ci sono film che immagini noiosi, e trascurabili, non so perché, ma così mi sembrava.
dopo qualche anno ho visto il film, e devo dire che quei pregiudizi erano sbagliatissimi.
il film ha interpreti bravissimi, che rendono la storia davvero intensa e credibile.
poi non sarà perfetto, ma intanto è un gran film.
recuperatelo, se vi era sfuggito, non ve ne pentirete - Ismaele
dopo qualche anno ho visto il film, e devo dire che quei pregiudizi erano sbagliatissimi.
il film ha interpreti bravissimi, che rendono la storia davvero intensa e credibile.
poi non sarà perfetto, ma intanto è un gran film.
recuperatelo, se vi era sfuggito, non ve ne pentirete - Ismaele
…Su Elio Germano si sono spesi tutti i
complimenti che era possibile spendere: e sono tutti meritati. In questo film,
in particolare, è disarmante la sua capacità di passare con apparente
semplicità non solo da uno stato d’animo all’altro, ma – viene da dire – da una
condizione antropologica all’altra: assecondando così, e al contempo
esasperando, i mutamenti a cui il suo personaggio (Fausto) è costretto. Basta
un semplice tic che improvvisamente scompare, la diversa intensità di un suo
sguardo, la repentina perdita di fluidità nei movimenti, e Germano è in grado
di rendere con esattezza la nuova condizione esistenziale in cui Fausto è
immerso. Il modo in cui, nelle scene finali, riesce a far evaporare la
pesantezza della tragedia vissuta dai due protagonisti con un paio di battute e
di sorrisi, è semplicemente commovente.
Poi c’è Astrid
Berges-Frisbey (Nadine), attrice di inconsueta bellezza e di gran talento.
Anche lei regala un’interpretazione sontuosa di un personaggio fragile e
determinatissimo, che attraversa, senza mai evitarle, le peripezie in cui resta
inviluppata. Un altro attore che dimostra la sua bravura è sicuramente Valerio
Binasco: il suo Sandro è il personaggio in cui la dimensione comica e quella
tragica si amalgamano meglio per creare un grottesco che in certi momenti (come
quando, coi postumi della sbornia di Capodanno, si mette ad esplodere dei
petardi nel parcheggio di un Autogrill) richiama alla memoria i disgraziati più
riusciti del cinema di Scola o Monicelli.
E però, se gli
attori offrono nel complesso una così alta prova di sé, lo si deve anche ad una
sceneggiatura che, proprio nella costruzione dei personaggi, ha i suoi meriti
maggiori. E dire che non era scontato dare coerenza all’evoluzione di uomini e
donne che, come s’è detto, vivono cambiamenti bruschi e incessanti, e
soprattutto di farlo senza scadere nella banalizzazione o nella
giustapposizione di tante scene volte soltanto a mostrarci quei cambiamenti (un
altro regista che insiste molto sul ribaltamento dei suoi personaggi, come
Ivano De Matteo, cade spesso proprio in questo errore: e non del tutto a torto,
infatti, per La bella gente e per I nostri ragazzi si è
parlato di «sociologismo»). Quando Nadine decide di passare il veglione di
Capodanno nella discoteca diretta da Fausto – l’Alaska, appunto – sappiamo già
che evidentemente ha deciso di riannodare i fili spezzati del loro rapporto, e
dunque non restiamo sorpresi dal fatto che faccia di tutto per avvicinare il
suo ex ragazzo. E tuttavia, se nel momento esatto in cui gli dice «Ci sono
ancora delle tue cose a casa» è difficile non sentire una stretta al cuore, è
perché Cupellini riesce, con quella frase, a rappresentare bene, ma senza
ricorrere a stereotipi, l’intima macerazione in cui il pentimento di Nadine
dev’essere maturato…
…Claudio Cupellini confeziona un film sicuramente anomalo (nei
contenuti e nella forma) nel panorama generalmente piatto e conforme
dell’attuale cinema italiano (la coproduzione d’oltralpe si vede e si sente).
Un dramma pulsante e trascinante che finalmente spazza via i toni
trattenuti, dimessi, mai urlati tipici di una certa filmografia nostrana che
aspira (quando non si considera già da sola) ad essere autoriale.
Guardando Alaska ritorna
alla mente lo splendido, struggente La sposa turca di
Fatih Akin, ma questo film è anche altro: è la necessità di raccontare
l’individualismo esasperato della nostra epoca, l’anaffettività che la governa
e la flagella, il senso di appartenenza a qualcosa/qualcuno praticamente
estinto.
Lo sbando di un mondo moralmente alla deriva, incapace di arrestare
la sua folle corsa verso l’autodistruzione.
…Come
nell’epico romanzo di F. S. Fitzgerald Il
grande Gatsby, fonte d’ispirazione della pellicola, i personaggi
sulla scena affrontano la realtà cercando la via più breve-e comprensibile- per
decifrare i loro sentimenti e i loro desideri, per capire davvero cosa vogliono
dalla vita; l’arco narrativo di cinque anni diventa così il racconto di formazione
di due persone, di due solitudini che si incontrano e che non hanno
nessun’altra boa di salvataggio alla quale aggrapparsi, se non l’uno all’altra.
I
buoni presupposti teorici di Cupellini si perdono nel ritmo lento e “fangoso”
della pellicola, un pantano emotivo senza barlumi che centellina gli
eventi contravvenendo a qualunque regola narrativa tradizionale; così il
regista sceglie piuttosto di disseminare la pellicola di tanti- troppi – colpi
di scena che dovrebbero servire a tenere alta l’attenzione dello spettatore, ma
che purtroppo hanno un unico esito, ovvero rendere forzata la narrazione di una
storia d’amore promettente su carta e che in realtà tende a perdersi tra
le debolezze della propria ossatura narrativa.
…A separarlo dal resto del cinema
che vediamo dunque non sono solo i molti eventi ma anche la maniera inedita
(per il nostro paese) con la quale sono osservati da un regista lontanissimo
dai personaggi, il cui sguardo onnisciente ne segue le gesta quasi stupefatto
quanto il pubblico. Non c'è nessuna adesione a loro, Cupellini sembra non
essere nemmeno dalla loro parte (e del resto ne fanno di cose di cui non c'è da
essere fieri). Solo questo assunto di partenza basterebbe per rendere questo
uno dei film italiani "da vedere" della stagione, anche al netto
della consueta visione esagerata dei sentimenti o della solita iperbolica
voglia di gridare tutto. Una volta tanto si passa sopra volentieri alla
recitazione presenzialista delle scene madri e dei tipici momenti in cui un
attore mette in mostra se stesso invece del film.
Alaska sembra fregarsene di tutto (e finalmente!). Non vuole decidere un'ambientazione, non vuole decidersi a dare struttura alla sua storia, nè equilibrio ai suoi personaggi, si abbandona al caotico vortice della sceneggiatura (ovviamente molto rigorosa e ben scritta per riuscire ad ottenere quest'effetto) ripetendosi, ritornando su punti che pensavamo conclusi (le molte prigioni), uccidendo personaggi come fosse niente e abbandonandone altri senza troppi convenevoli. Ciò che altrove potremmo elencare come difetti qui sono pregi, perché questa qualità espressiva Alaska la mette a frutto, specie nella chiusa, quando vediamo per la prima volta del sentimento onesto e nudo, una dolcezza insperata che dopo un film di ottusa attrazione sembra spiegare tutto.
Come i migliori finali infatti anche questo disegna un raggio di sole tra le nuvole che cambia il senso di ciò che abbiamo visto fino a quel momento.
Alaska sembra fregarsene di tutto (e finalmente!). Non vuole decidere un'ambientazione, non vuole decidersi a dare struttura alla sua storia, nè equilibrio ai suoi personaggi, si abbandona al caotico vortice della sceneggiatura (ovviamente molto rigorosa e ben scritta per riuscire ad ottenere quest'effetto) ripetendosi, ritornando su punti che pensavamo conclusi (le molte prigioni), uccidendo personaggi come fosse niente e abbandonandone altri senza troppi convenevoli. Ciò che altrove potremmo elencare come difetti qui sono pregi, perché questa qualità espressiva Alaska la mette a frutto, specie nella chiusa, quando vediamo per la prima volta del sentimento onesto e nudo, una dolcezza insperata che dopo un film di ottusa attrazione sembra spiegare tutto.
Come i migliori finali infatti anche questo disegna un raggio di sole tra le nuvole che cambia il senso di ciò che abbiamo visto fino a quel momento.
Sì, soprattutto credibile e intenso, bel film ;)
RispondiEliminaun po' mi ha ricordato Fiore (https://markx7.blogspot.it/2016/06/fiore-claudio-giovannesi.html)
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