"Shadow Dancer" non fa eccezione, i due protagonisti sono bravissimi, in una storia e in un rapporto sempre sull'orlo dell'abisso, ambientato nella Belfast in guerra di qualche decennio fa.
a me è piaciuto molto, questo thriller non urlato - Ismaele
…La bontà della sceneggiatura si
riscontra nella densità dei personaggi e nella complessità del
racconto, quella della regia invece nella scioltezza con cui il registro della
suspense e quello della riflessione psicologica s’intrecciano, nel calibro con
cui ritma il racconto, nella crudezza con cui sceglie strade per nulla
scontate. Shadow Dancer è un film inatteso, ma nemmeno troppo, prova di come la
palestra del cinema del reale sia anche la strada per la narrazione ad alti
livelli che il volto luminoso di Andrea Riseborough e la solidità di Clive Owen suggellano ancora di più.
…Anche in Shadow
dancer dunque il
passato condiziona il presente e le istituzioni operano una violenza
burocratica o mentale sugli individui, in una cornice fotografata con toni
sbiaditi (come le foto invecchiate) per gli interni e il gelo dei colori freddi
per gli esterni irlandesi. E sebbene racconti una storia di inganni, tradimenti
e passioni ingannevoli (basi che altrove sarebbero state ottime per un noir di
prim'ordine), Marsh sembra disinteressarsi al fascino della perdizione per
lasciarsi contaminare da quello dell'archivismo.
Chi ha parlato? Chi è d’accordo con chi? Che prove ci sono? Dov'è la traccia dei soldi? Sono le domande più impellenti, di un film che non si chiede mai cosa provino i suoi personaggi e vede i sentimenti come un altro modo attraverso il quale un personaggio manipola l'altro, influenzando gli eventi. Questa è l'originalità maggiore di un regista con la mano leggera ma lo stile di ferro e, contemporaneamente, il limite maggiore del film.
Chi ha parlato? Chi è d’accordo con chi? Che prove ci sono? Dov'è la traccia dei soldi? Sono le domande più impellenti, di un film che non si chiede mai cosa provino i suoi personaggi e vede i sentimenti come un altro modo attraverso il quale un personaggio manipola l'altro, influenzando gli eventi. Questa è l'originalità maggiore di un regista con la mano leggera ma lo stile di ferro e, contemporaneamente, il limite maggiore del film.
Si travesta da documentario o si mostri in
forma (di) fiction, il cinema di James Marsh resta vincolato ad un
immaginario decisamente immobile, che rintraccia nel passato e nella cronaca
della storia le sue attrattive. Regista pressoché unico nel panorama
britannico, in quanto privo dell’animo sovversivo di un Danny
Boyle, antitetico ai virtuosismi di Guy
Ritchie e
dall’approccio meno “stradaiolo” di un Ken Loach o di uno Shane
Meadows: Marsh si lascia immaginare come un topo da
biblioteca prestato alla settima arte, quasi fosse un abituale frequentatore
della sezione emeroteca; appassionato dei vecchi ritagli di giornale con una
naturale propensione visiva verso il vintage, attratto da quei codici che del tempo
e della ricostruzione di esso attraverso gli eventi ne hanno fatto radice e
principale sostentamento narrativo: il poliziesco del precedente Red
Riding 1980 (secondo
dei tre tasselli televisivi adattati dalla quadrilogia noir di David
Peace) o lo spionaggio diShadow
Dancer. Operazioni si
di genere, ciò nonostante filtrate da un animo teso a travalicare le coordinate
dei filoni frequentati, attraversati come passaggi a livello che dal
contenitore conduco al contenuto: la condizione esistenziale dei personaggi che
li abitano…
Di Marsh ho visto soltanto un documentario, ma questo sembra interessante. Grazie
RispondiEliminaè il terzo che vedo e tutti sono belli, a giorni mi arriva il quarto che vedrò, "The king", James Marsh non mi ha mai deluso
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