mercoledì 8 ottobre 2025

Le città di pianura - Francesco Sossai

Carlobianchi e Dori passano la giornate da un bar a un altro, o dove ci sia un bicchiere da svuotare in attesa di niente.

incontrano per caso Giulio, che sale in macchina con loro e si unisce nelle loro avventure nel Veneto dove si può andare da un posto all'altro, ma ormai non c'è più un posto dive stare, come dice il conte che prepara un cocktail sopraffino.

un po' Il sorpasso, un po' Amici miei, il film di Francesco Sossai fa uscire chi lo guarda al cinema con la coscienza di aver visto un grande film, anche gli astemi saranno d'accordo.

alla fine un grande segreto sta per essere detto, ma non lo sapremo mai, per fortuna.

le avventure dei due amici più uno sono bellissime, alcoliche e amare, in una regione (e nazione) già distrutta dal Male del cemento e del catrame.

è un piccolo grande film, in poco meno di un centinaio di sale, con un ottimo incasso per sala, il passaparola funziona.

non perdetevelo per nulla (o quasi) al mondo, nessuno se ne pentirà, promesso.

buona (indimenticabile) visione - Ismaele

ps: Vitaliano Trevisan non c'è più, ma credo che avrebbe apprezzato molto Le città di pianura.


  

Il film è un road movie sospeso tra melanconia e gioia, mirato a qualche forma di epifania collettiva o di elaborazione di un lutto. Un viaggio comune verso uno scopo comune, dove i vissuti individuali si incrociano in una dimensione che si autoriproduce con la prospettiva di… continuare a bere. Una forma di meditazione ostinata e contraria allo scorrere del tempo, un rifugio in cui cercare la propria risposta, il proprio lieto fine…

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magari, c’è un che di didascalico, di fin troppo esplicito nel discorso di Francesco Sossai. Forse il bisogno di dover chiarire e rimarcare, nel timore che le immagini non arrivino da sole. Ed è evidente proprio nella scena alla tomba Brion: quel luogo magico di sospensione e di elaborazione del lutto ha tutta la forza per parlar da sé, senza cercare una guida nelle spiegazioni di Giulio. Però lo sguardo di Sossai, grazie anche alle sonorità delle musiche dei Krano, è chirurgico nel raccontare una certa vita di provincia (e non solo di “una certa provincia”), fatta di stanchezze disperate, di luoghi e giornate “sempre uguali”, di pensioni gettate via nelle macchinette. Nel restituire, tra la malinconia e il divertimento, gli atteggiamenti di una generazione, quella intorno ai 50, fancazzista, perdigiorno, mai perfettamente integrata, eppure non resa cieca dalla rabbia. Per cui il disincanto non si è trasformato in nichilismo o in rassegnazione, ma in una sorta di sfiammatezza resistente. Ecco cosa sono, in fondo, Carlobianchi e Dori: due che resistono, mai cresciuti e proprio per questo non ancora morti. Per cui l’ultimo bicchiere non è tanto un modo per completare una fuga. Quanto per rivendicare e difendere un legame. E così, coerentemente, se Filippo Scotti si conferma come uno degli attori più interessanti degli ultimi anni, Le città di pianura si regge soprattutto sull’interpretazione mimetica di Sergio Romano e su Pierpaolo Capovilla, il leader del Teatro degli Orrori, sulla sua perfetta incarnazione di un tempo intero.

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…Le atmosfere di Le città di pianura sono ammalianti, un’impresa notevole se si pensa a città che, a prima vista, appaiono piatte e simili tra loro, ormai ridotte a semplici punti di transito verso le grandi metropoli.

La fotografia cattura lo sguardo: i primissimi piani sui volti ebri e non più giovani dei protagonisti sono così suggestivi che viene naturale cercare di capire cosa si cela dietro alle loro frasi, ai loro detti, ai pensieri apparentemente senza senso. Per certi versi, si potrebbe persino definire il film “bukowskiano”

C’è molta amarezza di fondo, tanti sogni infranti e forse qualcuno ancora realizzabile — ma bisogna buttarsi e, perché no, concedersi l’ultima birra chissà dove nel frattempo. A differenza della pellicola di Dino Risi, qui il giovane riesce a comprendere i consigli dei due esperti senza subirli passivamente: impara da loro, ma non li segue alla lettera. Bisogna camminare con le proprie gambe, e all’inizio farsi sorreggere dalle generazioni passate non è solo utile, è essenziale.

C’è bisogno di cinema del genere. Poca pretenziosità e tanta sostanza.

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Ci si innamora ancora dei film e dei film italiani. Francesco Sossai classe 1989 bellunese con esperienze cortometraggistiche di grande valore, spara un colpo da gran cecchino nella sezione Certan Regard a Cannes 2025, presieduta dalla regista britannica Molly Manning Walker, giuria che questa volta “cicca” la scelta preferendogli La Misteriosa Mirada del Flamenco di Diego Céspedes. Le Città di Pianura è finalmente un film innovativo una boccata d’aria anche un po’ alcolica che riporta la figura maschile al centro del racconto e la provincia come protagonista. Siamo in Veneto ma potremmo essere ovunque nel Mondo, i tre protagonisti sono “gli amici di paese” che tutti noi abbiamo in qualche modo conosciuto con cui abbiamo condiviso sogni progetti aspirazioni cadute risalite e discussioni interminabili sulla ragione dell’essere sul segreto del Vivere…

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…Commuovente è l’affetto che essi hanno per il semisconosciuto giovane. Il quale trova ragioni migliori per vivere, rispetto a quante ne aveva prima, anche grazie al loro invadente (e quindi fastidioso) incoraggiamento: caldo, amicale, buono.

Non esiste freddezza, non esiste falsità, in questo tessuto sociale che al nord rimane ancora decente, umanamente, quasi solo nel Triveneto, e in Emilia – al netto delle approssimazioni.

Senza sconti, però: questi possono vivere di rendita perché sono, oltre che dei grandi lavoratori, dei ladri (altra contraddizione non infrequente nel Nord Italia).

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…Un film ad alto tasso alcolico che viene magnificamente dimostrato attraverso la Teoria dell’Utilità Marginale. Un trattato economico che ci spiega fino a quanto ci può saziare un tagliere di salumi ma che non è applicabile con l’alcool perché il famoso “Ultimo Goccio” o “Bicchiere della Staffa” è un appagamento dell’anima. Uno stato così interiore e personale che non potrà mai essere soddisfatto.

Un film fortemente maschile ma non maschilista, dove le donne sono un qualcosa di leggendario che appartengono al passato come la Mary, la migliore cuoca di Polenta e Lumache anche lei costretta a chiudere per la crisi. Mogli che si sono rifatte una vita migliore diventando proprietarie di villette a schiera. La Stefy, una prostituta che lenisce i tuoi dolori che viene rappresentata solo dalla mano che ti fa entrare in casa. E alla fine la migliore donna del mondo rimane sempre la mamma che ti accoglie a qualsiasi ora e in qualsiasi condizione consapevole che sei troppo vecchio per crescere…

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