venerdì 12 aprile 2013

Shadow Dancer - James Marsh

James Marsh si trova a suo agio con qualsiasi tipo di film e ne tira fuori cose davvero belle.
"Shadow Dancer" non fa eccezione, i due protagonisti sono bravissimi, in una storia e in un rapporto sempre sull'orlo dell'abisso, ambientato nella Belfast in guerra di qualche decennio fa.
a me è piaciuto molto, questo thriller non urlato - Ismaele




…La bontà della sceneggiatura si riscontra nella densità dei personaggi e nella complessità del racconto, quella della regia invece nella scioltezza con cui il registro della suspense e quello della riflessione psicologica s’intrecciano, nel calibro con cui ritma il racconto, nella crudezza con cui sceglie strade per nulla scontate. Shadow Dancer è un film inatteso, ma nemmeno troppo, prova di come la palestra del cinema del reale sia anche la strada per la narrazione ad alti livelli che il volto luminoso di Andrea Riseborough e la solidità di Clive Owen suggellano ancora di più.

Anche in Shadow dancer dunque il passato condiziona il presente e le istituzioni operano una violenza burocratica o mentale sugli individui, in una cornice fotografata con toni sbiaditi (come le foto invecchiate) per gli interni e il gelo dei colori freddi per gli esterni irlandesi. E sebbene racconti una storia di inganni, tradimenti e passioni ingannevoli (basi che altrove sarebbero state ottime per un noir di prim'ordine), Marsh sembra disinteressarsi al fascino della perdizione per lasciarsi contaminare da quello dell'archivismo.
Chi ha parlato? Chi è d’accordo con chi? Che prove ci sono? Dov'è la traccia dei soldi? Sono le domande più impellenti, di un film che non si chiede mai cosa provino i suoi personaggi e vede i sentimenti come un altro modo attraverso il quale un personaggio manipola l'altro, influenzando gli eventi. Questa è l'originalità maggiore di un regista con la mano leggera ma lo stile di ferro e, contemporaneamente, il limite maggiore del film.

Si travesta da documentario o si mostri in forma (di) fiction, il cinema di James Marsh resta vincolato ad un immaginario decisamente immobile, che rintraccia nel passato e nella cronaca della storia le sue attrattive. Regista pressoché unico nel panorama britannico, in quanto privo dell’animo sovversivo di un Danny Boyle, antitetico ai virtuosismi di Guy Ritchie e dall’approccio meno “stradaiolo” di un Ken Loach o di uno Shane Meadows: Marsh si lascia immaginare come un topo da biblioteca prestato alla settima arte, quasi fosse un abituale frequentatore della sezione emeroteca; appassionato dei vecchi ritagli di giornale con una naturale propensione visiva verso il vintage, attratto da quei codici che del tempo e della ricostruzione di esso attraverso gli eventi ne hanno fatto radice e principale sostentamento narrativo: il poliziesco del precedente Red Riding 1980 (secondo dei tre tasselli televisivi adattati dalla quadrilogia noir di David Peace) o lo spionaggio diShadow Dancer. Operazioni si di genere, ciò nonostante filtrate da un animo teso a travalicare le coordinate dei filoni frequentati, attraversati come passaggi a livello che dal contenitore conduco al contenuto: la condizione esistenziale dei personaggi che li abitano…

2 commenti:

  1. Di Marsh ho visto soltanto un documentario, ma questo sembra interessante. Grazie

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  2. è il terzo che vedo e tutti sono belli, a giorni mi arriva il quarto che vedrò, "The king", James Marsh non mi ha mai deluso

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