il film è semplice semplice, drammaticamente semplice, una bambina che non vuole morire è sotto il tiro dei soldati nazifascisti israeliani a Gaza.
il film è tutto al telefono, con la voce vera di Hind Rajab, che chiede aiuto alla Mezzaluna Rossa, che non riuscirà a salvarla.
gli attori sono bravissimi, non riescono a non essere coinvolti dalla telefonate della bambina.
Hind è in mezzo a un genocidio, quegli assassini sparano a tutto e a a tutti, personale sanitario e delle ambulanze per primi.
non c'è molto da dire, solo che è un film da non perdere.
…Le voci dei
personaggi spesso si intersecano con quelle dei veri operatori della Mezzaluna
Rossa, in alcune occasioni addirittura si sovrappongono: il risultato è un
cortocircuito emotivo che pare limitarsi all’angusto spazio del centro
operativo, senza fornire un’apertura ampia sulla cronaca che si sta verificando
(e che si è verificata, diventando Storia) all’esterno. La fiction
ricostruisce la cronaca servendosi dei dati reali e oltrepassa il limite del
non rappresentabile ampliando l’orizzonte. I file con la voce della
povera bambina, già famosi perché divulgati in rete, trasportano la vicenda dai
social e dalle cronache in cui sono circolati alle sale e ai festival,
catturando nuove fette di pubblico e diventando ulteriori momenti di denuncia e
commozione.
Il cinema
lavora sui suoi limiti agendo per preterizione, accettando di non mostrare per
lavorare su altri canali di espressione. Dando purtroppo per scontato
il controcampo pur nella sua invisibilità e utilizzando la sola voce in una
situazione i cui gli spari la rendono perfettamente immaginabile, il film
mostra una forza di evocazione ancora più potente perché si concentra sul
simbolo, sull’icona materializzata, come le macchie di luce su un vetro che,
ingrandite, rivelano la sagoma stilizzata e inerme della bambina disegnata
dagli operatori in precedenza…
…Nel corso degli 86 serratissimi minuti che
compongono La voce di Hind Rajab, emerge tutta la fatica
degli operatori nel tentativo di dialogare con una bambina avvolta dalla morte;
l’impotenza dell’aiuto a fronte di una tragedia umanitaria ancora in
corso; l’incomprensibilità di settanta minuti di telefonata in cui si
consuma una vita ancora inesplosa. Omar vuole coordinare, non può limitarsi
all’ascolto impotente. Rana partirà truccata, spronando Omar a fare il suo
lavoro, ma il suo viso finirà per confondersi con il bianco del suo completo.
Mehdi tenta di restare vigile, la psicologa Clara di offrire il supporto
necessario a una situazione totalmente disumana. Il controcampo uditivo è
quello della totale confusione della piccola Hanood, che risponde continuamente
di “no“, che pensa che gli altri stiano dormendo, che afferma che non
le piace niente, che sa che non c’è tempo. Proprio questa
corsa contro gli istanti che fuggono annienta i volontari della Mezzaluna,
interpretati da attori professionisti che hanno avuto accesso alle
registrazioni autentiche di Hind solo una volta sul set…
…La voce di Hind Rajab non esce mai dalla postazione della Mezzaluna
Rossa in cui si trovano gli operatori – li interpretano Saja
Kilani, Motaz Malhees, Clara Khoury, Amer
Hlehel – che parlano al telefono con la bambina mentre,
impotenti, provano a salvarla. L’operazione richiederebbe 8 minuti, non di più,
ma la burocrazia delle zone di guerra complica i piani. Quando l’ambulanza
parte il rischio è alto, anche per i soccorritori. Kaouther Ben
Hania, tunisina, candidata all’Oscar Internazionale per L’uomo che
vendette la sua pelle (2020), costruisce La voce di Hind Rajab sulla
sovrapposizione di fiction – gli operatori al telefono sono attori che
interpretano la parte dei veri operatori replicandone il comportamento con
millimetrica esattezza – e brutale oggettività – la voce della bambina – e in
mente ha un cinema ibrido, politicamente incendiato, a scardinare il concetto
di rappresentazione e forzare i limiti dello storytelling cinematografico.
Annullare e riscrivere la fiction, contaminandola con la realtà; questo è il
gioco. Era possibile spingersi oltre, muovendo verso frontiere artisticamente
più audaci, ragionando sul rapporto tra verità e rappresentazione, ma non era
la priorità di Kaouther Ben Hania. Era l’emozione la cosa
più importante, e la morale che viene subito dopo. La morale, in cinque parti,
e uno strano paradosso, sono i segreti di un film tremendo e irrinunciabile…
…Gli applausi a Venezia non cambiano nulla della
situazione a Gaza. Hind Rajab non c’è più, e insieme a lei, molti altri bambini
ogni singolo giorno. La carestia continua a crescere. Le bombe continuano a
cadere.
Piuttosto
che rappresentare solidarietà, questi gesti cinematografici funzionano come
performance simboliche che pacificano il pubblico globale lasciando intatte le
strutture della violenza. Operano meno come interventi e più come rituali di
coscienza, progettati per produrre gratificazione morale per gli spettatori
piuttosto che sollievo materiale per le vittime. Ciò che emerge non è
consapevolezza – poiché la consapevolezza satura già la sfera mediatica globale
– ma uno spettacolo di sofferenza accuratamente curato, tradotto in capitale
culturale. Lo stesso applauso che segue diventa un segno di sicurezza morale,
consentendo agli spettatori di affermare la propria umanità mentre le
condizioni di disumanità rimangono immutate.
Traduzione a cura di Grazia Parolari
…Kaouther Ben Hania punta la cinepresa sui volti dei protagonisti, tutti
bravissimi, sceglie uno stile asciutto e senza fronzoli, quasi
documentaristico, soffermandosi su pochi gesti di cameratismo e conforto
(quelli commuovono realmente) e annullando il confine tra drammatizzazione ed
eventi reali grazie all'uso intelligente di file audio e cellulari. Bastano
questo, il tempo scandito con un pennarello impietoso e le inquadrature finali
di una madre compresa in un dignitoso dolore, a stringere il cuore di chi vuole
ascoltare e capire, anche quando c'è solo silenzio. Perché è sicuramente la
voce, reale, terrorizzata, di Hind Rajab, puntellata da spari e dal suono dei
cingoli di un carro armato, a schiacciare come un macigno, ma è ancora più
orribile ciò che non si vede e non si sente. Non si sente la voce di chi sta
comodo in poltrona a distribuire con ostentazione una stiracchiata salvezza,
solo perché "importante"; non si vedono i soldati israeliani,
impegnati in un folle gioco tra gatto e topo (nel dialogo più terribile del
film si sottolinea l'impossibilità che i soldati non si siano accorti della
presenza di una persona ancora viva, e la certezza che la conversazione venisse
intercettata, e visto il livello tecnologico dell'esercito israeliano solo chi
è in malafede potrebbe sostenere il contrario); non si vede l'ultimo, disperato
viaggio di un'ambulanza che non ha mai raggiunto la destinazione, rappresentata
dal disegno di un'auto su una mappa digitale. Non si vede tutto ciò che hanno
vissuto gli operatori della Mezzaluna Rossa prima di quella terribile
telefonata, né tutte le tragedie che sono seguite, e davanti all'orrore di
tante vite spezzate inutilmente, la vera domanda che mi tormenta dalla fine del
film è se chi non è morto abbia ancora la forza psicologica di resistere e
combattere per rimanere sano di mente, perché io non so proprio se riuscirei.
Lasciate perdere le diatribe oziose da festival cinematografici e le critiche
dei cosiddetti esperti del settore e, per una volta, date retta al cuore, anche
se rischia di spezzarsi; correte a vedere La voce di Hind Rajab e tenetevi strette a lungo le sensazioni che vi
lascerà, perché ce ne sarà bisogno, se vorremo rimanere umani nei tempi bui che
ci aspettano.
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