martedì 23 gennaio 2018

Alaska - Claudio Cupellini

ci sono film che immagini noiosi, e trascurabili, non so perché, ma così mi sembrava.
dopo qualche anno ho visto il film, e devo dire che quei pregiudizi erano sbagliatissimi.
il film ha interpreti bravissimi, che rendono la storia davvero intensa e credibile.
poi non sarà perfetto, ma intanto è un gran film.
recuperatelo, se vi era sfuggito, non ve ne pentirete - Ismaele






Su Elio Germano si sono spesi tutti i complimenti che era possibile spendere: e sono tutti meritati. In questo film, in particolare, è disarmante la sua capacità di passare con apparente semplicità non solo da uno stato d’animo all’altro, ma – viene da dire – da una condizione antropologica all’altra: assecondando così, e al contempo esasperando, i mutamenti a cui il suo personaggio (Fausto) è costretto. Basta un semplice tic che improvvisamente scompare, la diversa intensità di un suo sguardo, la repentina perdita di fluidità nei movimenti, e Germano è in grado di rendere con esattezza la nuova condizione esistenziale in cui Fausto è immerso. Il modo in cui, nelle scene finali, riesce a far evaporare la pesantezza della tragedia vissuta dai due protagonisti con un paio di battute e di sorrisi, è semplicemente commovente.
Poi c’è Astrid Berges-Frisbey (Nadine), attrice di inconsueta bellezza e di gran talento. Anche lei regala un’interpretazione sontuosa di un personaggio fragile e determinatissimo, che attraversa, senza mai evitarle, le peripezie in cui resta inviluppata. Un altro attore che dimostra la sua bravura è sicuramente Valerio Binasco: il suo Sandro è il personaggio in cui la dimensione comica e quella tragica si amalgamano meglio per creare un grottesco che in certi momenti (come quando, coi postumi della sbornia di Capodanno, si mette ad esplodere dei petardi nel parcheggio di un Autogrill) richiama alla memoria i disgraziati più riusciti del cinema di Scola o Monicelli.
E però, se gli attori offrono nel complesso una così alta prova di sé, lo si deve anche ad una sceneggiatura che, proprio nella costruzione dei personaggi, ha i suoi meriti maggiori. E dire che non era scontato dare coerenza all’evoluzione di uomini e donne che, come s’è detto, vivono cambiamenti bruschi e incessanti, e soprattutto di farlo senza scadere nella banalizzazione o nella giustapposizione di tante scene volte soltanto a mostrarci quei cambiamenti (un altro regista che insiste molto sul ribaltamento dei suoi personaggi, come Ivano De Matteo, cade spesso proprio in questo errore: e non del tutto a torto, infatti, per La bella gente e per I nostri ragazzi si è parlato di «sociologismo»). Quando Nadine decide di passare il veglione di Capodanno nella discoteca diretta da Fausto – l’Alaska, appunto – sappiamo già che evidentemente ha deciso di riannodare i fili spezzati del loro rapporto, e dunque non restiamo sorpresi dal fatto che faccia di tutto per avvicinare il suo ex ragazzo. E tuttavia, se nel momento esatto in cui gli dice «Ci sono ancora delle tue cose a casa» è difficile non sentire una stretta al cuore, è perché Cupellini riesce, con quella frase, a rappresentare bene, ma senza ricorrere a stereotipi, l’intima macerazione in cui il pentimento di Nadine dev’essere maturato…

…Claudio Cupellini confeziona un film sicuramente anomalo (nei contenuti e nella forma) nel panorama generalmente piatto e conforme dell’attuale cinema italiano (la coproduzione d’oltralpe si vede e si sente).
Un dramma pulsante e trascinante che finalmente spazza via i toni trattenuti, dimessi, mai urlati tipici di una certa filmografia nostrana che aspira (quando non si considera già da sola) ad essere autoriale.
Guardando Alaska ritorna alla mente lo splendido, struggente La sposa turca di Fatih Akin, ma questo film è anche altro: è la necessità di raccontare l’individualismo esasperato della nostra epoca, l’anaffettività che la governa e la flagella, il senso di appartenenza a qualcosa/qualcuno praticamente estinto.
Lo sbando di un mondo moralmente alla deriva, incapace di arrestare la sua folle corsa verso l’autodistruzione.

…Come nell’epico romanzo di F. S. Fitzgerald Il grande Gatsby, fonte d’ispirazione della pellicola, i personaggi sulla scena affrontano la realtà cercando la via più breve-e comprensibile- per decifrare i loro sentimenti e i loro desideri, per capire davvero cosa vogliono dalla vita; l’arco narrativo di cinque anni diventa così il racconto di formazione di due persone, di due solitudini che si incontrano e che non hanno nessun’altra boa di salvataggio alla quale aggrapparsi, se non l’uno all’altra.
I buoni presupposti teorici di Cupellini si perdono nel ritmo lento e “fangoso” della pellicola, un pantano emotivo senza barlumi che centellina gli eventi contravvenendo a qualunque regola narrativa tradizionale; così il regista sceglie piuttosto di disseminare la pellicola di tanti- troppi – colpi di scena che dovrebbero servire a tenere alta l’attenzione dello spettatore, ma che purtroppo hanno un unico esito, ovvero rendere forzata la narrazione di una storia d’amore promettente su carta e che in realtà tende a  perdersi tra le debolezze della propria ossatura narrativa.

A separarlo dal resto del cinema che vediamo dunque non sono solo i molti eventi ma anche la maniera inedita (per il nostro paese) con la quale sono osservati da un regista lontanissimo dai personaggi, il cui sguardo onnisciente ne segue le gesta quasi stupefatto quanto il pubblico. Non c'è nessuna adesione a loro, Cupellini sembra non essere nemmeno dalla loro parte (e del resto ne fanno di cose di cui non c'è da essere fieri). Solo questo assunto di partenza basterebbe per rendere questo uno dei film italiani "da vedere" della stagione, anche al netto della consueta visione esagerata dei sentimenti o della solita iperbolica voglia di gridare tutto. Una volta tanto si passa sopra volentieri alla recitazione presenzialista delle scene madri e dei tipici momenti in cui un attore mette in mostra se stesso invece del film.
Alaska sembra fregarsene di tutto (e finalmente!). Non vuole decidere un'ambientazione, non vuole decidersi a dare struttura alla sua storia, nè equilibrio ai suoi personaggi, si abbandona al caotico vortice della sceneggiatura (ovviamente molto rigorosa e ben scritta per riuscire ad ottenere quest'effetto) ripetendosi, ritornando su punti che pensavamo conclusi (le molte prigioni), uccidendo personaggi come fosse niente e abbandonandone altri senza troppi convenevoli. Ciò che altrove potremmo elencare come difetti qui sono pregi, perché questa qualità espressiva Alaska la mette a frutto, specie nella chiusa, quando vediamo per la prima volta del sentimento onesto e nudo, una dolcezza insperata che dopo un film di ottusa attrazione sembra spiegare tutto. 
Come i migliori finali infatti anche questo disegna un raggio di sole tra le nuvole che cambia il senso di ciò che abbiamo visto fino a quel momento.


2 commenti:

  1. Sì, soprattutto credibile e intenso, bel film ;)

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    1. un po' mi ha ricordato Fiore (https://markx7.blogspot.it/2016/06/fiore-claudio-giovannesi.html)

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