domenica 24 novembre 2013

Il passato – Asgar Farhadi

anche qui una separazione, anzi, più d'una.
Asgar Farhadi è un regista dei rapporti umani, e raccontare unioni felici sarebbe davvero noioso, per lui e per noi.
così ci caliamo in una storia con una scrittura che ti cattura nella sua ragnatela, aggiungendo sempre più elementi fino all'ultimo minuto.
bravi tutti, e molto, ancora di più Tahar Rahim (già protagonista ne "Il profeta", di Audiard), che all'inizio sembra il meno "affidabile", ma, come negli altri film di Asgar Farhadi, nessuno ha la verità, tutti hanno la loro, nessuno è perfetto, tutti sono imperfetti, nessuno è bianco o nero, tutti hanno qualcosa da nascondere, o meglio, nessuno può dire tutto, di sicuro non subito, è un processo laborioso quello di far uscire il nascosto, almeno di una parte di quello che ci portiamo dentro, e vogliamo credere sia giusto o vero, anche se non lo è.
Ahmad, arrivato a Parigi per una firma, con la sua ingenuità, o il suo ardire, ha il ruolo di iniziare a rendere palese qualche verità, e poi ognuno è costretto, o si costringe, a fare i conti con i pesi che si porta dentro.
un film da non perdere - Ismaele 




Bérénice Bejo, la spigliata starlet di The Artist, qui si fa carico di un personaggio complesso e pieno di ambiguità fino alla sgradevolezza e lo fa con una maturità che non ci si aspettava. In corsa per il premio come migliore attrice. Gli altri sono perfetti (Farhadi è anche un eccellente direttore di attori): Ali Mosaffa è Ahmad, Tahar Rahim è un Samir inafferrabile, sfuggente, forse il personaggio più stratificato del film...

La trama, di per sè complicatissima, va ad arricchire una sceneggiatura minuziosa e particolare. Farhadi si allontana dalla terra natia approdando in Francia, proprio come  Ahmad, e firma un'opera delicata, con una regia impeccabile (che fa dimenticare qualche trascurabile sbalzo ritmico della seconda metà) ed una grandiosa direzione degli attori, in particolare dei bambini. Un thriller emozionale che lascia stupiti per la caratterizzazione poetica ed autoriale, messa ancor di più in risalto da tre splendidi attori, la cui interpretazione è deturpata da un pessimo doppiaggio italiano…

…In questo film apparentemente semplice, dunque, nulla accade senza conseguenze davanti allo sguardo di un regista che sa trovare i tempi perfetti, dilatandone gli effetti, ma restando sempre ad un passo dal limite. Teoria delle scatole cinesi che nascondono misteri pronti ad infiammarsi, ma raggelando il melodramma sempre pronto ad esplodere, eppure contenuto, anzi, costretto dentro la forzata pacatezza di cui Ahmad si fa segno anche filmico...

Sul piano prettamente registico curiosamente l'autore, esattamente come in "Una separazione", riserva le sequenze di maggiore impatto all'incipit e all'epilogo: da un lato l'arrivo in aeroporto di Ahmad e il non dialogo con Marie attraverso un vetro, emblema dell'incomunicabilità tra i due ex coniugi, dall'altra un piano-sequenza finale dal sapore dreyeriano (meglio non rivelare di più). In mezzo, Farhadi si affida al découpage classico, ma evita il rischio soap opera grazie all'eccellente direzione degli attori - magistrale quella dei bambini - e a un impiego delle musiche sottilissimo, quasi impercettibile…
da qui

Nessun commento:

Posta un commento