lunedì 1 gennaio 2018

I testimoni - André Téchiné

l'Aids ammazza sempre più, non si capisce cosa fare, siamo nel 1984, in Francia.
sembra un film come tanti, solo che qui appare Adrien (Michel Blanc), in un'interpretazione straordinaria, vincitore del Premio César per il migliore attore nel 2008.
buona visione - Ismaele





… Volendo essere schematici il film potrebbe essere ridotto all’esplorazione di una serie di tabù abitanti la nostra epoca: l’omosessualità, il contagio e la malattia, i rapporti extraconiugali, la difficoltà nell’accettazione del ruolo di madre, la solitudine. Andando oltre l’elenco delle increspature d’una presunta “normalità” del vivere, questa pellicola ha il suo principale merito nella scelta di proporre al pubblico una tematica completamente espulsa da ogni agenda setting mediatica che, dal momento della sua comparsa ad oggi, ha mietuto la spaventosa cifra di 25 milioni di morti (dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità aggiornati al 2005).
Téchiné ricorre all’utilizzo di immagini televisive d’epoca per restituirci il clima di quegli anni, per calarci all’interno d’uno sconcertante panico indifferenziato che ha rimesso in discussione gran parte delle conquiste sociali dei decenni precedenti. “I bei giorni” o gli “happy days” sono per il regista gli anni ‘70 e ‘80 dove, nelle sue parole, a livello mondiale «la libertà sessuale ha consentito alla gente di sperimentare i rapporti in modo armonico, senza vergogna» e ancora «il sesso era intrecciato all’amicizia, e vissuto senza sensi di colpa». Nel breve volgere di pochi anni ogni pratica sessuale non conforme a principi di precauzione sia medici che comportamentali esponeva chi la praticava al possibile contagio d’una sindrome da immuno deficienza acquisita senza possibilità di cura. E’ dunque una pellicola dal taglio micro-sociologico, attenta alle reazioni comportamentali d’un campione rappresentativo d’un tipo d’umanità plausibile collocata in un ben definito momento storico, lo dimostra il pudico distacco con il quale la macchina da presa scivola via veloce dall’ostentazione della sofferenza, trattenendosi da ogni possibile patetismo. La velocità è un’altra caratteristica peculiare de “I testimoni” perchè tutta la trama scorre davvero incessante come pure lo sviluppo delle relazioni fra i personaggi (aiutate in questo dalla divisione in capitoli sotto la cui geometria s’è deciso di comporre il tempo del racconto).
La paura di trovarsi di fronte al film francese intimista e minimale, fatto di piani sequenza e dialoghi soporiferi, sarà fugata già dai titoli di testa che raramente ricordo di aver visto così veloci, quasi messi controvoglia su pressione d’un produttore zelante. Anche questa scelta dimostra l’intenzione di volerci raccontare una storia con un inizio, ma senza un prima, ed una fine, ma senza un dopo. L’onda lunga della grande stagione cinematografica concretizzatasi sotto il nome di Nouvelle Vogue trova nel cinema di André Téchiné uno sviluppo coerente ed originale.

…I will not reveal details. I would rather focus on the Michel Blanc performance. His Adrien is not a perfect man nor a noble doctor, but he is a good man who has the courage to do good although difficult things. He has been deeply wounded by Manu's "abandoning" him for Mehdi, and is outraged that Mehdi cheated on his wife with, of all people, the man Mehdi knows the doctor loves. Adrien is even the godfather of the child. This outrage leads to a scuffle, which is brief, confusing, violent and without a "winner," revealing how hurt Adrien really is, and how near his emotional wounds are to the surface of his bland exterior.
Adrien becomes a leader in a gay doctor's crusade against AIDS, while meanwhile privately taking on Manu's treatment. Mehdi also doesn't shun his friend when he hears the news, although he is terrified that he has AIDS and cannot bring himself to tell his wife. All of this captures the dread and paranoia of the early AIDS years; none of the characters have the benefit of foresight, and even a kiss or a drink from the same water bottle appears as a possible danger.
Techine tells the story with comic intensity for the first hour, and then aching drama. The possibility of having a disease of this sort, especially when you are married, allegedly straight and even an anti-gay enforcer for the cops, creates secrecy and shame, and can lead to much worse than simply facing the truth. And it is that pain of the double life that concerns Techine in his later scenes.
Libereau does a completely convincing transformation from an effortless charmer to a dying man; he wasn't meant to die young like this, he despairingly tells Adrien; in fights at school, he didn't even bruise. Beart is mysterious as a remote, cold woman who likes physical sex but not much else apart from her writing. The cop is deeper and more sensitive than the situation might suggest; when he does the laundry for Manu, it is uncommonly touching, especially when the film notices how staring at an automatic washer can become a form of meditation.
But it is, again, Blanc who fascinates. His face, so often used for comedy or parody, here reflects intelligence, concern and quiet sadness. His love is real enough, but to no purpose. His attempts to replace Manu are depressing even to himself. "The Witnesses" doesn't pay off with a great operatic pinnacle, but it's better that way. Better to show people we care about facing facts they care desperately about, without the consolation of plot mechanics.

Nessun commento:

Posta un commento