domenica 5 ottobre 2025

La voce di Hind Rajab - Kaouther Ben Hania

il film è semplice semplice, drammaticamente semplice, una bambina che non vuole morire è sotto il tiro dei soldati nazifascisti israeliani a Gaza.

il film è tutto al telefono, con la voce vera di Hind Rajab, che chiede aiuto alla Mezzaluna Rossa, che non riuscirà a salvarla.

gli attori sono bravissimi, non riescono a non essere coinvolti dalla telefonate della bambina.

Hind è in mezzo a un genocidio, quegli assassini sparano a tutto e a a tutti, personale sanitario e delle ambulanze per primi.

non c'è molto da dire, solo che è un film da non perdere.

buona (sofferta) visione - Ismaele

  

 

ps: negli ultimi anni sono apparsi due bei film europei tutti al telefono: Il colpevole (Guilty) e Locke 

 

 

  

…Le voci dei personaggi spesso si intersecano con quelle dei veri operatori della Mezzaluna Rossa, in alcune occasioni addirittura si sovrappongono: il risultato è un cortocircuito emotivo che pare limitarsi all’angusto spazio del centro operativo, senza fornire un’apertura ampia sulla cronaca che si sta verificando (e che si è verificata, diventando Storia) all’esterno. La fiction ricostruisce la cronaca servendosi dei dati reali e oltrepassa il limite del non rappresentabile ampliando l’orizzonte. I file con la voce della povera bambina, già famosi perché divulgati in rete, trasportano la vicenda dai social e dalle cronache in cui sono circolati alle sale e ai festival, catturando nuove fette di pubblico e diventando ulteriori momenti di denuncia e commozione.

Il cinema lavora sui suoi limiti agendo per preterizione, accettando di non mostrare per lavorare su altri canali di espressione. Dando purtroppo per scontato il controcampo pur nella sua invisibilità e utilizzando la sola voce in una situazione i cui gli spari la rendono perfettamente immaginabile, il film mostra una forza di evocazione ancora più potente perché si concentra sul simbolo, sull’icona materializzata, come le macchie di luce su un vetro che, ingrandite, rivelano la sagoma stilizzata e inerme della bambina disegnata dagli operatori in precedenza…

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Nel corso degli 86 serratissimi minuti che compongono La voce di Hind Rajab, emerge tutta la fatica degli operatori nel tentativo di dialogare con una bambina avvolta dalla morte; l’impotenza dell’aiuto a fronte di una tragedia umanitaria ancora in corso;  l’incomprensibilità di settanta minuti di telefonata in cui si consuma una vita ancora inesplosa. Omar vuole coordinare, non può limitarsi all’ascolto impotente. Rana partirà truccata, spronando Omar a fare il suo lavoro, ma il suo viso finirà per confondersi con il bianco del suo completo. Mehdi tenta di restare vigile, la psicologa Clara di offrire il supporto necessario a una situazione totalmente disumana. Il controcampo uditivo è quello della totale confusione della piccola Hanood, che risponde continuamente di “no“, che pensa che gli altri stiano dormendo, che afferma che non le piace niente, che sa che non c’è tempo. Proprio questa corsa contro gli istanti che fuggono annienta i volontari della Mezzaluna, interpretati da attori professionisti che hanno avuto accesso alle registrazioni autentiche di Hind solo una volta sul set…

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La voce di Hind Rajab non esce mai dalla postazione della Mezzaluna Rossa in cui si trovano gli operatori – li interpretano Saja KilaniMotaz MalheesClara KhouryAmer Hlehel – che parlano al telefono con la bambina mentre, impotenti, provano a salvarla. L’operazione richiederebbe 8 minuti, non di più, ma la burocrazia delle zone di guerra complica i piani. Quando l’ambulanza parte il rischio è alto, anche per i soccorritori. Kaouther Ben Hania, tunisina, candidata all’Oscar Internazionale per L’uomo che vendette la sua pelle (2020), costruisce La voce di Hind Rajab sulla sovrapposizione di fiction – gli operatori al telefono sono attori che interpretano la parte dei veri operatori replicandone il comportamento con millimetrica esattezza – e brutale oggettività – la voce della bambina – e in mente ha un cinema ibrido, politicamente incendiato, a scardinare il concetto di rappresentazione e forzare i limiti dello storytelling cinematografico. Annullare e riscrivere la fiction, contaminandola con la realtà; questo è il gioco. Era possibile spingersi oltre, muovendo verso frontiere artisticamente più audaci, ragionando sul rapporto tra verità e rappresentazione, ma non era la priorità di Kaouther Ben Hania. Era l’emozione la cosa più importante, e la morale che viene subito dopo. La morale, in cinque parti, e uno strano paradosso, sono i segreti di un film tremendo e irrinunciabile…

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Gli applausi a Venezia non cambiano nulla della situazione a Gaza. Hind Rajab non c’è più, e insieme a lei, molti altri bambini ogni singolo giorno. La carestia continua a crescere. Le bombe continuano a cadere.

Piuttosto che rappresentare solidarietà, questi gesti cinematografici funzionano come performance simboliche che pacificano il pubblico globale lasciando intatte le strutture della violenza. Operano meno come interventi e più come rituali di coscienza, progettati per produrre gratificazione morale per gli spettatori piuttosto che sollievo materiale per le vittime. Ciò che emerge non è consapevolezza – poiché la consapevolezza satura già la sfera mediatica globale – ma uno spettacolo di sofferenza accuratamente curato, tradotto in capitale culturale. Lo stesso applauso che segue diventa un segno di sicurezza morale, consentendo agli spettatori di affermare la propria umanità mentre le condizioni di disumanità rimangono immutate.

Traduzione a cura di Grazia Parolari

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Kaouther Ben Hania punta la cinepresa sui volti dei protagonisti, tutti bravissimi, sceglie uno stile asciutto e senza fronzoli, quasi documentaristico, soffermandosi su pochi gesti di cameratismo e conforto (quelli commuovono realmente) e annullando il confine tra drammatizzazione ed eventi reali grazie all'uso intelligente di file audio e cellulari. Bastano questo, il tempo scandito con un pennarello impietoso e le inquadrature finali di una madre compresa in un dignitoso dolore, a stringere il cuore di chi vuole ascoltare e capire, anche quando c'è solo silenzio. Perché è sicuramente la voce, reale, terrorizzata, di Hind Rajab, puntellata da spari e dal suono dei cingoli di un carro armato, a schiacciare come un macigno, ma è ancora più orribile ciò che non si vede e non si sente. Non si sente la voce di chi sta comodo in poltrona a distribuire con ostentazione una stiracchiata salvezza, solo perché "importante"; non si vedono i soldati israeliani, impegnati in un folle gioco tra gatto e topo (nel dialogo più terribile del film si sottolinea l'impossibilità che i soldati non si siano accorti della presenza di una persona ancora viva, e la certezza che la conversazione venisse intercettata, e visto il livello tecnologico dell'esercito israeliano solo chi è in malafede potrebbe sostenere il contrario); non si vede l'ultimo, disperato viaggio di un'ambulanza che non ha mai raggiunto la destinazione, rappresentata dal disegno di un'auto su una mappa digitale. Non si vede tutto ciò che hanno vissuto gli operatori della Mezzaluna Rossa prima di quella terribile telefonata, né tutte le tragedie che sono seguite, e davanti all'orrore di tante vite spezzate inutilmente, la vera domanda che mi tormenta dalla fine del film è se chi non è morto abbia ancora la forza psicologica di resistere e combattere per rimanere sano di mente, perché io non so proprio se riuscirei. Lasciate perdere le diatribe oziose da festival cinematografici e le critiche dei cosiddetti esperti del settore e, per una volta, date retta al cuore, anche se rischia di spezzarsi; correte a vedere La voce di Hind Rajab e tenetevi strette a lungo le sensazioni che vi lascerà, perché ce ne sarà bisogno, se vorremo rimanere umani nei tempi bui che ci aspettano.

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