domenica 15 settembre 2013

Enter the Void - Gaspar Noé

premetto che l'ho visto in tre volte, tutto insieme era troppo(!)
dentro c'è molto, ricorda qualcosa del "Tree of life" di Malick, i bambini e i genitori,  per esempio, coincidenza che come in "Holy motors" il protagonista si chiami Oscar (ma il film di Carax è tutta un'altra cosa),  ci sono questi occidentali a Tokyo, anche in "Lost in translation" Tokyo è lo sfondo, qualcuno dice che è un capolavoro, altri che ci sono 140 minuti (su 150) di troppo.
c'è il libro tibetano dei morti, c'è  una vita dopo la morte, tanta disperazione, nessuno è felice mai, se non nella meccanica degli amplessi.
se questo film fosse nel Voyager saremo sicuri che nessuna civiltà aliena verrebbe sulla Terra.
è un film da vedere, ma se mi chiedessero se mi è piaciuto non saprei come rispondere, troppo estremo, o forse sono troppo vecchio per estetiche post troppe cose - Ismaele





Ho sempre considerato Gaspar Noé un fuoriclasse e ciò è stato immancabilmente confermato dall'accoglienza negativa che hanno ricevuto i suoi film dalla critica togata. I critici servono soprattutto a quello...se schiantano un film fuori dai canoni, stai pur certo che è imperdibile (Aristakisjan docet), pensate che anni fa leggevo la Bignardi su Repubblica per andare a vedere i film che lei criticava aspramente, ben certo di imbattermi sicuramente in capolavori...e questo Enter the Void è indubbiamente un cristallino capolavoro...

…Non si fa mancare nulla, continuando ad insistere su accostamenti ridicoli (lui che si fa la mamma di un amico, gli bacia il seno e come per magia ritorna bambino mentre succhia il latte dal seno materno...), per poi andare sulle montagne russe (tanto per far venire un altro po' il mal di mare...). Nel frattempo il corpo è pronto per essere cremato: l'anima torna un attimo a “casa” giusto in tempo per vedere la propria “ex-casa” andare in fiamme e continuare il proprio viaggio all'interno dell'urna cineraria. La confusione prende il sopravvento, e quello che per un'ora sarebbe stato un materiale potenzialmente anche interessante, diventa totalmente insopportabile nella sua durata sproporzionata. Troppe, inutili, reiterate, fastidiose le storie eccessive che vanno avanti anche parallelamente, soprattutto quelle familiari. L'ennesima incursione folle Noé, la riserva verso la fine. La sua anima/soggettiva entra persino all'interno di un feto. Qui si rompe il giocattolo, avviene quella frattura che separa nettamente lo spettatore dalla materia filmata. Rimane solo un cinema lancinante, che non respira, se non per boccate innaturali, e un florilegio di tecnica e di soldi sprecati che raramente ci era capitato di vedere.


il film di Noé è un perfetto esempio di cinema postmoderno, almeno nei termini in cui viene inteso da Laurent Jullier, il quale attribuisce alla postmodernità filmica proprio i connotati di immersività e plurisensorialità.  Per Jullier il cinema postmoderno non produce senso, ma sensazioni. Mette l’accento sul piacere fisico delle forme e dei colori invece di porlo sul piacere intellettuale della conoscenza. Dunque, alla fine quello che sembra domandare Enter the void non è tanto di essere compreso quanto sentito. Del resto non si potrebbe fare altrimenti perché, come scrive Canova «quanto più le dita acquistano la capacità di osservare, tanto più la vista la perde, e abdica al suo ruolo di conoscenza e valutazione. Il visibile cede al tattile» (Canova 2004, p.47).

la domanda di fondo resta ed è assillante: qual è l’essenza di un film puramente controverso come “Enter The Void”? In altri termini, cosa rappresenta il “vuoto” per Gaspar Noè? Che sia un viaggio di sola andata verso un inferno evolutosi in un trip di effetti visivi digitali e computerizzati? O è forse un limbo tra la vita e la morte in cui il corpo fluttua alla ricerca di un voyeurismo innato? O ancora coincide con una predisposizione nichilista dell’uomo che, assuefatto dalla droga, lo porta a demolire famiglia e valori, oltre alla propria vita? Se “Enter The Void” è un film che va vissuto come un’esperienza sensoriale straordinaria, è al contempo facile denotarne la sua sterile efficacia in ambito di scrittura. Gli archetipi si avviluppano in un’accozzaglia di messaggi mistici sull’aldilà (il libro tibetano dei morti, il tema della reincarnazione), in una sorta di inno alla sensorialità prodotta dall’uso degli stupefacenti, in un complesso edipico che è la causa di latenti incesti fraterni, in un’ostentazione del proibito che sfida pornografia e gore. L’eccesso dell’eccesso rischia di sfiorare addirittura il ridicolo quando il regista cade nel tranello del citazionismo (l’epilogo allude chiaramente all’odissea spaziale di Kubrick, lo spettacolo cromatico sembra essere una visione alternativa, deforme e sventurata a quella evocata nell’albero della vita di Malick). Il tutto racchiuso in una durata (anch’essa all’insegna dell’eccesso) che supera i 150 minuti…

I tre locali che compaiono nel film, Il “The Void”, il “Sex Money Power” e il “Love Hotel”, altro non sono che i tre paradigmi di una trinità (droga denaro e sesso) che si è sostituita a quella religiosa (ecco la scelta di uno sguardo “divino e immanente” della ripresa) e sono tre non-luoghi in cui si materializza la fuga dell’uomo contemporaneo da una vita troppo carica di responsabilità e di bisogni per poter essere sopportata senza il ricorso all’uso della droga. Il Love Hotel, teatro della lunga sequenza acida e stroboscopica infarcita di riferimenti huxleyani e di richiami hard, è uno spazio ctonio in cui il sesso si materializza nella sua forma più immaginifica, cioè come una visione infernale/celestiale e fantascientifica, in cui i genitali pulsano di luce colorata e gli amplessi orgiastici appaiono percorsi da squarci allucinatori e psichedelici. La sequenza, che altro non è che una sorta di ampliamento del videoclip hard Protege-Moi girato da Noé nel 2003 per il gruppo rock dei Placebo, mostra gli esseri umani intenti nella consumazione di una sessualità compulsiva e asettica, pornografica perché svuotata di ogni emozione, e rappresenta il termine del viaggio prima della morte e (ri)nascita. L’ “albergo dell’amore” viene dopo il “go go club del denaro” e il “vuoto della droga”, e i tre locali, altro non sono che la rappresentazione della catena con cui l’individuo è legato al dolore dell’esistenza…

Quello di Noé è un film singolare quanto autoindulgente, trasfigurato all’eccesso, che mostra per più di due ore e mezza la strenua volontà di mettere in scena ciò che normalmente non si può vedere. Il risultato, però, porta più all’evidenza dell’idea che all’effettiva riuscita della stessa, e la provocazione è così ostentata da raggiungere spesso il ridicolo. Gaspar Noé filma qualcosa di non preesistente nel mondo cinematografico, ma il sospetto è che la lacuna fosse dovuta non a mancanza di coraggio o di inventiva, quanto alla scarsa necessità di questa vacua sperimentazione.

Enter the void attraversa in maniera sublime gli abissi della coscienza, colpisce con immagini crude e un andamento narrativo che s’impenna fino allo scontro agghiacciante tra ricordi; un’orgia di immagini, non solo per l’esplicita presenza del sesso, ma per la fusione, per la sospensione di ogni forma e di ogni distanza; un film dove i lati oscuri dell’esistenza restano intrappolati in un vortice senza fine che custodisce l’eterno ritorno della morte e della possibile reincarnazione dove, al di là di ogni sostanza stupefacente, la distorsione percettiva comincia già col mistero della nascita.

debo decir que hay un video musical realizado a fines de los noventa por el director sueco Jonas Akerlund para la agrupación británica Prodigy llamado Smack My Bitch Up, de fácil localización en You Tube o Dailymotion, pero con las restricciones de acceso oportunas al caso, en el cual se representa una noche de excesos por las calles y clubes de Londres, filmada desde la subjetiva de un fiestero descontrolado, con desdoblamiento de identidad y todo. El video dura apenas cuatro minutos y medio.


4 commenti:

  1. "Se questo film fosse nel Voyager saremo sicuri che nessuna civiltà aliena verrebbe sulla Terra." Sei un genio.

    Il film non è dispiaciuto, comunque, anche se una sforbiciata non gli avrebbe fatto male. Credo sia l'unico di Gaspar che ho davvero apprezzato...

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  2. genio è un po' poco:)

    sul fatto che sia un film "diverso"dal solito siamo d'accordo, però:)

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  3. Anch'io ho fatto fatica. Mi girava tutto, dopo.

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    1. come chi è abituato a fare delle passeggiate in campagna e lo catapultano sulle montagne russe, si può fare, con moderazione, solo che poi è dura convincere tutti i neuroni a rimettersi al loro posto

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