martedì 9 ottobre 2012

Un sapore di ruggine e ossa - Jacques Audiard

due eccezionali prove d'attori, Marion Cotillard dopo "La vie en rose" e Matthias Schoenaerts (già grande attore quiqui e qui).
il film è bello, ma qualcosa è troppo, troppa sfortuna per Stephanie, troppo dramma, troppa sfiga per Ali (che fa sempre parti di forzuto, un po' tonto, ma buono).
e poi, se posso, non ne può più delle scritte, come anche in questo film, "ispirato a una storia vera", come se con questo il film valesse di più.
detto questo, è un film che merita - Ismaele




Come spesso, nella filmografia di Audiard, corpo e spirito fanno tutt'uno, si ammaccano e si rimarginano insieme, senza bisogno di troppe parole: al contrario, la comunicazione, specie quella femminile, passa attraverso un linguaggio muto ma intimamente comprensivo (qui è Stef che "parla" con l'animale ma anche il "dialogo" sessuale che si approfondisce senza l'uso di parole). 
La macchina da presa del regista non è certo invisibile e le tesi, dietro il suo modo di filmare, sono sempre molto evidenti. Questo film non fa eccezione e anzi spinge più che mai sui contrasti manichei tra bellezza e squallore, forza e debolezza, spirituali e letterali, fin quasi alla maniera. Ma raggiunge un risultato non scontato laddove, pur essendo in realtà un lavoro molto scritto, dove tutto, fin dal primo istante, è pensato per tornare a domandar vendetta, la direzione degli attori e la qualità dei dialoghi ci distraggono magistralmente, facendo sì che non ce ne accorgiamo quasi mai. La capacità del miglior cinema di Audiard di scartarsi da un percorso troppo rigido o incline alla retorica, questa volta non si manifesta né a livello di soggetto né di regia ma si ritrova più sottilmente nelle pieghe della messa in scena, nei gesti e nelle espressioni degli attori.

Marion Cotillard alle prese con un ruolo complesso e pieno di sfaccettature mostra di non essere solo la nuova diva europea amata da Hollywood ma soprattutto una grande attrice: riempie lo schermo di luce, con uno sorriso fragile, appena accennato, nonostante l'incidente la dimezzi fisicamente (ottimo il lavoro di computer graphic) la sua presenza non è meno forte rispetto al pur bravissimo Matthias Schoenaerts. Questi, col suo magnetismo naturale, trasmette un'ingenua sensibilità nelle prime sequenze accanto alla devastata Stéphanie, dimostrandosi premuroso e attento nel non trattarla come una disabile irrecuperabile, cosa che la donna non vuole essere. La scena in cui l'ex-addestratrice di orche riprova, dalla sedia a rotelle, quei fatali movimenti sulle note di "Firework" di Katy Perry è un correre dello sguardo verso gli arti (le braccia) che si allungano verso il cielo, verso l'alto, gesti forti e sicuri in un corpo mutilo che deve ritrovare l'equilibrio interiore. Equilibrio che alla fine maturerà anche il suo compagno di viaggio nella vibrante scena del salvataggio del figlioletto dal lago gelato, dove le ossa delle mani si spappollano sul freddo ghiaccio e il sangue è l'unica traccia che macchia e scuote il candore della sua incoscienza...

On ne décide pas de réaliser un chef d’œuvre. A force de vouloir tout contrôler, jusque les émotions du spectateur, Audiard s’enferme dans une mise-en-scène trompeuse qui ne laisse aucune place au hasard tout en prétendant le contraire. Il y a quelque chose de malhonnête dans la démarche comme dans sa façon de mener le projet, ou du moins, le réalisateur semble s’égarer sur les choix qui s’imposaient à lui. Cette peur de sombrer dans le ridicule, tapie sous la volonté farouche de travailler chaque compartiment du film, empêche celui-ci de se libérer pour mieux toucher au sublime, le caresser, tout du moins. Au final, le film agace plus qu’il ne séduit, et l’arrogance de ses ambitions l’étouffe de bout en bout.

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