un film (del 1999) quasi sconosciuto, e però eccezionale.
figlio diretto di "Scarabea" (qui), per qualche alchimia strana, "Miguel" è un film sfuggito al regista, come "Arcipelaghi", di Giovanni Columbu (qui), il film è più importante di quanto pensasse il regista quando lo girava.
difficile da trovare, ma gli sforzi verranno ripagati - Ismaele
Ps: ho come l'idea che sarebbe piaciuto molto a quella grande testa pensante di Michelangelo Pira (che ci manca, cavolo che ci manca uno così)
…i due elementi portanti del film e che ne garantiscono la riuscita:
la capacità dei pastori di mostrarsi fuori dagli stereotipi e il finale in cui
gli stessi prendono possesso del mezzo di comunicazione filmica, la cinepresa,
e quindi prendono in mano la propria immagine. La favola di Mereu, come ogni
favola, non sfugge alla moltiplicazione delle chiavi di lettura. La metafora
cannibale per esempio è intimamente legata, concettualmente, alla sostituzione
registica. Mereu si è lasciato prendere la mano, fortunatamente, da questi
formidabili attori che presentando se stessi sono ri-usciti dalla loro maschera
fossile con l’irriverenza tipica dell’autoironia. Il tono grottesco,
deformante, serve ad accentuare linee di senso che non appartengono alla
banalizzazione del messaggio. Mangiare Miguel non è segno di un rifiuto
dell’alterità quanto semmai un prendersi carico direttamente, senza
intermediari, della propria immagine e del proprio essere. “Miguel” si impone
del resto proprio per la sua natura profondamente cinematografica, anche quando
il cinema-cinema sconfina in echi kusturichiani, come allude la colonna sonora,
che rinuncia alla riproposizione di un canto a tenore a favore di una musica
significativamente nomade…
Vende scarpe per vacche e capre ai pastori della Barbagia
promettendo che faranno più latte. Una storia stralunata, nella quale
rimbalzano certi echi di Citti, ma anche certe uscite strampalate del primo
Herzog. Mereu ci prova con la favola umoristico-grottesca, ma si perde nel
naturalismo di facce pasoliniane e in un ritmo slabbrato, fino all’approdo
metacinematografico che aggiunge inutile carne al fuoco. Spunti carini qua e
là, ma l’impressione è di una vena surreale che non sta proprio nelle corde del
suo autore.
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