il film è
del 1967, appare il branco selvaggio, che poi Sam Peckinpah riprende nel
titolo di "The wild bunch", nel 1969.
in quegli
anni in Italia si giravano capolavori, questo è uno di quelli; Sergio
Sollima, Sergio Leone e Sergio Corbucci (che coincidenza, tutti e tre Sergio)
hanno firmato capolavori straordinari, film perfetti.
Gian
Maria Volonté e Tomas Milian
sono eccezionali, è cinema politico e western, si sentiva aria di rivoluzione,
la musica di Ennio Morricone.
Faccia
a faccia è Cinema, vogliatevi bene,
(ri)guardatelo, è tempo guadagnato - Ismaele
Chissà che Sollima figlio non abbia pensato alla
trilogia western del padre leggendo, e poi mettendo in scena, Suburra. C’è
una linea inquietante, fatta di sangue e violenza, che lega periodi storici e
luoghi profondamente diversi tra loro, come a sigillare una certa ridondanza di
errori nei comportamenti umani. Quando la civiltà si trasforma in una
giungla, i professori si tramutano in bruti; come il Sebastiano di Suburra, così il Brett Fletcher di Faccia a faccia. Pur con percorsi e approdi differenti
(e anche interpretazioni, oserei dire), entrambi i personaggi si
confondono in un mondo a loro estraneo che li risucchia nel vortice di violenza
e li intrappola. Brett osserva le leggi del selvaggio, rimane affascinato dalla
sensazione di potere che può dare un’arma tra le mani, impara ad amare la morte
e ad odiare il senso di colpa. Ma la giungla ha anch’essa una morale
che non è così facile da apprendere come il premere un grilletto o il mirare al
cuore di un nemico; e a differenza di Sebastiano, che sporcandosi le
mani acquisisce il pass per le porte dell’inferno, Brett ha un pegno da
pagare e un destino da affrontare, perché l’inferno non è ancora giunto nel suo
mondo. In fin dei conti, Brett Fletcher ha solamente sbagliato epoca.
…vediamo un discorso politico - forse una riflessione
sulle ingiustizie sociali e sul ruolo della sinistra - ma è condotto con
intelligenza e non è la solita tiritera con morale manichea e scontata.
L'elemento più interessante è il personaggio di Gian Maria Volontè, che interpreta un professore tutto dedito alla cultura e completamente avulso dal mondo che ha attorno a sé. L'imbattersi nel ricercato in fuga (Milian) lo porta abbastanza velocemente a cambiare il suo atteggiamento verso la realtà, sia nel modo di vederla che nel concepire il proprio ruolo verso di essa. Di colpo si sente investito della missione di combattere per i perseguitati e di sradicare l'ingiustizia. Però - attenzione - si ritrova ben presto a giustificare, e persino a lodare, l'uso della violenza a questo scopo. Dice infatti che l'uccidere i prepotenti, anche su larga scala, non è un crimine, ma missione che fa la storia. La sua figura, se per un certo tempo prende gli accenti positivi di chi decide di impegnarsi per il bene, dopo non molto li perde, e assume dei connotati abbastanza opachi o persino inquietanti. La storia è piena, infatti, di torbidi personaggi che hanno compiuto massacri in nome della giustizia e della libertà, non ottenendo nulla di quanto si proponevano e solo facendo scorrere fiumi di sangue. Se il film fosse degli anni '70 sarebbe stata una riflessione quasi scontata, visto appunto il diffondersi del terrorismo dopo il '68. Il fatto però che la pellicola sia del 1967 le dà in questo senso degli accenti quasi profetici, o come minimo rivela lo sguardo acuto e problematico del regista, coautore della sceneggiatura e, si dice, autore del soggetto. Egli colse, credo, ciò che allora stava solo covando nelle menti di certi intellettuali e professori universitari, e che si sarebbe manifestato di lì a poco.
Per il resto, è un film girato bene e agilmente, con padronanza della tecnica e con inventiva…
L'elemento più interessante è il personaggio di Gian Maria Volontè, che interpreta un professore tutto dedito alla cultura e completamente avulso dal mondo che ha attorno a sé. L'imbattersi nel ricercato in fuga (Milian) lo porta abbastanza velocemente a cambiare il suo atteggiamento verso la realtà, sia nel modo di vederla che nel concepire il proprio ruolo verso di essa. Di colpo si sente investito della missione di combattere per i perseguitati e di sradicare l'ingiustizia. Però - attenzione - si ritrova ben presto a giustificare, e persino a lodare, l'uso della violenza a questo scopo. Dice infatti che l'uccidere i prepotenti, anche su larga scala, non è un crimine, ma missione che fa la storia. La sua figura, se per un certo tempo prende gli accenti positivi di chi decide di impegnarsi per il bene, dopo non molto li perde, e assume dei connotati abbastanza opachi o persino inquietanti. La storia è piena, infatti, di torbidi personaggi che hanno compiuto massacri in nome della giustizia e della libertà, non ottenendo nulla di quanto si proponevano e solo facendo scorrere fiumi di sangue. Se il film fosse degli anni '70 sarebbe stata una riflessione quasi scontata, visto appunto il diffondersi del terrorismo dopo il '68. Il fatto però che la pellicola sia del 1967 le dà in questo senso degli accenti quasi profetici, o come minimo rivela lo sguardo acuto e problematico del regista, coautore della sceneggiatura e, si dice, autore del soggetto. Egli colse, credo, ciò che allora stava solo covando nelle menti di certi intellettuali e professori universitari, e che si sarebbe manifestato di lì a poco.
Per il resto, è un film girato bene e agilmente, con padronanza della tecnica e con inventiva…
La nemesi
di un quieto professore tisico che, alla ricerca di un clima più asciutto,
s'incrocia col mucchio selvaggio di Beauregard Bennet. L'attrazione è
reciproca. La superiorità intellettuale di Fletcher si contrappone
all'istintività di Boreguard, in un crescendo progressivo che porta alla
regressione del primo (la razionalità al servizio del male) e alla crescita del
secondo (bandito sì, ma di cuore). È un western atipico e splendido, con un
soggetto geniale su personaggi ispirati alla realtà. Il "mucchio" poi
è di primissima qualità.
…Faccia a Faccia, per merito soprattutto
dell'interpretazione dei due grandissimi protagonisti Gian Maria
Volonté e Tomas Milian, è uno di quei film che sotto una
"facciata" di semplicità, di azione e revolverate fa pensare e pone
quesiti semplici quanto efficaci. La pellicola di Sollima va ben
oltre il genere, sembra infatti che il western sia solo un pretesto per
chiedersi (e chiederci) se effettivamente l'ambiente circostante può
influenzare l'uomo che lo abita e se un uomo, con un retaggio particolare (da
bandidos o dotto che sia), possa cambiare radicalmente fin'anche ad
estremizzarsi. La figura di Fletcher, ex professore malaticcio,
timido e impacciato nel selvaggio west è quella più inquietante e più
interessante tra quelle rappresentate nel film. Il suo cambiamento è drastico e
totale, così imponente da andare oltre a quello dello zotico maestro...
probabilmente criminale non per scelta ma per sopravvivenza. E sono proprio la
scelta, elemento cardine della storia, e il favore delle circostanze che
trasformano il mite professore in spietato bandito, il quale libero dalle
restrizioni del mondo puritano e civilizzato può dar libero sfogo alle più
recondite intenzioni. Dal'altra parte il bandidos Beauregard Bennet fa
da controparte in questo gioco, elevandosi e scegliendo liberamente di
abbandonare quei panni, che probabilmente era costretto ad indossare, di
spietato pistolero…
Una
pellicola ottima, con un cast bene assortito e due protagonisti strepitosi. La
regia è attenta e mai banale, spesso Sollima suggerisce piuttosto che mostrare.
Se la trama ricorda per tratti tante analoghe situazioni da "spaghetti
western", il percorso che porta i protagonisti (Milian e Volonté) ad un
radicale mutamento della propria visione della vita aggiunge al film una
dimensione morale raramente riscontrabile in prodotti simili. Uno dei migliori
western degli Anni Sessanta.
Grandissimo film. La trama bellissima e originale, due
protagonisti eccellenti quanto diversi fra loro. Milian serio, i lunghi e
nerissimi capelli al vento, gli occhi scurissimi e guardinghi della belva.
Volontè mattatore dei dialoghi (in realtà irresistibili monologhi),
intellettuale timido, frustrato, violento, folle.
Una regia perfetta racconta una bella vicenda umana senza dimenticare lo spettacolo western, dosando sapientemente le sparatorie. Tutte le sequenze di azione sono girate con maestria, come la rapina al treno, raccontata con poche efficaci inquadrature.
La chitarra di Morricone incalza le scene di tensione, ma ci sono anche sequenze maestose dove la lirica del Maestro vola davvero alto.
Bellissima la prefazione, la sigla, la scena finale. Bellissimo tutto.
Una regia perfetta racconta una bella vicenda umana senza dimenticare lo spettacolo western, dosando sapientemente le sparatorie. Tutte le sequenze di azione sono girate con maestria, come la rapina al treno, raccontata con poche efficaci inquadrature.
La chitarra di Morricone incalza le scene di tensione, ma ci sono anche sequenze maestose dove la lirica del Maestro vola davvero alto.
Bellissima la prefazione, la sigla, la scena finale. Bellissimo tutto.
…Là, in quel West più immaginario che fedele alla
Storia, Cinecittà realizza film che, nascosti sotto i modi del genere, vanno
spesso a intercettare e esprimere gli umori rivoluzionari e le istanze
neomarxiste dei tardi anni Sessanta. In questo di Sergio Sollima un
professore tisico e di modi e valori assai borghesi incrocia per caso un
fuorilegge che si fa chiamare Beauregard. Succederà che il professore resterà
ammaliato dalla carica furente e selvaggia del bandito, lo seguirà, diventerà
lui stesso un professionista della violenza. Fino a credersi oltre ogni legge e
regola. Borghese e sottoproletario finiscono col cambiare, e con lo scambiarsi
i ruoli, in quella che è, in forma di western, una riflessione amarissima sulla
violenza rivioluzionaria e sulle manipolazioni da parte delle classi dominanti.
Gian Maria Volontè è il gringo convertito alla pistola, Tomas Milian il
fuorilegge. Basterebbe la loro presenza a giustificare la visione di Faccia a faccia…
…The right mix of style and substance, Face To Face is
as much about the relationship that develops between its too leads as it is
about shoot outs and horse based chase scenes and for that reason, it's
obviously important that the two leads be up to snuff. Thankfully, when you've
got actors like Milian and Volonte cast, it's pretty much a given that they
will be… and they are. Milian is admirably restrained in spots and wildly manic
in others and it's a blast to watch his character's mood shift as the storyline
calls for it. Milian has long excelled playing eccentric types and can
sometimes overdo it but here, it works. He's perfect in the role and the back
and forth between he and the older, wiser and more subdued Volonte provides
foundation for Solima to build his story upon. Supporting work from William Berger
as a Pinkteron and Nello Pazzafini as one of Bennett's thugs are solid as well,
but it's Milian and Volonte that do the bulk of the heavy lifting here, it
really is their show the vast majority of the time.
The movie is beautifully shot with stunning cinematography
on hand that rivals what you'd see in the lauded Morricone Spaghetti Westerns
made around the same time. Long, sweeping shots of the desert landscape are
plentiful with close up shots used to highlight action, tension and facial
expressions. Given how dusty and earthy the locations used for the shoot really
are, there's good use of color here too. Sometimes it's a splash of blood, the
aftermath of conflict, but other times it's costume and wardrobe or room décor
but Solima and company ensure that there's always something interesting to look
at, to keep your eyes busy. But it never distracts from the way that the story
is unfolding, the way that the characters are developing or the way that the
actors are delivering their very fine performances.
Wrap all of this up in a gorgeous score from Ennio
Morricone and it's clear that Face To Face comes out a winner,
an underappreciated gem of a western that fires on all cylinders from its crazy
and colorful opening credits to its thrilling conclusion.
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