doloroso e terribile, la fine delle illusioni (e della spinta propulsiva dell'URSS, come avrebbe detto anni dopo Enrico Berlinguer), Costa Gavras svela con le immagini quello che fino ad allora alcuni (pochi) scrivevano.
fra gli assistenti di Costa Gavras anche Chris Marker.
da non perdere - Ismaele
… Il film è un lungo
interrogatorio in stanze strette ed anguste, una serie di piccole e grandi
angherie rivolte contro un uomo che è intimato a stare sempre in movimento e a
non potersi mai sedere per far riposare le gambe, un uomo che è stato ridotto a
numero : tutto è utile per il sovvertimento del senso delle parole ("A
forza di sentire trotskista, titoista, nazionalista borghese, queste parole
perdono del loro significato. Se mi avessero chiesto di dire, mio figlio, il
piccolo trotskista Michele, ha compiuto un anno, io lo avrei
firmato") e il ribaltamento logico dei fatti, tutto è funzionale per
estorcere una confessione che deve sposarsi alla perfezione con gli interessi
vitali del partito. Perché il "Partito non si sbaglia mai", non può
sbagliarsi, pena la messa in discussione della fede rivoluzionaria, quella
pensata per il popolo e servita a pochi criminali per condannare a morte le
libertà. Artur London è schiacciato dal peso opprimente di quella mastodontica
macchina burocratica che lui stesso ha contribuito a mettere in piedi e che gli
si rivolta contro come un mostro che solo adesso riesce a scorgere in tutta la
sua orribile forma, ora che si trova dalla parte oppressa della faccenda,
spogliato dei suoi poteri ed esautorato dalla vita. Sarà per questo che è
rimasto comunista anche dopo la fine della sua tormentata vicenda, perchè
"Dio è morto, ed è proprio ora che si può essere comunista", perchè
proprio la sua esperienza gli aveva fornito "la prova schiacciante : il
Socialismo è nella libertà delle masse come il pesce nell'acqua". Un buon
film del bravo Costa Gavras, decisamente figlio del suo tempo ma con un timbro
da documento storico che vale a mantenerlo un prodotto da consigliare.
… The Confession is ultimately a film one admires rather
than enjoys, and will be of most interest either
to Costa-Gavras fans or history buffs interested in the dysfunctional
machinations of Stalinism.
…The film is inspired almost entirely by
fact, by the memoirs of Artur London, one of the 13 Czech Communist leaders who
were indicted as traitors, Trotskyists, Titoists, Zionists or what have you,
and one of the three who was not executed. It is not a thriller like "Z," and it couldn't be, because there
is no justice to emerge at the end and no scoundrels to unmask. As nearly as
seems possible, the totalitarian system itself kept the show trials running,
and they persisted so well that the party officials who began them turned up as
defendants, too.
No, it's not a thriller but a penetration into the mind, and Yves Montand is able to express the state of his character's mind perfectly by showing him, after nearly 20 months of torture and cross-examination, watching his captor eat a sausage as if it were not lunch but the Holy Grail. The movie itself is a wearing experience, as it was meant to be. We begin to wonder toward the end how even the inquisitors could stand up to the inhuman grind of cross-examination...
No, it's not a thriller but a penetration into the mind, and Yves Montand is able to express the state of his character's mind perfectly by showing him, after nearly 20 months of torture and cross-examination, watching his captor eat a sausage as if it were not lunch but the Holy Grail. The movie itself is a wearing experience, as it was meant to be. We begin to wonder toward the end how even the inquisitors could stand up to the inhuman grind of cross-examination...
La figura narrativa dominante è quella del crescendo e dell’accumulo, che il film utilizza per mettere in scena il meccanismo di stritolamento psicofisico con cui gli aguzzini stalinisti strappano le confessioni ai propri nemici (o presunti tali). L’ambientazione claustrofobica nei cupi e tetri interni carcerari accentua la dimensione ansiogena che la reiterazione delle torture e le pressioni di ogni tipo portano all’estremo. C’è qualcosa di kafkiano (scrittore ebreo e praghese come il protagonista London) in questo incedere inesorabile con cui un potere sempre più lontano e incomprensibile si accanisce contro le sue vittime.
Forse in questa insistenza nel mostrare in dettaglio l’abisso in cui era precipitato lo sventurato London, il film trascura di analizzare le cause storiche e politiche dello stalinismo, limitandosi a denunciarne le tragiche conseguenze (critica che venne a suo tempo avanzata insieme all’accusa di essere eccessivamente ripetitivo e monocorde), ma è indubbio che esso ci consegna momenti di potente e intenso coinvolgimento emotivo (pensiamo soltanto alla scena dei poliziotti che spargono sulla strada le ceneri di quelli che furono grandi combattenti per gli ideali nei quali credevano).
da qui
l'inizio del film:
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