come si intuisce mi è piaciuto molto, e così spero per voi - Ismaele
È sempre un compito
improbo rendere conto dell’intreccio alla base di un film di John Sayles, Silver
City è
irriducibile al nudo plot, l’intero film è la sua trama fitta di reticoli
intrecciati con i valori di una nazione e la loro prassi, raramente ortodossa….
…Il razzismo,
l’immigrazione clandestina e il suo sfruttamento, la speculazione edilizia, la
storia recente che si fa commercio, che viene trasformata in attrazione
turistica, poi in strategia politica, sono elementi non più di una denuncia
(nei film precedenti erano analizzati uno alla volta), ma segnalati da Sayles
come fattori incorporati nella società autoimmunizzante, in cui sembra non
resti nulla da accusare, se non la società stessa, tutta intera. Lentamente,
come in una sorta di versione politica di Viale del tramonto, ci si identifica col morto, tutti quanti,
come indica l’agghiacciante finale; e anche se qui il cadavere non parla, resta
comunque il motore immobile delle azioni.
La denuncia dell’asservimento sistema informativo alla politica e ai suoi interessi economici, rappresenta invece una novità nell'universo tematico dell’autore, ma anche un onere imprescindibile che il cinema americano di quest’ultima stagione ha fatto proprio. Dal momento che assume l’informazione come argomento e fine di questa complessa pellicola,Silver City è di fatto controinformazione. Preso atto del definitivo scollamento avvenuto tra linguaggio e comunicazione, l’informazione libera secondo Sayles scorre sul web (oltre che su pellicola), che si è fatto carico dell’onere ugualitario che la TV agli inizi propugnava, prima della volgarizzazione delle sue possibilità democratiche in populismo da talk show o, peggio ancora, in propaganda elettorale paternalista e rassicurante. I dilemmi intimi, che Sayles ha sempre saputo descrivere con toccante realismo, sono messi da parte in Silver City, per una accurata rappresentazione della tragedia sociale in corso, che ha colori lividi forieri di un destino tutt'altro che roseo. Una splendida sequenza bucolica restituisce un po’ di respiro: le luci dorate di un pomeriggio nello stato delle montagne rocciose, catturate dall’inossidabile Haskell Wexler, fanno da sfondo all'interrogatorio della bella arciera Maddy Pilager (Darill Hannah), ma si tratta di una breve parentesi quasi onirica che poco si amalgama con il resto del film, così duro e senza compromessi…
La denuncia dell’asservimento sistema informativo alla politica e ai suoi interessi economici, rappresenta invece una novità nell'universo tematico dell’autore, ma anche un onere imprescindibile che il cinema americano di quest’ultima stagione ha fatto proprio. Dal momento che assume l’informazione come argomento e fine di questa complessa pellicola,Silver City è di fatto controinformazione. Preso atto del definitivo scollamento avvenuto tra linguaggio e comunicazione, l’informazione libera secondo Sayles scorre sul web (oltre che su pellicola), che si è fatto carico dell’onere ugualitario che la TV agli inizi propugnava, prima della volgarizzazione delle sue possibilità democratiche in populismo da talk show o, peggio ancora, in propaganda elettorale paternalista e rassicurante. I dilemmi intimi, che Sayles ha sempre saputo descrivere con toccante realismo, sono messi da parte in Silver City, per una accurata rappresentazione della tragedia sociale in corso, che ha colori lividi forieri di un destino tutt'altro che roseo. Una splendida sequenza bucolica restituisce un po’ di respiro: le luci dorate di un pomeriggio nello stato delle montagne rocciose, catturate dall’inossidabile Haskell Wexler, fanno da sfondo all'interrogatorio della bella arciera Maddy Pilager (Darill Hannah), ma si tratta di una breve parentesi quasi onirica che poco si amalgama con il resto del film, così duro e senza compromessi…
… Una pellicola, l’ultima
di John Sayles, che attraversa molti generi, ma che è sorretta dalla volontà di
affrontare un discorso politico senza mezze misure. Ed è proprio questo forse
il pregio ed il limite di ’Silver City’. Dai personaggi traspare limpidamente
l’amore per la verità e allo stesso tempo la difficoltà che in questi tempi c’è
nel farla emergere. Così, questa dichiarazione tanto esplicita e diretta,
rischia di cadere nella trappola del moralismo pedagogico, nonostante si
percepisca chiaramente la sincera passione civile con cui è girato il film.
…Sayles' wisdom of
linking a murder mystery to a political satire seems questionable at first,
until we see how Sayles uses it, and why. One of his strengths as a
writer-director is his willingness to allow uncertainties into his plots. A
Sayles movie is not a well-oiled machine rolling inexorably toward its
conclusion, but a series of dashes in various directions, as if the plot is
trying to find a way to escape a preordained conclusion. There's a dialogue
scene near the end of "Silver City" that's a brilliant demonstration
of the way he can deflate idealism with weary reality. Without revealing too
much about it, I can say that it involves acknowledging that not all problems
have a solution, not all wrongs are righted, and sometimes you find an answer
and realize it doesn't really answer anything. To solve small puzzle is not
encouraging in a world created to generate larger puzzles…
…The movie's strength, then, is not in its outrage, but in its cynicism
and resignation. There is something honest and a little brave about the way
Sayles refuses to provide closure at the end of his movie. Virtue is not
rewarded, crime is not punished, morality lies outside the rules of the game,
and because the system is rotten, no one who plays in it can be entirely
untouched. Some characters are better than others, some are not positively bad,
but their options are limited, and their will is fading. Thackeray described Vanity Fair as "a novel without a hero."
Sayles has made this film in the same spirit -- so much so, that I'm reminded
of the title of another Victorian novel, The Way We Live Now.
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