Garrone fa un film dopo quattro anni ed ecco "Reality", per me davvero bello.
dentro c'è l'Italia, di questi lunghi anni, c'è Pinocchio, c'è il carattere degli italiani, direbbe Leopardi.
nel mio piccolo dico che è un film da vedere, e meditare - Ismaele
…Lo
sfarzo a metà tra Luigi XVI e Disneyland, che contraddistingue la scena
matrimoniale con cui si apre il film, dà il via al continuo scambio che fiction
e realtà esibiranno, sovrapponendosi l’una all’altra, mischiandosi
selvaggiamente, combattendo in un crescendo di situazioni al limite del
grottesco. Il protagonista, Luciano, ha l’espressione stupita e profondamente
sincera e ingenua di Aniello Arena,
ergastolano da tempo impegnato in teatro. Un’autentica rivelazione. La maschera
dell’uomo normale alla ricerca di una dimensione che lo faccia sentire vivo e
reale, pian pianino cede all’ossessione e al dogma del reality per poi
culminare con il tentativo esorcizzante della religione. Nulla anche
l’intercessione votiva, forse è più consolatorio il ‘non mollare’, professato
da Enzo, uno che il Grande Fratello l’ha
vinto e adesso, alle feste, piomba giù dall’alto proprio come farebbe una
divinità.
Un’opera riuscita, Reality. Tocchi di felliniano
surrealismo, omaggi alla commedia all’italiana dei grandi maestri e al
neorealismo. Ma specialmente, la firma di Matteo
Garrone.
…Sin dalla scena di
apertura del film comprendiamo che il terreno sul quale ci muoveremo è quello
dell’incantesimo, del sogno favoloso, delle aspirazioni condotte all’eccesso.
Un eccesso che non diventa mai grottesco. Eccesso, esasperazione che sono
possibili solo in un territorio come quello napoletano, dove ogni
manifestazione umana è un fatto teatrale (si pensi al modo di parlare e di
esprimersi della gente, alla città stessa per la sua innata scenograficità) e
radicalmente barocco. Dunque, Napoli come lo scenario perfetto per una storia
sull’apparenza, sulla rappresentazione di se stessi davanti ad un pubblico.
Perché ciò a cui aspira Luciano è un palcoscenico, un piedistallo, una pedana
dalla quale guardare la platea degli astanti, degli adoratori. Lui, abituato a
dirigere dall’alto il traffico di clienti che affollano la sua pescheria, lui
che è punto di riferimento, quasi un ufficio di collocamento per la gente che
vuole arrotondare entrando nel giro dei suoi affari. Come si fa a
sprecare un talento come il suo? La sua famiglia, il ragazzo del bar, i
commercianti suoi vicini inneggiano a Luciano. Le parole della gente hanno
l’effetto di una formula magica sulla mente idealista e sognatrice del
pescivendolo che si lancia nella rincorsa al successo. “Never give up“. E’ questo
il leitmotiv che lo conduce sempre più lontano dalla realtà e che gli fa
credere di essere spiato da inviati segreti della televisione che vogliono
vederlo nella sua vita vera e giudicare così la sua idoneità per entrare nella
Casa. Queste spie restano sempre sfocate, indefinite, fantasmi immateriali
prodotti dalla mente del protagonista. Davanti alla tv l’intera famiglia di
Luciano assiste alla prima puntata del Grande Fratello e Garrone sceglie di tenerli fuori
fuoco: Luciano è ormai troppo distante dalla realtà che lo richiama verso le
proprie responsabilità di padre e di marito…
Reality è magnifico finché
la dimensione fiabesca rimane sotto traccia, velata da uno sguardo impietoso
sui miti culturali della provincia italiana. Il matrimonio iniziale, la vita di
quartiere in una piazza napoletana miracolosamente ricostruita dallo scenografo
Paolo Bonfini: da oscar), l’arrivo per il provino in una città che omaggia
Fellini e contemporaneamente ne infanga la memoria, sono pezzi memorabili. Ne
emerge il ritratto di un’Italia post pasoliniana in cui la tv ha sostituito la
fede e la speranza – e ha deformato, tanto per esaurire le virtù teologali – il
concetto stesso di carità; un paese cafone dentro, nei comportamenti e nelle
psicologie. Quando Luciano si piega nel suo solipsismo, c’è il rischio che
l’affresco antropologico sii riduca al ritratto d un’isolata patologia. Bel
film, ma con un finale diverso poteva essere bellissimo.
“Pur non suscitando la
stessa passione di Gomorra, il nuovo film di Garrone "'con la sua storia
di un uomo che scivola nella pazzia per colpa della tv dei reality,
coinvolgera' chiunque abbia mai studiato la cultura pop contemporanea o abbia
mai guardato l'E Network.
"Metà dramma e metà
commedia, fatica a trovare un tono tra personaggi stereotipati e una trama
comoda, con accenni a Fellini e al neorealismo italiano che lasciano il gusto
di una grande pizza riscaldata".
…stando a quel che ho visto resto dell’idea che sia un film
mal riuscito – perché di insostenibile pesantezza ideologica – sulla
televisione e sul suo impatto sul popolo (sì, ritiriamo fuori questa parola,
perdio). Oltretutto non c’è una vera narrazione,Reality illustra
piattamente il suo enunciato di partenza e non riesca mai a sorprenderci, il
ritmo è così allentato che si rischia di abbioccarsi e di scappare dalla sala.
Certo, resta la mano registica di Matteo Garrone. Qua l’applauso ci vuole.
Garrone conferma di avere uno stile forte e riconoscibile, sospeso tra realismo
e deformazione grottesca e visionarietà, e qui fellineggia senza freni,
mostrando di essere in certi momenti all’altezza del maestro…
…Verrebbe dunque da dire
che non può esistere, per definizione, un film brutto di Garrone;
questo perchè il suo sguardo - reso esplicito dal suo imporsi sui canoni
della messa in scena - è sempre interessante, per natura, e perchè questa
lavorazione lascia sempre emergere una personalità e un occhio così forti sugli
eventi, da dominarli.
Eppure Reality è una delusione. L'idea di un uomo che inseguendo un sogno (di liberazione dai problemi economici) s'innamora dell'idea di piacere a qualcuno e del successo, prima ancora di riceverlo, ma solo per aver partecipato ad un casting, fa sì che la reality del titolo non sia solo l'indicazione di un genere televisivo: è anche quella realtà che il protagonista ad un certo punto perde di vista. Stimoli interessanti, buoni per quella valanga di articoli demagogici contro i reality show che arriveranno con l'uscita italiana, ma nulla più…
Eppure Reality è una delusione. L'idea di un uomo che inseguendo un sogno (di liberazione dai problemi economici) s'innamora dell'idea di piacere a qualcuno e del successo, prima ancora di riceverlo, ma solo per aver partecipato ad un casting, fa sì che la reality del titolo non sia solo l'indicazione di un genere televisivo: è anche quella realtà che il protagonista ad un certo punto perde di vista. Stimoli interessanti, buoni per quella valanga di articoli demagogici contro i reality show che arriveranno con l'uscita italiana, ma nulla più…
…L’impressione, infatti, è
che il film resti un po’ troppo sospeso e incapace di fare presa sul pubblico.
È vero che tutto, nel plot, è stato progettato per conferire l’atmosfera di una
fiaba: dalle bellissime musiche di Alexandre Desplat (che in questi stessi
giorni a Cannes è stato celebrato col documentario Lezione di
musica) ai colori, dalla festa
di apertura con costumi carnevaleschi a Enzo in discoteca, che svolazza sopra
la folla attaccato un cavo, come la fatina dei giorni nostri. Una celebrità il
cui colpo di bacchetta potrebbe cambiare la vita agli anchilosati sudditi che
lo acclamano a gran voce. Nonostante questa scelta di registro fiabesco, il
film non può permettersi di restare così vago. In generale osa poco, gli
artigli non entrano in profondità nel velenoso tessuto dell’apparenza, cosicché
oltre a strappare qualche risata e un’amara riflessione sui costumi odierni,
nulla di più crea negli spettatori, incapace della potenza esplosiva di
“Gomorra”, incapace di coniugare una marcatura più virtuosistica, quasi alla
Sorrentino, con un retaggio neorealista nella fotografia, che non di rado stona
nel presentare l’incuria di alcuni esterni in confronto con la notevole
attenzione per il lavoro sugli interni.
…Matteo Garrone ha una
visione chiara e strutturata della regia cinematografica. Trattando di un
vaneggiamento nel contesto chiassoso, solidale, paradossale di Napoli, e del
distacco nel sogno di una cosa, cerca una posizione giusta e attraente, diciamo
una personale “realtà aumentata”, una prospettiva comunque diversa dal
grottesco, dal pastiche o dalla satira. Anche per i detrattori, in questo
senso, Reality diventa una commedia aperta a
fruttuose scomposizioni e ricomposizioni tra gli specchi del “ventennio”,
lasciando traspirare l’olezzo del virus. Non è un gioco. È un valore.
L’aspirazione al Grande
Fratello, quel bunker di eletti che ti cambia la vita se non sai che vita
vuoi, tocca il pescivendolo Luciano in occasione d’un provino. Saracinesca e
banco al quartiere Barra e un traffico di robot di cucina, vive l’attesa di una
convocazione con spostamenti progressivi dal desiderio al delirio al desiderio
delirante, fino a sentirsi “assente non giustificato” dal programma, scatenando
una nevrosi di controllo che è comica, tragica e simbolica (la vendita della
pescheria, il grillo che lo fissa in casa, la donazione ai poveri)…
Un film da vedere, dunque.
RispondiEliminaSpero di trovare qualcuno che mi accompagni al cinema, che dire!!
un film da restare spesso a bocca aperta, e peggio per chi si perde questo film
RispondiEliminaBello...appena visto, presto ne scriverò anche io!
RispondiEliminaun gran film, col tempo acquisterà più considerazione
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