dopo The Cure e Kairo, Sakebi è il terzo film di Kiyoshi Kurosawa che vedo, gli altri due sono straordinari questo è solo un bel film.
come in The Cure protagonista è un poliziotto in un'indagine con fantasmi, i suoi, ma non solo.
un film da non trascurare, non dare niente per scontato, fatti guidare da Kiyoshi - Ismaele
come in The Cure protagonista è un poliziotto in un'indagine con fantasmi, i suoi, ma non solo.
un film da non trascurare, non dare niente per scontato, fatti guidare da Kiyoshi - Ismaele
…In Retribution Kurosawa torna a narrarci di una società
prossima alla fine del mondo, di una compensazione in vita umane richiesta sia
dalla natura sia dai reietti. Tokyo sembra un grosso cantiere in cui gli
edifici vengono costruiti e distrutti a ciclo continuo; l’acqua del mare
affiora e sembra volersi riprendere ciò che le è stato tolto. E proprio in
pozze di acqua marina vengono ritrovate le vittime (l’acqua per i giapponesi è
simbolo di morte, non ha valenze materne o di rinascita). La società appare
come un conglomerato di distruttori indifferenti, che lasciano morire tutti
coloro che li circondano ed il loro habitat. Il fantasma della donna in rosso,
morta per ignavia altrui, è solo la metafora sanguigna di un senso di colpa
caparbiamente rimosso, ma anche l’annunciatore di una fine prossimo ventura che
non lascerà via d’uscita (”Io sono morta. Dovete morire tutti”). Insomma,
l’ennesimo film sulla fine del mondo preannunciata dall'arrivo di fantasmi…
...Non solo Yoshioka, ma tutto il mondo che lo circonda è destinato
alla morte e alla solitudine, disperso in una città fantasma – il senso di
vuoto delle metropoli descritte da Kurosawa è uno dei tratti peculiari del suo
cinema e una della anomalie più sconvolgenti della messa in scena degli ultimi
anni – che non dà rifugio e ristoro, ossessionato dai sensi di colpa e dalla
propria fallacia.
“Muoio, affinché anche tutti gli altri muoiano” sentenzia la voce fuori campo finale, e mai come in questo caso Kurosawa aveva svelato in maniera così priva di ambiguità le sue intenzioni poetiche ed estetiche; la morte come estremo momento di relazione umana, ultimo appiglio per quella spasmodica ricerca del senso del proprio essere al mondo che attanaglia letteralmente i protagonisti delle pellicole del cineasta nipponico. Morte non come negazione della vita ma come suo completamento, istante unico in cui si può forse comprendere le azioni compiute.
“Muoio, affinché anche tutti gli altri muoiano” sentenzia la voce fuori campo finale, e mai come in questo caso Kurosawa aveva svelato in maniera così priva di ambiguità le sue intenzioni poetiche ed estetiche; la morte come estremo momento di relazione umana, ultimo appiglio per quella spasmodica ricerca del senso del proprio essere al mondo che attanaglia letteralmente i protagonisti delle pellicole del cineasta nipponico. Morte non come negazione della vita ma come suo completamento, istante unico in cui si può forse comprendere le azioni compiute.
Forse, perché il cinema di Kurosawa non si permette il facile lusso
di attribuire risposte certe ai quesiti portati a galla. Peccato che chi ancora
insegue l’ombra di un cinema di genere adagiato nei solchi di un binario già
prestabilito continuerà imperterrito a negarne la grandezza. Chissà, forse
giorno verrà…
…Kurosawa opera una scelta esattamente
a metà tra la sua capacità narrativa superiore, e per molti versi ermetica, e
la spinta divulgativa che opprime i cineasti asiatici della sua generazione,
nel tentativo di uscire dalla frontiera di un cinema bellissimo ma comprensibile
solo in parte ad un pubblico, e in alcuni casi persino una critica, che non si
prende la briga di documentarsi o semplicemente di lasciarsi andare al racconto
e ai ritmi interiori di cui questo si fa portatore. Come nell'ultimo Tsukamoto,
anch'egli alleggerisce i contenuti rendendoli fruibili, ma rifiuta apertamente
la scappatoia degli spiegoni finali, lasciando lo spettatore da solo a fare i
conti con il materiale emerso nel corso della narrazione. E se pure è vero che
la scelta finisce per non accontentare nessuno, siamo comunque di fronte a una
tale superlativa regia da far dimenticare tutto il resto e da spingere a
rivedere i magici fotogrammi che soli raccontano la storia abusata dell'ultimo
cinema di fantasmi che abbia ancora qualcosa da dire.
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