Gerry (Matt Damon e Casey Affleck, bravissimi) si perdono nel
deserto.
si inizia ridendo e scherzando, poi la voglia di ridere
diminuisce, sempre di più.
un film che non lascia scampo, l'ho visto due volte, ti
cattura, quei giorni di Gerry ti sembra che parlino di te, a te.
poche parole, non servono troppo, ma tutte al posto giusto.
Gerry c'est moi, direbbe qualcuno.
come un labirinto, con un'uscita lontana, come una metafora
della vita.
mai apparso in sala da noi, girato in qualche deserto
argentino.
per me un capolavoro - Ismaele
…In questo "western dell'anima" protagonista
si fa allora il cammino, mezzo di liberazione e purificazione attraverso le
prove alle quali il deserto (metafora della vita) sottopone i due Gerry. E non
importa quale sia la meta, tanto - dice Gerry/Damon - "tutte le strade
portano nello stesso posto".
I dialoghi beckettiani al limite dell'assurdo, il minimalismo narrativo, lo scenario ora selvaggio ora lunare del deserto della Death Valley, ne fanno un'opera profonda e poetica in cui regna un senso di attesa quasi metafisico.
I dialoghi beckettiani al limite dell'assurdo, il minimalismo narrativo, lo scenario ora selvaggio ora lunare del deserto della Death Valley, ne fanno un'opera profonda e poetica in cui regna un senso di attesa quasi metafisico.
Vi sono pellicole che assai difficilmente possono essere
circoscritte in un'analisi filmica, né tantomeno in una recensione. La poesia
visiva di "Gerry" rientra in una di queste. Uno sfondo blu
(stilisticamente a metà tra Jarman e Kubrick) introduce un piano-sequenza
di oltre sei minuti, accompagnato dal pianoforte liquefatto di Arvo Pärt. Solo
l'incipit diretto da Gus Van Sant è di una magniloquenza assoluta, quasi
contemplativa…
… Grazie a "Gerry" (distribuito in pochissime
copie, in Italia mai uscito) Van Sant ha avuto l'opportunità di sprigionare le
sue doti di maestria registica sperimentale e indipendente, annientando la
narrazione e mettendo per una volta da parte le aspettative commerciali del
pubblico…
…GERRY è un mistero interpretabile e impenetrabile,
l’unica cosa certa sono le immagini, di una magnificenza raggelata che
polverizza nell’astrazione ogni partenza realistica, approdando a una realtà
sepolta, inquietante e commovente. Pura plasticità, che supera ogni altra
istanza, e ancora si presta a una lettura “classica”: l’uomo è misura di tutte
le cose, ma l’ultima misura che potrà prendere sarà quella della propria tomba
(i ragazzi intrappolati in paesaggi la cui scala dimensionale può essere
dedotta solo grazie alla loro presenza).
Girato in un pugno di giorni durante la preproduzione di ELEPHANT, GERRY è la prova che il più recente Van Sant (e non solo il più recente) non ha bisogno di temi “importanti” (disagio giovanile, violenza nella società dello spettacolo, solitudine dell’artista) per essere quello che è: pura vertigine visiva, gioco sconvolgente, temuto (la tardiva distribuzione internazionale e la mancata uscita nelle sale italiane qualcosa vorranno pur dire) antidoto di un cinema ostaggio di un’e(ste)tica da piccolo schermo.
Girato in un pugno di giorni durante la preproduzione di ELEPHANT, GERRY è la prova che il più recente Van Sant (e non solo il più recente) non ha bisogno di temi “importanti” (disagio giovanile, violenza nella società dello spettacolo, solitudine dell’artista) per essere quello che è: pura vertigine visiva, gioco sconvolgente, temuto (la tardiva distribuzione internazionale e la mancata uscita nelle sale italiane qualcosa vorranno pur dire) antidoto di un cinema ostaggio di un’e(ste)tica da piccolo schermo.
… Consideriamo i due Gerry come due
parti di uno stesso individuo, come due elementi di una stessa mente, che
possono essere coordinati (la marcia armonizzata) o in contrasto (l'indecisione
sulla direzione da prendere). Questo individuo-tipo è certamente un americano
(Van Sant è molto radicato all'interno del suo contesto). Se consideriamo la
strada come l'itinerario tipo di un americano nella sua esistenza e l'uscita di
strada come un evento traumatico che fa perdere i punti di riferimento, ecco
che Gerry può davvero essere letto come la fine dei grandi
racconti americani, il crollo delle certezze e dei miti made in USA.
E allora
ecco che la scena del deserto bianco si legge bene se immaginiamo quella tabula
rasa come un luogo di sospensione, come una grande mente dove le due anime
dell'americano-tipo che cerca di uscire dalla crisi sono in contrasto. E' vero
che alla fine il Gerry superstite rimane sotto l'occhio vigile di un Padre, ma
è anche vero che fra i due, quello era il Gerry meno americano (basta ricordare
il suo turbante per capirne l'alterità rispetto al "sistema").
Nessuna
pretesa di completezza in queste parole, solo la presa di coscienza di trovarsi
di fronte a un vero capolavoro.
da qui
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