venerdì 21 luglio 2017

Devil's Knot - Fino a prova contraria – Atom Egoyan

Atom Egoyan gira negli Usa una storia nella quale l'unica certezza è che tre bambini di otto anni vengono ritrovati ammazzati, con una fine crudele.
cosa è successo non lo sapremo mai, che quei tre ragazzi condannati non sono colpevoli è un'altra ipotesi.
non è un film dell'orrore o di violenza, per buona parte è girato in un tribunale.
Colin Firth è l'attore più famoso, un investigatore privato che fa bene la sua parte, in un gioco già deciso dalla vox populi (e dalla tv che amplifica gli umori).
chi si aspetta grandi scene madri sarà deluso, è un film fatto di silenzi, di sguardi, di attese.
a me è piaciuto - Ismaele






Dotato di un gusto particolare per l'essenziale, in questo caso il regista non lascia grande spazio all'espressione emotiva della vicenda, ma si concentra sulla ricostruzione del caso riuscendo allo stesso tempo a descrivere con particolare "fastidio" l'ottusità di una certa provincia americana guidata dal bisogno di aderire a delle convenzioni sociali obsolete.
Una scelta a prima vista fredda e piuttosto drastica ma che invece rappresenta chiaramente la posizione assunta da Egoyan rispetto all'insieme piuttosto confuso di stravolgimenti emotivi e prove inquinate che hanno caratterizzato il caso. Attento, scrupoloso e non nascondendo una sua personale opinione, il regista non cede alla tentazione d'imporre la propria presenza e, utilizzando l'eleganza moderata di Colin Firth, veste il doppio ruolo di osservatore e narratore. In questo modo l'attore, anche se posizionato sempre in una posizione marginale rispetto alla scena del delitto e allo svolgimento processuale, rappresenta lo sguardo con cui il pubblico raccoglie informazioni sulla realtà rappresentata. Stanco e fiaccato dai suoi insuccessi personali, il personaggio continua a lottare spinto dall'ideale di giustizia e dalla necessità di salvaguardare un futuro minacciato proprio dagli uomini. Per questo, seduto tra la folla o sul fondo dell'aula, Colin Firth continua ad imporre la sua presenza mai invasiva per definire il particolare all'interno di un insieme universale. Un lavoro che Egoyan svolge, allo stesso tempo, con la macchina da presa intervallando close up intensi a campi lunghi per raccontare le reazioni dei singoli in relazione con una comunità spesso soffocante e impersonale. Il tutto con un minimalismo che potrebbe rasentare la freddezza, ma che lascia spazio alla forza naturale del dramma liberato da ogni orpello narrativo.

Egoyan mette in scena un film crudo, freddo, quasi analitico. Il caso giudiziario viene preso in esame non tralasciando nessuna parte. La sequenza del ritrovamento dei tre cadaveri è un vero pugno nello stomaco  oltre ad essere una delle rare volte in cui un poliziotto americano viene mostrato sconvolto per un cadavere (siamo lontani anni luce dalla situazione alla CSI dove i detective sono dei superumani immuni alle emozioni). Di contro il lavoro che fa Egoyan alla regia è a tratti quasi documentaristico: pochissimi esterni e molte scene in tribunale, è quasi un esposizione pura  dei fatti riportati sul verbale del caso. Più romanzata è invece la parte che riguarda le motivazioni personali di Ron Lax. Egoyan però non esagera mai e rimane sempre fedele all’impostazione “realistica”, non prova nemmeno a dirci chi ha ucciso i tre ragazzi, nella realtà non si è mai saputo e quindi lui non si sente in diritto di inventarselo. Insomma promosso a pieni voti…

…Facile accostare, quantomeno per ambientazione, quest’ultimo a Fino a prova contraria. Ma la spettrale freddezza del racconto visivo e il peso quasi insostenibile di ogni suo fotogramma, sottolineato da continui flashback e flashforward, rendono Fino a prova contraria il frutto di un pessimismo senza fondo. Come se l’animo umano non si potesse mondare dal marciume di cui è destinato a nutrirsi, e sia costretto a convivere con i propri errori, a volte intravedendo una piccola luce (come la madre di uno dei tre bimbi assassinati, interpretata da una convincente e dolente Reese Whiterspoon), più spesso preferendo crogiolarsi nelle sue sciocche certezze, alimentate dal peso delle menzogne.
Con astuzia, Egoyan e gli sceneggiatori non forniscono certezze, ma accennano e ipotizzano delle possibili soluzioni, smentibili perché anch’esse puramente indiziarie. Si spiegano così alcuni salti logici nello script, come a sottolineare l’impossibilità del raggiungimento di una verità universale. Nerissimo e cupo nel suo gelido spessore, Fino a prova contraria inquieta, insinuandosi silenziosamente sotto pelle. Un bel ritorno, per un maestro del cinema contemporaneo.

…Il problema è che Devil's Knot - Fino a prova contraria non fa quel che sarebbe stato più intelligente fare: osservare la storia attraverso i risvolti psicologici, dal punto di vista dei personaggi, magari da un punto di vista popolare. In questo film invece non c'è un vero e proprio approfondimento, tutto sembra trovarsi là per caso e i margini su cui gli stessi attori hanno potuto lavorare sono minimi. E allora ci ritroviamo con una brava e sfattissima Reese Witherspoon alle prese con un personaggio (Pam Hobbs) insipido, quasi appena abbozzato nonostante la sua importanza, e con un Colin Firth assolutamente imbambolato e monocorde nel ruolo di un investigatore privato che chissà perché prende tanto a cuore una vicenda del genere. Non parlo degli altri attori, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.
Credo che le colpe però siano da dare soprattutto alla coppia di sceneggiatori, Paul Harris Boardman e Scott Derrickson. Quest'ultimo (regista di Sinister) delude ancora una volta in fase di scrittura soprattutto quando affronta la componente religiosa, presente e per lui (si sa) molto importante ma qui trattata come nel peggior film televisivo del pomeriggio presto. Ed è proprio dal punto di vista della sceneggiatura che il film vacilla maggiormente. E sembra che la lezione impartita in questi ultimi anni da illustri predecessori (uno su tutti? Mystic River) non sia stata realmente recepita. Un vero peccato, perché una storia del genere avrebbe meritato molto di meglio. Non di certo questo film assolutamente inutile che non lascia nulla se non un gran senso di delusione. E questa è la cosa peggiore di tutte.

Il grande assente alla fine è proprio la cultura metal - occultistica, che avrebbe fornito sulla carta un ottimo spunto cinematografico. In particolar modo essere riusciti a rendere non interessante un personaggio come Damien Echols (il principale accusato) deve essere stato non semplice dati i diversi livelli di lettura (dal disagio sociale, alla follia, all'intellettualismo) con cui poteva essere affrontata la sua vicenda umana. Sarebbe forse bastato assegnare il ruolo alla stella in ascesa Dane DeHaan invece di relegarlo inspiegabilmente in un ruolo minore. Ma Egoyan non persegue neanche la strada del film di critica sociale: alle gravissime colpe della polizia o all'oppressione religiosa nella Bible belt viene dedicato il minimo tempo possibile. Insomma questi fatti sono successi senza contesto, senza significato, quasi verrebbe da dire senza conseguenze, e il punto di vista da cui vengono guardate è quello della lettura del verbale. Forse Egoyan si è fatto bloccare dal timore di dire qualcosa di improprio in una vicenda che aveva già causato tanto dolore nella realtà?
Notare come il trailer sia volutamente ambiguo, dato che i) fa vedere DeHaan in manette (così suggerendo sia uno degli imputati, quindi uno dei protagonisti), ii) si basa in buona parte sui sogni in modo da tale da far credere che si tratti di un horror quando invece è un legal thriller e pure piuttosto piatto.

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