giovedì 9 ottobre 2025

Gli Stati Uniti contro Billie Holiday – Lee Daniels

il film è un documento di come gli Stati Uniti d'America, la più grande democrazia del mondo (come la Gran Bretagna e Israele, anch'essi esempi preclari di generosità, altruismo e pacifismo) distrussero la vita di Billie Holiday, solo perchè cantava una canzone che descriveva il linciaggio dei neri, cose da non credere.

come se in Italia si censurasse un film (Il leone del deserto) solo perchè racconta la vita e l'assassinio di un eroe anticolonialista, cose da non credere.

Gli Stati Uniti contro Billie Holiday non sarà perfetto, ma ha il gran merito di ricordarci cose da non credere.

buona (musicale) visione - Ismaele


 

Billie Holiday, coraggiosa e impegnata sostenitrice dei diritti umani, voce leggendaria e unica nella storia del Jazz, fu quasi ossessivamente perseguitata dal governo americano che non gradiva i testi delle sue canzoni né il suo successo e ricercava pretesti per interrompere le sue esibizioni. Più volte allontanata violentemente dai palchi, condannata per l’uso di stupefacenti.
Il film è ricerca ed evoluzione tecnica di linguaggio e immagine rese racconto di un capolavoro, dal quale emerge tutta la verità di una storia struggente e gli eventi tragici che sin dalla nascita hanno accompagnato la breve esistenza di Billie Holiday.

Un’esistenza “maledetta”, fatta di abusi e dipendenze, prostituzione e violenze, abbandoni e fallimenti. Nata da un rapporto occasionale tra un musicista jazz e la madre appena tredicenne, Billie Holiday, abbandonata e costretta a subire maltrattamenti, finì persino in un riformatorio fino a quando, casualmente, venne notata da alcuni agenti, i quali compresero che la voce di Billie era, da sola, un’orchestra il cui suono interpretava pienamente le mille sfumature della vita. La sua voce libera e strozzata, inconfondibile e unica, squarciava gli animi più duri e regalava una differente visione sul mondo…

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…Eccezion fatta per la protagonista, poi, un po' tutti i personaggi secondari sono stilizzati. Se infatti a Lee bastano poche inquadrature e battute per mettere in evidenza, ad esempio, il fatto che nella comunità bianca non vi fosse assolutamente quella monolitica opposizione o ritrosia nei confronti dei neri e della loro musica, la sensazione di una insufficiente introspezione dei personaggi secondari rimane. Perché non profittare, ad esempio, del dissonante giudizio di Fletcher e della moglie per imbastire una linea narrativa nella quale scavare più a fondo? I momenti più riusciti del film sono invece quelli in cui la protagonista, impersonata dalla cantante Andra Day, si esibisce. Qui bastano poche inquadrature efficaci, una fotografia azzeccata e la voce roca, graffiante per dare corpo a tutto il turbinìo di emozioni che dovettero agitare, prima, durante e dopo il palco, una stella di prima grandezza della musica afroamericana. Anche i costumi svolgono un ruolo decisivo e discriminante: inquadrata durante le esibizioni con le braccia coperte da eleganti maniche, viene restituita al pubblico in tutta la sua bellezza, mentre nel suo universo privato il regista indugia più volte sui segni incontrovertibili lasciati su di esse dall’eroina, senza sottacere gli stravizi della donna. L’infanzia fatta di violenza e anaffettività della cantante non viene mostrata, ma misuratamente adombrata, estrinsecata nel suo sguardo malinconico e nella sua acquiescenza perfino al linguaggio sboccato, oltre che alle relazioni malsane. In quest’ottica, ritorna evidente anche quanto appaia fuorviante il titolo del film: la cantante ingaggia sì un duello contro lo stato, ma nella propria dimensione privata sono i fantasmi del passato ad avere scavato nel suo io modellando la sua Weltanschaung…

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nonostante l’urgenza del messaggio e la forza del personaggio, Gli Stati Uniti contro Billie Holiday presenta alcuni passaggi a vuoto che ne ingarbugliano il meccanismo. Daniels non riesce a trovare una mediazione tra la patina delle sequenze più glamour, tra cui quelle musicali, e le sporcature dei momenti di tensione drammatica, non comunicando il giusto coinvolgimento emotivo. Il film ha infatti un andamento troppo piatto, ha un unico picco un po’ fine a se stesso (quello della dolorosa sequenza del linciaggio a cui assiste la protagonista insieme a Jimmy Fletcher e agli altri componenti della sua band / famiglia) e chiude in decrescendo. Forse per non togliere forza al messaggio, il regista di Precious semplifica, rende più universale, si accontenta di soluzioni che arrivino a un pubblico più vasto e sacrifica anche i personaggi che ruotano intorno alla Holiday. Di fronte a una figura di tale statura, Daniels fa un passo indietro, mette la sua regia al servizio della storia e si concentra più sull’importanza di ricordarla che non sulla qualità della rappresentazione. Il film, in questo modo, oscilla continuamente tra sequenze anonime e lampi di luce, lasciando allo spettatore la curiosità di documentarsi maggiormente sulla cantante nonostante resti poco altro nel cuore e nella mente. Un buon compitino e niente di più.

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Alla fine della visione della pellicola ciò che rimane allo spettatore, più che il ricordo del film stesso, è il dolore della storia che vi è dietro e, dopo oltre due ore di film, ciò che resta negli occhi è la devastante foto d’epoca iniziale in cui un uomo, reso un tizzone ardente, viene deriso da altri uomini mentre brucia. Allo stesso modo non possono essere dimenticate le immagini, alcune reali, altre di finzione, in cui esseri viventi, torturati e uccisi, ciondolano appesi per il collo al ramo di un albero, davanti a familiari e amici che non possono fare altro che piangerli. È un dolore che arriva in profondità, e che vi resta, in quanto si è consapevoli che immagini di quella stessa disumanità le vediamo ancora in questo tempo, tutti i giorni, con uomini e donne privati dei propri diritti e della propria dignità, prima ancora che della propria vita. Come è accaduto a George Floyd, ucciso dopo essere stato privato del respiro, e come sta accadendo nella guerra in Ucraina, dove esseri umani, legati e torturati, sono assassinati e gettati in mezzo alle strade o, relegati nei propri rifugi, fatti bruciare sotto le bombe: vittime di una crudeltà omicida sempre esistente. 

Non sono quindi solo gli alberi del sud ad avere uno strano frutto: il sangue non bagna solo le foglie e le radici degli alberi di pioppo, la carne non cessa di bruciare e i cadaveri sono ancora beccati dai corvi. La morte è sempre bagnata dalla pioggia, il vento continua a soffiare sulle macerie degli uomini e il sole a farne marcire i resti. Il tempo passa ma il raccolto continua sempre a essere strano e amaro.

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