domenica 9 luglio 2017

Faccia a faccia – Sergio Sollima

il film è del 1967, appare il branco selvaggio, che poi Sam Peckinpah riprende nel titolo di "The wild bunch", nel 1969.
in quegli anni in Italia si giravano capolavori, questo è uno di quelli; Sergio Sollima, Sergio Leone e Sergio Corbucci (che coincidenza, tutti e tre Sergio) hanno firmato capolavori straordinari, film perfetti.
Gian Maria Volonté e Tomas Milian sono eccezionali, è cinema politico e western, si sentiva aria di rivoluzione, la musica di Ennio Morricone.
Faccia a faccia è Cinema, vogliatevi bene, (ri)guardatelo, è tempo guadagnato - Ismaele




Chissà che Sollima figlio non abbia pensato alla trilogia western del padre leggendo, e poi mettendo in scena, Suburra. C’è una linea inquietante, fatta di sangue e violenza, che lega periodi storici e luoghi profondamente diversi tra loro, come a sigillare una certa ridondanza di errori nei comportamenti umani. Quando la civiltà si trasforma in una giungla, i professori si tramutano in bruti; come il Sebastiano di Suburra, così il Brett Fletcher di Faccia a faccia. Pur con percorsi e approdi differenti (e anche interpretazioni, oserei dire), entrambi i personaggi si confondono in un mondo a loro estraneo che li risucchia nel vortice di violenza e li intrappola. Brett osserva le leggi del selvaggio, rimane affascinato dalla sensazione di potere che può dare un’arma tra le mani, impara ad amare la morte e ad odiare il senso di colpa. Ma la giungla ha anch’essa una morale che non è così facile da apprendere come il premere un grilletto o il mirare al cuore di un nemico; e a differenza di Sebastiano, che sporcandosi le mani acquisisce il pass per le porte dell’inferno, Brett ha un pegno da pagare e un destino da affrontare, perché l’inferno non è ancora giunto nel suo mondo. In fin dei conti, Brett Fletcher ha solamente sbagliato epoca.

vediamo un discorso politico - forse una riflessione sulle ingiustizie sociali e sul ruolo della sinistra - ma è condotto con intelligenza e non è la solita tiritera con morale manichea e scontata.
L'elemento più interessante è il personaggio di Gian Maria Volontè, che interpreta un professore tutto dedito alla cultura e completamente avulso dal mondo che ha attorno a sé. L'imbattersi nel ricercato in fuga (Milian) lo porta abbastanza velocemente a cambiare il suo atteggiamento verso la realtà, sia nel modo di vederla che nel concepire il proprio ruolo verso di essa. Di colpo si sente investito della missione di combattere per i perseguitati e di sradicare l'ingiustizia. Però - attenzione - si ritrova ben presto a giustificare, e persino a lodare, l'uso della violenza a questo scopo. Dice infatti che l'uccidere i prepotenti, anche su larga scala, non è un crimine, ma missione che fa la storia. La sua figura, se per un certo tempo prende gli accenti positivi di chi decide di impegnarsi per il bene, dopo non molto li perde, e assume dei connotati abbastanza opachi o persino inquietanti. La storia è piena, infatti, di torbidi personaggi che hanno compiuto massacri in nome della giustizia e della libertà, non ottenendo nulla di quanto si proponevano e solo facendo scorrere fiumi di sangue. Se il film fosse degli anni '70 sarebbe stata una riflessione quasi scontata, visto appunto il diffondersi del terrorismo dopo il '68. Il fatto però che la pellicola sia del 1967 le dà in questo senso degli accenti quasi profetici, o come minimo rivela lo sguardo acuto e problematico del regista, coautore della sceneggiatura e, si dice, autore del soggetto. Egli colse, credo, ciò che allora stava solo covando nelle menti di certi intellettuali e professori universitari, e che si sarebbe manifestato di lì a poco.
Per il resto, è un film girato bene e agilmente, con padronanza della tecnica e con inventiva…

La nemesi di un quieto professore tisico che, alla ricerca di un clima più asciutto, s'incrocia col mucchio selvaggio di Beauregard Bennet. L'attrazione è reciproca. La superiorità intellettuale di Fletcher si contrappone all'istintività di Boreguard, in un crescendo progressivo che porta alla regressione del primo (la razionalità al servizio del male) e alla crescita del secondo (bandito sì, ma di cuore). È un western atipico e splendido, con un soggetto geniale su personaggi ispirati alla realtà. Il "mucchio" poi è di primissima qualità.

Faccia a Faccia, per merito soprattutto dell'interpretazione dei due grandissimi protagonisti Gian Maria Volonté e Tomas Milian, è uno di quei film che sotto una "facciata" di semplicità, di azione e revolverate fa pensare e pone quesiti semplici quanto efficaci. La pellicola di Sollima va ben oltre il genere, sembra infatti che il western sia solo un pretesto per chiedersi (e chiederci) se effettivamente l'ambiente circostante può influenzare l'uomo che lo abita e se un uomo, con un retaggio particolare (da bandidos o dotto che sia), possa cambiare radicalmente fin'anche ad estremizzarsi. La figura di Fletcher, ex professore malaticcio, timido e impacciato nel selvaggio west è quella più inquietante e più interessante tra quelle rappresentate nel film. Il suo cambiamento è drastico e totale, così imponente da andare oltre a quello dello zotico maestro... probabilmente criminale non per scelta ma per sopravvivenza. E sono proprio la scelta, elemento cardine della storia, e il favore delle circostanze che trasformano il mite professore in spietato bandito, il quale libero dalle restrizioni del mondo puritano e civilizzato può dar libero sfogo alle più recondite intenzioni. Dal'altra parte il bandidos Beauregard Bennet fa da controparte in questo gioco, elevandosi e scegliendo liberamente di abbandonare quei panni, che probabilmente era costretto ad indossare, di spietato pistolero…

Una pellicola ottima, con un cast bene assortito e due protagonisti strepitosi. La regia è attenta e mai banale, spesso Sollima suggerisce piuttosto che mostrare. Se la trama ricorda per tratti tante analoghe situazioni da "spaghetti western", il percorso che porta i protagonisti (Milian e Volonté) ad un radicale mutamento della propria visione della vita aggiunge al film una dimensione morale raramente riscontrabile in prodotti simili. Uno dei migliori western degli Anni Sessanta.

Grandissimo film. La trama bellissima e originale, due protagonisti eccellenti quanto diversi fra loro. Milian serio, i lunghi e nerissimi capelli al vento, gli occhi scurissimi e guardinghi della belva. Volontè mattatore dei dialoghi (in realtà irresistibili monologhi), intellettuale timido, frustrato, violento, folle.
Una regia perfetta racconta una bella vicenda umana senza dimenticare lo spettacolo western, dosando sapientemente le sparatorie. Tutte le sequenze di azione sono girate con maestria, come la rapina al treno, raccontata con poche efficaci inquadrature.
La chitarra di Morricone incalza le scene di tensione, ma ci sono anche sequenze maestose dove la lirica del Maestro vola davvero alto.
Bellissima la prefazione, la sigla, la scena finale. Bellissimo tutto.

Là, in quel West più immaginario che fedele alla Storia, Cinecittà realizza film che, nascosti sotto i modi del genere, vanno spesso a intercettare e esprimere gli umori rivoluzionari e le istanze neomarxiste dei tardi anni Sessanta. In questo di Sergio Sollima un professore tisico e di modi e valori assai borghesi incrocia per caso un fuorilegge che si fa chiamare Beauregard. Succederà che il professore resterà ammaliato dalla carica furente e selvaggia del bandito, lo seguirà, diventerà lui stesso un professionista della violenza. Fino a credersi oltre ogni legge e regola. Borghese e sottoproletario finiscono col cambiare, e con lo scambiarsi i ruoli, in quella che è, in forma di western, una riflessione amarissima sulla violenza rivioluzionaria e sulle manipolazioni da parte delle classi dominanti. Gian Maria Volontè è il gringo convertito alla pistola, Tomas Milian il fuorilegge. Basterebbe la loro presenza a giustificare la visione di Faccia a faccia

…The right mix of style and substance, Face To Face is as much about the relationship that develops between its too leads as it is about shoot outs and horse based chase scenes and for that reason, it's obviously important that the two leads be up to snuff. Thankfully, when you've got actors like Milian and Volonte cast, it's pretty much a given that they will be… and they are. Milian is admirably restrained in spots and wildly manic in others and it's a blast to watch his character's mood shift as the storyline calls for it. Milian has long excelled playing eccentric types and can sometimes overdo it but here, it works. He's perfect in the role and the back and forth between he and the older, wiser and more subdued Volonte provides foundation for Solima to build his story upon. Supporting work from William Berger as a Pinkteron and Nello Pazzafini as one of Bennett's thugs are solid as well, but it's Milian and Volonte that do the bulk of the heavy lifting here, it really is their show the vast majority of the time.
The movie is beautifully shot with stunning cinematography on hand that rivals what you'd see in the lauded Morricone Spaghetti Westerns made around the same time. Long, sweeping shots of the desert landscape are plentiful with close up shots used to highlight action, tension and facial expressions. Given how dusty and earthy the locations used for the shoot really are, there's good use of color here too. Sometimes it's a splash of blood, the aftermath of conflict, but other times it's costume and wardrobe or room décor but Solima and company ensure that there's always something interesting to look at, to keep your eyes busy. But it never distracts from the way that the story is unfolding, the way that the characters are developing or the way that the actors are delivering their very fine performances.
Wrap all of this up in a gorgeous score from Ennio Morricone and it's clear that Face To Face comes out a winner, an underappreciated gem of a western that fires on all cylinders from its crazy and colorful opening credits to its thrilling conclusion.


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