chi non va al cinema a vedere questo film dovrà portare la giustificazione, senza imbrogliare.
come diceva Vulvia (Corrado Guzzanti): sapevatelo! - Ismaele
…Il
film è un susseguirsi di fiction e immagini di repertorio, alternando bianco e
nero e colore, sempre sospeso tra poesia e racconto. Certo lo stile di Scola (e soprattutto i suoi tempi filmici) sono un po' desueti, e
in certi parti la narrazione assomiglia più a un buon sceneggiato televisivo
piuttosto che a un film, ma Che strano chiamarsi Federico ha
il merito di riportarci indietro nel tempo all'età d'oro del cinema italiano, e
di far conoscere quell'epopea ai giovani spettatori (che speriamo trovino il
tempo, la voglia e gli stimoli per andare a vederlo). Un'epoca forse
irripetibile, inimmaginabile ai tempi nostri, di cui queste immagini e questo
film contribuiscono a tenere vivo il ricordo. E che anche solo per questo
merita la visione.
…Non c'è abbandono al nostalgismo di epoche dorate
perdute, se pur facile approdo per tutti e sovrappiù per chi ha vissuto la
floridezza di un vivaio culturale come il Marc'Aurelio, di cui Scola dà una
fervida riproduzione su schermo, né si tratta di un articolato e furbastro
tentativo autoreferenziale, semmai un intimo omaggio - lo spettatore può
sentirsi come l'usurpatore di una confessione privata - dall'ambivalenza
autobiografica, fruita in terza persona. L'idea di utilizzare lo Studio 5 di
Cinecittà, dove Fellini aveva la sua "seconda casa" e una folla
commossa nel 1993 l'aveva salutato per l'ultima volta, e ancora la trovata di
farlo parlare attraverso la sua voce, i suoi personaggi e le suggestioni della
sua poetica che ammanta ogni cosa, finanche il finale; tutto concorre a fare di
quei 90 minuti trascorsi in sala, non un film, ma il lungo abbraccio di due
amici al ritrovarsi alla fine di un viaggio. E regala a Fellini l'uscita di
scena che - probabilmente - avrebbe sempre voluto.
Il film di Ettore Scola dedicato al ricordo dell’amico
Federico Fellini funziona come il racconto di un nonno fatto al nipote seduto
sulle proprie gambe. Una rievocazione alla quale si perdonano lentezze e
lacune, che ci commuove per l’uso della prima persona, per il trasporto e la
tenerezza con la quale torna alla propria gioventù e agli anni passati, ma che
ci inchioda alla poltrona se il nostro vissuto è distante troppe decadi dai
fatti che scorrono, come sogni, sullo schermo…
da
qui
Nessun commento:
Posta un commento