girato a 28 anni, Racconto crudele della giovinezza è come un grido, nel cinema di allora, giapponese e non solo.
la guerra era finita da non troppi anni, qualcuno pensa a fare soldi, molti giovani non stanno bene, sono inquieti.
si parla, e si vede, nello stesso film, di prostituzione, aborto, violenza, omicidi e suicidi, non esattamente i temi della tv della prima serata, rivoluzione, tutti temi che scomodi, che poi saranno "quasi" normali, dopo decenni.
il secondo di una cinquantina di film, già prometteva moltissimo, promesse mantenute, per nostra fortuna.
non perdetevelo, non ve ne pentirete - Ismaele
...Nessun film, prima di Racconto crudele della giovinezza, aveva osato spingersi così avanti nella descrizione dell’universo giovanile e universitario, né tantomeno si era assistito a una messa in scena così scarna e allo stesso tempo essenziale, crudele (per l’appunto), quasi sprezzante nella sua assoluta impossibilità a essere catalogata. Lo schema del Nikkatsu Action diventa terreno fertile per un urlo fieramente politico e consapevole che non scade però mai nella semplice retorica del pamphlet ma preferisce muoversi nelle zone d’ombra, raccontando una storia di amore, desiderio, morte e continua, imperterrita violenza. Nessuno, in Racconto crudele della giovinezza, può scampare al suo destino di sopraffazione e dolore, tantomeno due cani sciolti rabbiosi e cinici come Makoto e Kiyoshi. Ōshima tornerà con regolarità a ragionare sul crollo del Giappone e sulla crisi interna alla sinistra (come dimostra il praticamente coevo Notte e nebbia del Giappone), ma con Racconto crudele della giovinezza segna con ogni probabilità il definitivo punto di svolta dell’industria cinematografica nipponica. Dopo di lui, infatti, nulla sarà più uguale, e molti registi – tra cui lo stesso Ōshima – saranno costretti a muoversi nell’indipendenza tout-court. Perché nessuna industria, neanche quella cinematografica, è davvero mai pronta ad accettare una rivoluzione.
da qui
...La cinepresa a mano segue i due protagonisti, è l’interesse dell’entomologo unita alla rabbia dei pugni in tasca, Kiyoshi e Makoto sono belli, ma non suscitano attrazione né identificazione, non hanno linguaggio, sembrano catatonici, vivono una traversata tragica (risse, stupro, adescamento, aborto, famiglia assente, la precarietà eretta a sistema, la violenza come leit motiv) con incoscienza volubile, in un mondo di padri e maestri da cui si può solo fuggire, punti di appoggio inesistenti, stringono tra loro un legame mal imbastito, come bambini fatti crescere in fretta e mollati a sé stessi.
Non hanno consapevolezza del male e del bene, sono il prodotto coerente di una società e di una storia che Oshima attacca dal suo interno, con critica incendiaria.
Le scelte stilistiche sono conseguenti, in totale controtendenza rispetto al passato, e forse oggi possono risultare per qualche aspetto datate o ancora in fase di maturazione, ma c’è già il tocco dei capolavori successivi, come nel silenzio immobile di Makoto dopo l’aborto, contrappuntato da Kiyoshi che sgranocchia una mela o in quel sole che non c’è mai, ma c’è tanto rosso, è il colore che prevale e sembra assorbire gli altri, in una fusione cromatica luciferina.
E’ la denuncia di una generazione sconfitta che ancora non sapeva bene di esserlo, la sua impotenza mascherata da ribellione troverà strade varie per la sua autodistruzione e vari cantori a celebrarla nel mondo e in altre storie, la lettura di Oshima è rigorosa, semplice da sembrar quasi banale, tesa senza enfasi nè commozione, non concede nulla, così come fa la vita vera.
Molto semplicemente il giovane regista affermò:
“E’ una storia di giovani che non possono manifestare la loro collera se non in modo deviato. Mostrando la tragedia di questi giovani ho espresso la mia stessa collera davanti alla situazione in cui si trova la gioventù contemporanea”.
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