti (il regista ha affermato di essere partito con questo film per un viaggio dentro se stesso, riconoscendosi nelle questioni personali di Ryota, che nella finzione è appunto un architetto) e con un cast in grado di conferire all'opera un valore aggiunto altissimo, Kore-Eda non si lascia mai tentare dal richiamo del melodramma, che è nelle corde del soggetto ma non nelle sue, e mantiene un registro contenuto ma attento ai particolari e ai piccoli incidenti del vivere, nel quale le belle idee sono silenziosamente numerose e nulla è mai di troppo. In particolare, nonostante il film racconti la maturazione di Ryota rispetto al suo essere padre, che passa forzatamente dal suo essere stato figlio a sua volta di un certo padre, sorprende la verità con la quale il regista coglie le reazioni dei due bambini, bloccati tra la fiducia che ripongono nei genitori, la volontà di ottenere la loro ammirazione e il disagio dell'incomprensione

Curiosamente anticipato da altri due film analogamente imperniati sullo stesso argomento (Il figlio dell'altra e I figli della mezzanotte) Like Father, Like Son se ne distacca sia dal punto di vista dei significati che di quello della messinscena. Koreeda infatti non sente la necessità di contestualizzare la vicenda all'interno di un processo storico e politico ben preciso, come era accaduto nei due film precedenti, né eventualmente di utilizzare la dialettica interna per vagheggiare il ritorno a un'esistenza più a misura d'uomo, attraverso il contrasto tra le due famiglie: quella agiata e benestante di Ryota, integrata nella modernità produttiva del paese ma compressa dalle conseguenze di quei ritmi, contrapposta all'altra, quella dei Saiki, felicemente umile e spudoratamente naif. Certamente è impossibile non vedere negli sviluppi della narrazione, e nel confronto tra il carattere chiuso e rigoroso di Ryota con quello sgangherato ma pieno di slanci del suo "contraltare", una propensione nei confronti di uno stile di vita meno formale e più rispettoso delle regole del cuore…
Like Father, Like Son è anche la bravura di un regista capace di far convivere la vicenda collettiva, quella che coinvolge ogni membro della famiglia, con un'altra, più intima e personale che appartiene a Ryota, chiamato a fare i conti con i traumi di un'infanzia solitaria e sofferta, rivissuta nelle vicissitudini dei due bambini, smarriti in una vicenda che rischia, come successe a lui, di allontanarli per sempre da coloro che amano. Koreeda filma in punta di piedi, riuscendo a mantenersi in bilico tra lirismo emotivo e gusto della rappresentazione. Del suo film stupisce la presenza di uno sguardo intimo sulle vite dei personaggi e allo stesso tempo il pudore con cui il regista le ha restituite sullo schermo. 
Tenero e commovente, Like Father, Like Son è una pellicola di intensa umanità. E' un gesto di pace e di poesia. Averlo premiato in un'edizione così importante del Festival di Cannes è stata la testimonianza di una corrispondenza a cui anche noi ci sentiamo di partecipare.

Father and son riesce nell’impresa umile ma maestosa di non cercare l’eccessiva originalità né lo stile debordante, per avvincere e convincere, ma il semplice andamento mai crudo ma nemmeno idealizzato di un reale fatto di credenze, convinzioni e false illusioni. I personaggi si muovono sullo stesso piano, non su podi ideologici allestiti dall’eventuale invadenza del regista, ma intersecandosi nei ruoli e nelle posizioni, così come avviene nella vita vera. Nonostante la musica possa aiutare a capire di che scena si tratti, se trist o meno, spesso essa si insinua delicatamente, e lascia trapelare un’emozione reale, timida e non tracotante, sempre temperata, in grado di non imbastire drammi ma forse anche un po’ castrata e rinchiusa. Che il film sia il trionfo della “via di mezzo”, fra gli eccessi e i difetti, può essere un punto a favore; oltretutto, in Occidente non funzionano quasi mai le storie che si reggono su un pretesto per avvolgersi nelle pure personalità dei protagonisti o nei sentimenti in evoluzione, questo è ormai solo un piccolo miracolo orientale. Ma questa eccessiva medietà può anche essere un punto a sfavore: che forse non ci sia la voglia, o il coraggio, di osare? È lecito chiedersi, dopotutto, se si potesse fare di più, con più fervore, senza cadere nel sensazionalismo? Si può raccontare una storia pudica, quieta, priva di fronzoli, anche costruendo un proprio personale stile? Anche se la miglior regia è quella che non si vede, dietro un uomo sta respirando, comunque…
da qui

Nessun commento:

Posta un commento