sono andato al cinema con tutte le migliori intenzioni, i primi 5 minuti fanno ridere, poi poco o niente.
sceneggiatura a incastri, attori bravi, ma alla fine non ti resta molto, parlo per me, naturalmente.
se voleva far ridere, un film nel quale i primi 5 minuti sono i più divertenti ha qualche problema.
forse voleva fare altro, magari pensare, chissà.
o magari era un gioco di battute e per sceneggiatori.
la storia di Maria Yudina è abbastanza vera, la figlia di Stalin sembra Alba Rohrwacher, alla fine scopro che è Andrea Riseborough, una somiglianza impressionante.
magari vi piacerà, a me ha lasciato l'amaro in bocca - Ismaele
sceneggiatura a incastri, attori bravi, ma alla fine non ti resta molto, parlo per me, naturalmente.
se voleva far ridere, un film nel quale i primi 5 minuti sono i più divertenti ha qualche problema.
forse voleva fare altro, magari pensare, chissà.
o magari era un gioco di battute e per sceneggiatori.
la storia di Maria Yudina è abbastanza vera, la figlia di Stalin sembra Alba Rohrwacher, alla fine scopro che è Andrea Riseborough, una somiglianza impressionante.
magari vi piacerà, a me ha lasciato l'amaro in bocca - Ismaele
Siamo solo ai primi di gennaio, ma
già Morto Stalin, se ne fa un altro si candida a
titolo peggiore, e più triviale, del 2018. Perché mai non La morte di Stalin, come da originale? Anche ben
piazzato, se è per questo, come film più sopravvalutato del 2018. Eppure stando
al tam-tam e al can-can scatenatosi in Inghilterra, The Death of Stalin sembrava un film fondamentale.
Di quelli che non ti puoi perdere. La dimostrazione definitiva, secondo i suoi
estimatori, della superiorità dell’umorismo british, e dello spirito british,
sul resto del mondo. Insomma, ci si aspettava il capolavoro, anche sulla scia
di chi a Londra era stato e tornato e ne diceva mirabilie. Macché. Delusione
quando un mese o poco più fa lo si è visto in concorso al Torino Film Festival.
In questo film apparentememente sofisticato e alto, e invece nel suo profondo
di vera volgarità, si scherza pesante su cose maledettamente serie al fine di
cavarne una black comedy ridereccia neanche così riuscita…
…In fondo, a risultare interessante in questo The Death of Stalin non è tanto l’operazione
satirica, quanto la ricostruzione degli eventi. Come un RaiStoria, però con
gran dispiegamento di mezzi e un più alto tasso di spettacolarità e
narrativizzazione. Potrei sbagliarmi, ma l’impressione è che i fatti siano
ripercorsi con fedeltà, solo osservati attraverso la lente deformante del
grottesco. Come in una lotta darwiniana, nella partita di successione
sopravvivono, e vincono, i più furbi e più forti. In testa l’apparentemente
modesto e qualunque Krushev, che riesce a ordire il complotto che porterà alla
defenestrazione (e alla morte ) dell’abominevole Beria, il vero villain di
questo film, e di quel pezzo di storia noventesca. Il clima di sospetto e paura
generalizzati, la delazione diffusa, la sensazione di morte incombente di quei
terribili, ferrigni anni di tenebra sono la lezione vera che The Death of Stalin ci consegna. Ed è anche quello
che resta del film. L’ironia, quella no, quella non passa ed è del tutto
superflua. Non solo per quanto detto sopra, ma anche perché Iannucci si ferma a
metà. Almeno avesse spinto a fondo e impudicamente sulla farsaccia, magari
nell’eccesso il film avrebbe trovato un suo senso, una sua direzione e una
qualche giustificazione. Così è solo un prodotto anfibio, irrisolto, paraculo e
indeciso a tutto. Pure con un ritmo sonnolento. E noi che ci aspettavamo un
crepitio di battute, quel velocissimo ping-pong dei migliori dialoghi da black
british comedy. Occasione mancata.
…funziona
come un congegno ad orologeria, fa della sceneggiatura dello stesso regista
Armando Iannucci (con Peter Fellows, Ian Martin e David Schneider) il punto di
forza intorno al quale far girare la rappresentazione, secondo uno schema non
nuovo, quello della pochade, che però bisogna essere bravissimi a maneggiare affinché
non finisca tutto in farsa. L’operazione è interessante per due motivi. Il
primo, immediato, riguarda l’incastro tra i vari personaggi, i tempi comici del
racconto e i luoghi (quasi tutti interni). Dalla drammaturgia, dalla prova
degli attori e dai dialoghi scaturisce la forza comica del film. Il secondo
motivo riguarda invece il potere nel suo farsi e soprattutto nel suo disfarsi.
Ci si può interrogare se sia lecito ridere di una figura come Berija, che ha
ucciso o mandato a morire centinaia di migliaia di persone, ma qui la vera
domanda è un’altra: riesce The Death of Stalin a conservare
la tragicità di queste figure, dei loro misfatti, pur raccontandole
secondo i codici del comico? Credo di sì. Anzi, si tratteggia con intelligenza
un’autopsia del potere, rappresentato da un tiranno ubiquo e assoluto, per
rivelarne le umanissime miserie.
…Armando Iannucci (nome italiano ma nazionalità britannica con
curriculum invidiabile nella commedia radiofonica e televisiva) evita ogni
sudditanza e si permette di scherzare con le stragi di massa, di mostrare un
disprezzo per la vita a tratti realmente esilarante e una strana atmosfera a
metà tra la rilassatezza della compagnia di amici e la violenza della scalata
al potere. Come se complottare, tramare e condannare quelli che fino a 5 minuti
prima erano amici, fosse un atteggiamento talmente radicato da non essere più faticoso
o “grave”, ma molto naturale e di routine.
Iannucci è magistrale
nell’usare tutte le parti dell’inquadratura per giustificare una battuta, sa
costruire situazioni puramente lubitschane (quella iniziale del concerto di
classica ne è un esempio perfetto) ed è bravissimo ad istruire il suo cast di
attori, creare i presupposti comici e lasciare che i personaggi si scannino a
partire da questi, sapendo che non si potrà che finire in una situazione
esilarante anche grazie alla presenza di Jeffrey Tambor, Steve Buscemi, Jason Isaacs, Michael Palin e Simon Russell Beale.
In questo modo, buttando in farsa la vera
storia, Morto Stalin Se
Ne Fa Un Altro è il primo film a rendere con concreta
impressione di realismo il clima paradossale della burocrazia violenta del
comitato centrale del partito comunista sovietico, gli scambi di parole pensati
per non essere accusati di tradimento, i termini da non usare, l’ossessione
delle cimici, la paradossale fatica nel tenere a mente chi è ancora vivo e chi
è stato eliminato e una strana via di mezzo tra la bramosia di potere e
l’esigenza di emergere per rimanere vivi.
… Grazie ad un cast che
racchiude commedianti di gran razza (da Buscemi a Tambor, a Palin), il film di
Iannucci tuttavia scade nell'incongruo già dal punto di partenza: sentire
recitare in inglese attori inglesi o americani è naturale, ma non lo è se si
parla della storia di una nazione, anche in toni apertamente satirici come in
questo caso. Sarà coerente nell'ambito della produzione dell'autore, ma preso
singolarmente il film pare un giochino ben costruito, forte di un gran cast di
attori di razza (tra le donne una splendida Kurylenko e la folle figlia dello
statista, resa bene dalla Riseborough)
E la caricatura politico-dittatoriale, se vogliamo proprio dirla
tutta, raggiungeva ben altre sfumature e finezze con Mel Brooks protagonista e
pur non regista di quel folle To be or not to be, in pieni anni '80, incentrato
su un altro despota, ma ugualmente indicativo, solo per citare un esempio.
Pertanto ritmo sostenuto, gags ben orchestrate, ma il retrogusto
di farsa organizzata da lontano rimane a rovinare i presupposti di un
divertimento arguto dato per scontato.
…non si può fare a meno di domandarsi cosa ne possa pensare
un russo di un film del genere – e, non è un caso, i russi non sono in nessun
modo coinvolti nella realizzazione di questo film (d’altronde, anche Olga
Kurylenko, che interpreta una pianista, è ucraina) – e non si può fare a meno
di chiedersi come reagirebbero gli americani se qualcuno decidesse di mettere
in burletta l’undici settembre o come reagiremmo noi italiani se qualcuno
facesse la stessa cosa con le Fosse Ardeatine. Lo stesso Guzzanti i fascisti li
ha mandati su Marte. O, ancora, Lubitsch in Vogliamo vivere! mette
in ridicolo il Führer, ma lo fa senza mai dimenticare il dramma. E poi, in più,
quel dramma era il suodramma, di ebreo
tedesco. E allora forse bisogna avere un po’ più di rispetto per le tragedie
altrui.
… The
Death of Stalin is a masterpiece. Everybody involved in its making deserve
applauding for creating such a funny, bold, thought provoking, alarming and
unforgettable film. There is literally not a foot put wrong here and Iannucci once again shows us why he is a war hero on
the satirical comedy battlefield.
Presenting…
Monty Python’s production of George Orwell’s 1984. Or damn close
to it. So The Death of Stalin is akin to
Terry Gilliam’s Brazil, then? Well, sort of. (I
definitely scribbled “Brazil” in my notes while watching.) But Brazil was fiction; clearly inspired by actual
totalitarian regimes, but entirely fictional. Stalin, however, is
based on terrible reality. Perhaps not since Charlie Chaplin’s 1940
satire The Great Dictator has a filmmaker taken on such
awful personalities and events and attempted to make us laugh about it all.
Except in 1940, the atrocious extent of Hitler’s crimes was not yet known. So
has there ever been a film quite like this?
The
audacity of writer-director Armando Iannucci is, therefore, astonishing. Even
more miraculous is that Stalin works as
a comedy. It’s outrageously funny in ways that sometimes make you feel like
you shouldn’t be laughing, but you can’t stop.
Perhaps if
anyone could pull this off, it’s Iannucci, who has previously given us the
television comedy of Veep and The Thick of It (which
spawned the uproarious film In the Loop),
both of which send up contemporary political shenanigans in, respectively, Washington
DC and Whitehall. But, again: those are fictional. And comparatively light next
to the dark, bleak maneuverings of Cold War-era Soviet muckety-mucks, men
responsible for, among other things, mass murder of their own citizens…
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