mercoledì 15 ottobre 2025

Il tesoro della Sierra Madre - John Huston

i soliti yankees vanno a conquistare il mondo, questa volta in Messico.

due disperati in cerca di fortuna si uniscono a un vecchio ed esperto cercatore d'oro.

nella prima parte il film mostra la disperazione e la fame dei due, nella seconda parte c'è la speranza e la fatica di cercare l'oro.

e poi il dramma, il vecchio diventa una specie di dio in terra, amato e venerato dagli indigeni, e i due yankees ottengono quello che meritano.

pare che il film abbia avuto difficoltà in fase di produzione con le autorità messicane per il trattamento applicato ai poveri, ingenui, e un po' scemi, messicani. 

un film che merita.

buona (yankee) visione - Ismaele

 

 

QUI si può vedere il film completo



Le immagini in bianco e nero rendono a pieno il senso del sudore, della polvere, del sole che acceca. La telecamera imprigiona l’avidità, le paranoie dei protagonisti, le loro sconfitte morali, lo stress mentale. Bogart è perfetto, cencioso, logoro, nevrastenico, con addosso espressioni tese e spigolose, è l’uomo che si entusiasma nel soggiogare suo fratello in nome della ricchezza. Arriva al punto d’accusare il suo amico di voler rubare i suoi sacchi di polvere e lo sfida a non dormire per stare all’erta. E’ lui poi ad aggredirlo sino a ritenerlo morto ed a rubargli l’oro. Non si rende conto di andar incontro alla morte, morale, prima che fisica. E’ anche la sua stessa follia però a mostrare ai suoi compagni quanto possa essere fugace la ricchezza e quanto, infine, poco importi.

da qui

 

John Huston vinse un meritato Oscar per la miglior regia per questo "Tesoro della Sierra Madre", che resta uno dei suoi film più apprezzati. Anche il padre Walter Huston fu premiato come migliore attore non protagonista, raro caso di padre e figlio premiati per lo stesso film. È una sorta di western moderno di taglio avventuroso che resta fra le pellicole più godibili e avvincenti del regista, un film girato con indubbia maestria a livello visivo, tanto che non condivido la critica di Morandini che nel suo Castoro sul regista parla di "accademismo figurativo". È un racconto di ampio respiro che alterna toni leggeri e un registro più drammatico, con un messaggio di condanna verso l'avidita' umana che non scivola nel moralismo. Grande Humphrey Bogart nella parte del cinico Dobbs, uno dei suoi personaggi più negativi reso con un convincente approfondimento psicologico, ma altrettanto in forma l'anziano Huston, e non male il giovane Tim Holt, protagonista di western di serie B, attore di non eccezionali risorse espressive che era stato comunque scelto da Orson Welles per uno dei ruoli più importanti ne "L'orgoglio degli Amberson". Le riprese in esterni messicani sono quelle più sensazionali, con un realismo che Huston continuerà a ricercare anche ne "La regina d'Africa" con riprese nelle autentiche location africane, che all'epoca erano una novità per il cinema hollywoodiano. Meno stilizzato rispetto ad altri suoi celebri film noir, questo Tesoro resta un piccolo gioiello che merita di essere scoperto dalle nuove generazioni.

da qui

 

L' avidità é un morbo inarrestabile che infetta gli uomini, annientandone ogni riserva morale, ogni barlume di lucidità. Dopo una ventina di minuti iniziali parecchio parlati il film decolla per non fermarsi più, narrando le (dis)avventure di un trio sempre costretto a guardarsi le spalle, che nel cercare l'oro non capisce di aver firmato la propria condanna. Il viaggio diventa parabola di morte, la pazzia scava solchi profondi nei personaggi, tutti in balia di una natura selvaggia, che non lascia andare facilmente ciò che è suo.

Houston asseconda questo clima di tensione, attraverso una regia esemplare, che si alterna fra campi larghi e primi piani di toccante intensità, assecondando dunque le prove maiuscole degli interpreti.
I personaggi appaiono come drogati, ipnotizzati dal miraggio del guadagno, seppur influenzati in maniera diversa dalla smania della febbre da oro; l'evoluzione del personaggio interpretato da Bogart é emblematica in questo senso, trasfigurato da canaglia a vero diavolo.

L'attore sfrutta tutta l'immobilita del labbro superiore ( ferito durante il servizio militare, quando un detenuto gli "appoggiò" le manette in faccia, e da allora rimasto così ) per dare vita ad un interpretazione nervosa e folle. Il divo prende le distanze dall'aplomb dei ruoli precedenti: messi da parte impermeabile e cappello resta sempre memorabile, seppur sudato e barbone. Il cinismo di Dobbs fa spaventosamente capolino come una serpe farebbe da un pertugio, prendendosi a metà con il regista i meriti del successo di questa pellicola ( anche se l'Oscar lo vinse Walter Houston). 
C'è tutto nel "Tesoro della Sierra Madre": thriller , avventura, ritmo, grandi personaggi , straordinarie evoluzioni dei caratteri, dialoghi magnificenti ed un finale che più beffardo non si può.

Invecchiato benone direi.

da qui 



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