Carlobianchi e Dori passano la giornate da un bar a un altro, o dove ci sia un bicchiere da svuotare in attesa di niente.
incontrano per caso Giulio, che sale in macchina con loro e si unisce nelle loro avventure nel Veneto dove si può andare da un posto all'altro, ma ormai non c'è più un posto dive stare, come dice il conte che prepara un cocktail sopraffino.
un po' Il sorpasso, un po' Amici miei, il film di Francesco Sossai fa uscire chi lo guarda al cinema con la coscienza di aver visto un grande film, anche gli astemi saranno d'accordo.
alla fine un grande segreto sta per essere detto, ma non lo sapremo mai, per fortuna.
le avventure dei due amici più uno sono bellissime, alcoliche e amare, in una regione (e nazione) già distrutta dal Male del cemento e del catrame.
è un piccolo grande film, in poco meno di un centinaio di sale, con un ottimo incasso per sala, il passaparola funziona.
non perdetevelo per nulla (o quasi) al mondo, nessuno se ne pentirà, promesso.
buona (indimenticabile) visione - Ismaele
ps: Vitaliano Trevisan non c'è più, ma credo che avrebbe apprezzato molto Le città di pianura.
…Il film è un road movie sospeso tra melanconia e
gioia, mirato a qualche forma di epifania collettiva o di elaborazione di un
lutto. Un viaggio comune verso uno scopo comune, dove i vissuti individuali si incrociano
in una dimensione che si autoriproduce con la prospettiva di… continuare a
bere. Una forma di meditazione ostinata e contraria allo scorrere del tempo, un
rifugio in cui cercare la propria risposta, il proprio lieto fine…
…magari, c’è un che di didascalico, di fin troppo
esplicito nel discorso di Francesco Sossai. Forse il bisogno di dover chiarire
e rimarcare, nel timore che le immagini non arrivino da sole. Ed è evidente
proprio nella scena alla tomba Brion: quel luogo magico di sospensione e di
elaborazione del lutto ha tutta la forza per parlar da sé, senza cercare una
guida nelle spiegazioni di Giulio. Però lo sguardo di Sossai, grazie anche alle
sonorità delle musiche dei Krano, è chirurgico nel raccontare una certa vita di
provincia (e non solo di “una certa provincia”), fatta di stanchezze disperate,
di luoghi e giornate “sempre uguali”, di pensioni gettate via nelle
macchinette. Nel restituire, tra la malinconia e il divertimento, gli
atteggiamenti di una generazione, quella intorno ai 50, fancazzista,
perdigiorno, mai perfettamente integrata, eppure non resa cieca dalla rabbia.
Per cui il disincanto non si è trasformato in nichilismo o in rassegnazione, ma
in una sorta di sfiammatezza resistente. Ecco
cosa sono, in fondo, Carlobianchi e Dori: due che resistono, mai cresciuti e
proprio per questo non ancora morti. Per cui l’ultimo bicchiere non è tanto un
modo per completare una fuga. Quanto per rivendicare e difendere un legame. E
così, coerentemente, se Filippo Scotti si conferma come uno degli attori più
interessanti degli ultimi anni, Le città di pianura si
regge soprattutto sull’interpretazione mimetica di Sergio Romano e su Pierpaolo
Capovilla, il leader del Teatro degli Orrori, sulla sua perfetta incarnazione
di un tempo intero.
…Le atmosfere
di Le città di pianura sono ammalianti, un’impresa
notevole se si pensa a città che, a prima vista, appaiono piatte e simili tra
loro, ormai ridotte a semplici punti di transito verso le grandi metropoli.
La fotografia
cattura lo sguardo: i primissimi piani sui volti ebri e non più giovani dei
protagonisti sono così suggestivi che viene naturale cercare di capire cosa si
cela dietro alle loro frasi, ai loro detti, ai pensieri apparentemente senza
senso. Per certi versi, si potrebbe persino definire il film “bukowskiano”
C’è molta amarezza
di fondo, tanti sogni infranti e forse qualcuno ancora realizzabile — ma
bisogna buttarsi e, perché no, concedersi l’ultima birra chissà dove nel
frattempo. A differenza della pellicola di Dino Risi, qui
il giovane riesce a comprendere i consigli dei due esperti senza subirli
passivamente: impara da loro, ma non li segue alla lettera. Bisogna camminare
con le proprie gambe, e all’inizio farsi sorreggere dalle generazioni passate
non è solo utile, è essenziale.
C’è bisogno
di cinema del genere. Poca pretenziosità e tanta sostanza.
Ci si innamora ancora dei film e dei film italiani. Francesco
Sossai classe 1989 bellunese con esperienze cortometraggistiche di grande
valore, spara un colpo da gran cecchino nella sezione Certan Regard a Cannes
2025, presieduta dalla regista britannica Molly Manning Walker, giuria che
questa volta “cicca” la scelta preferendogli La Misteriosa Mirada del Flamenco
di Diego Céspedes. Le Città di Pianura è finalmente un film innovativo una
boccata d’aria anche un po’ alcolica che riporta la figura maschile al centro
del racconto e la provincia come protagonista. Siamo in Veneto ma potremmo
essere ovunque nel Mondo, i tre protagonisti sono “gli amici di paese” che
tutti noi abbiamo in qualche modo conosciuto con cui abbiamo condiviso sogni
progetti aspirazioni cadute risalite e discussioni interminabili sulla ragione
dell’essere sul segreto del Vivere…
…Commuovente è l’affetto che essi hanno per il semisconosciuto
giovane. Il quale trova ragioni migliori per vivere, rispetto a quante ne aveva
prima, anche grazie al loro invadente (e quindi fastidioso) incoraggiamento:
caldo, amicale, buono.
Non esiste freddezza, non esiste falsità, in questo tessuto sociale
che al nord rimane ancora decente, umanamente, quasi solo nel Triveneto, e in
Emilia – al netto delle approssimazioni.
Senza sconti, però: questi possono vivere di rendita perché sono,
oltre che dei grandi lavoratori, dei ladri (altra contraddizione non
infrequente nel Nord Italia).
…Un film ad alto tasso alcolico che viene magnificamente dimostrato
attraverso la Teoria dell’Utilità Marginale. Un trattato economico che ci
spiega fino a quanto ci può saziare un tagliere di salumi ma che non è
applicabile con l’alcool perché il famoso “Ultimo Goccio” o “Bicchiere della
Staffa” è un appagamento dell’anima. Uno stato così interiore e personale che
non potrà mai essere soddisfatto.
Un film fortemente maschile ma non maschilista, dove le donne sono un
qualcosa di leggendario che appartengono al passato come la Mary, la migliore
cuoca di Polenta e Lumache anche lei costretta a chiudere per la crisi. Mogli
che si sono rifatte una vita migliore diventando proprietarie di villette a schiera.
La Stefy, una prostituta che lenisce i tuoi dolori che viene rappresentata solo
dalla mano che ti fa entrare in casa. E alla fine la migliore donna del mondo
rimane sempre la mamma che ti accoglie a qualsiasi ora e in qualsiasi
condizione consapevole che sei troppo vecchio per crescere…
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