il padre e il figlio piccolo, Conrad, non riescono a parlarsi, per tutti è difficile ricordare la madre, e riuscire ad elaborare il lutto.
a differenza degli altri suoi grandi film, qui Joachim Trier, allontanatosi dalla Norvegia, si perde un po' in un film, il primo negli Usa, che non colpisce.
la sufficienza c'è tutta, ma Joachim Trier sa fare di meglio - Ismaele
…Stavolta tocca
alla Huppert nel primo film ospitato in Concorso a Cannes del norvegese Joachim
Trier, Louder than Bombs: confuso,
zeppo e insieme vuoto, incongruo e solo in qualche sparuta sequenza fascinoso,
non va. Proprio non va: La Hupper interpreta la reporter di guerra del NY
Times: è morta in un incidente automobilistico, o forse suicidio, e ha lasciato
su questa terra il marito professore (Gabriel Byrne, ignavo di ruolo e di
fatto), Il figlio più grande Jesse Eisenberg – i suoi capelli lisci
dicono bene di quanto vedremo… – e il più piccolo Devin Druid.
Tutti e tre ugualmente e
differentemente disturbati, incapaci di elaborare il lutto e rifarsi una vita:
si evitano, il piccolo con il padre, si parlano senza dirsi, il grande e il
padre, si confrontano, i due fratelli, per la sventura dello spettatore, perché
il piccolo ha composto una specie di poema bimbominkia e il grande certifica il
capolavoro tradotto visivamente da Trier con un collage altrettanto sghembo.
Mashup, tristesse…
…In
questo dramma silenzioso e (troppo) delicato, il senso di frustrazione provato
da chi osserva la storia svilupparsi con fatica è potente. Ogni personaggio
accende una miccia, una scia luminosa che illumina di una luce fioca uno dei
tanti percorsi del labirinto in cui Trier li ha intrappolati. Ma l’esplosione
emozionale, quella che dovrebbe risuonare “louder
than bombs” non si verifica, viene soffocata, lasciando ogni possibilità
di comprensione (e compassione) sospesa e irraggiungibile.
Gli sguardi intensi di
Isabelle Huppert, la dolorosa preoccupazione di Gabriel Byrne, la fredda
razionalità di Jesse Eisenberg e l’inquieta solitudine di Devin Druid, per
quanto meritevoli di spazio e approfondimento, non riescono ad amalgamarsi in
un unicum che sia davvero portatore di senso. Le individualità più che
incontrarsi si scontrano, come sottolineato da un montaggio che a tratti pare
eccessivamente artificioso, ma nessuna trova davvero un varco nel dedalo
immaginato da Trier, finendo per perdersi in un irrealizzabile, quanto
inaccessibile, immaginario onirico.
…La piattezza di Segreti di famiglia è
infatti il suo più grande difetto, e si declina in diverse maniere. Da una
parte la sceneggiatura, pur sforzandosi di creare situazioni peculiari, sembra
non andare da nessuna parte, dall’altra il rigore visivo del film non sembra
abbinarsi benissimo a vicende che non comunicano la sensazione di sacralità del
nucleo familiare che conosciamo da film come Tree of life, a cui il primo
fotogramma di Louder than bombs rende tributo.
Si può dire in un certo senso che la pellicola sia divisa tra la
ieraticità che vorrebbe imporre al materiale e la trivialità e bassezza dei
propri personaggi, con poche eccezioni nevrotici e insopportabili. Il risultato
è un film che non riesce a creare un’aria rarefatta e “mistica”, ma che al
contempo non è in grado di mettere sostanzialmente le mani nella pasta dei
personaggi e dei dialoghi per creare un intreccio interessante.
Un passo falso per un regista promettente dunque, ma che non riduce le mie
aspettative per i film ancora da venire.
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