sabato 1 luglio 2017

I delfini – Francesco Maselli








Amaro ritratto di un gruppo di giovani della provincia italiana industrializzata di inizi anni 60.
I "delfini" non sono altro che un gruppo chiuso, una cerchia di persone destinate nel bene o nel male ad ereditare un cospicuo patrimonio lasciato dai genitori, questa è la differenza tra loro ed i comuni mortali che sono al di là della vetrata del caffè "Meletti". Il locale è un loro punto di ritrovo e di esposizione alla pubblica piazza, un loro modo per marcare il territorio, è difficile entrare a far parte del loro giro, o si ha la "grana" oppure bisogna essere una bella donna ma con il rischio di fare la fine della ragazza usa e getta.
Il regista Maselli non fa sconti, non trova un pregio per questi rampolli dell'alta società le cui vite sono senza un uscita, l'unico che comprende un po’ è Anselmo, il narratore del racconto, quello che ricalca il personaggio consapevole, in pratica quello del pentito ma che alla fine cede per debolezza. Poi c'è Fedora, la bella ragazza aspirante delfina, la cui unica ambizione è entrare nel giro…

  I personaggi del film, interpretati tra l'altro da ottimi attori come Antonella Lualdi e Gerard Blain, sembrano presi a prestito da un libro di Moravia che collabora alla sceneggiatura, difatti il regista in seguito girerà "Gli indifferenti" ma risultano troppo schematici, troppo stereotipati. La storia riecheggia "I vitelloni" di Fellini ma mentre in quest'ultima i giovani finiscono per scontarsi con la loro eststenza ne I Delfini il regista sembra assumere un tono moralistico nei confronti dei personaggi: essi sono perdenti in partenza in quanto borghesi: se i Vitelloni guardando il mare si perdono nelle loro domande, nel loro intimo i Delfini invece finiscono per fare una banale litigata tra innamorati. Il regista sembra così restare un pò su schemi un pò banali nella descrizione dei personaggi con una schematizzazione dei ricchi e cattivi che passano le giornate a bighellonare e correre in auto e i poveri buoni come il medico che aiuta gli altri, perdendo così la possibilità di una maggiore introspezione psicologica di Fellini o di Antonioni.
Il film è il racconto di diversi personaggi pur seguendo i diversi sentieri di piccole storie raccontate mentalmente da Anselmo, il ribelle del gruppo che tiene in camera riproduzioni futuriste e cubiste e vorrebbe evadere, finendo a continuare a tirare avanti l'azienda di papà.
Da un altro lato emerge la profonda maestria nell'uso tecnico della macchina da presa con inquadrature complesse e un uso sofisticato del bianco e nero e della fotografia che riescono a dare il segno di un atmosfera di noia, di opaca calma e impossibilità in questi ambienti chiusi ed eleganti, preziosi ma statici e tetri contrapposti a momenti in cui arriva la luce esterna accecante a mostare gli stridori tra i personaggi che si risolvono però nel nulla: difatti il pregio del film è dato dal movimento che sembra muovere questi personaggi, sembra scomporli per poi invece ritornare ad una situazione iniziale di fissità e immutevolezza, come se nulla alla fine fosse successo. Anche il sottofondo musicale un pò seducente e malinconico sembra descrivere queste esistenze eleganti ma tristi e sempre uguali come i palazzi della piccola città. 

Un quadretto della società del momento; sentiamo da vicino le mani di Moravia, con temi che riguardano Gli Indifferenti e La Romana. Si, è vero, ce una traccia di didascalia, con la voce fuori campo, ma se togliessimo quella il film ricalca un certo cinema interessante del momento, dove nacquero dei piccoli gioielli da conservare, grazie anche a produttori come Cristaldi che li stimolò. Qui abbiamo uno studio sulla provincia ed in particolar modo sulla classe della borghesia medio alta provinciale. Lo scetticismo, anche di base politica (Maselli è una bandiera vivente!!), avrà la sua rivincita finale, ma d'altra parte è anche una realtà ben concreta. Maselli, con De Concini, Moravia e Savioli, ma con un occhio attento di Cristaldi, hanno saputo costruire un affresco interessante…

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