in questo film i delinquenti non hanno fascino, la 'ndrangheta è morte, il regista va in controtendenza rispetto alla 'bellezza' delle organizzazioni criminali che spesso appare sullo schermo.
la storia diventa dramma nel dramma, quando il terzo fratello, quello rimasto nel paese calabrese, non sopporta più quello che succede e sembra impazzire.
un film da non perdere, promesso.
buona (drammatica) visione - Ismaele
Bel film e utile a vedersi. Sul disastro morale interiore,
fatto di ansia e infelicità, che comporta la scelta di vivere da criminali: i
soldi e il potere, che ne derivano, non rendono meno fallimentare tale scelta,
per lo stesso che la compie. Il registro drammatico è dosato benissimo, e
culmina in un finale stupendo e sorprendente…
Ci sono tre fratelli molto diversi tra loro, a capo di una
famiglia mafiosa in ascesa tra la Calabria, Milano e la Spagna, ma il pensiero
non corre a Il Padrino di Sonny, Michael e Fredo, piuttosto alla tragedia
sublime de I Fratelli Karamazov. Complimenti. Un film consigliatissimo.
Ci sono tre
fratelli molto diversi tra loro, a capo di una famiglia mafiosa in ascesa tra
la Calabria, Milano e la Spagna, ma il pensiero non corre a Il Padrino di
Sonny, Michael e Fredo, piuttosto alla tragedia sublime de I Fratelli
Karamazov. Come nel romanzo di Dostoewski, ognuno è a suo modo condizionato dal
fantasma ingombrante del padre, ucciso anni prima in una faida con la 'ndrina
rivale. E nessuno dei tre sfuggirà al finale che è già scritto per loro.
Il film è
recitato quasi per intero in dialetto calabrese (con sottotitoli). Di solito
sono piuttosto scettico sugli escamotages "realisti" di certi autori
che si crogiolano nel vezzo di rappresentare la realtà "senza
filtri". Che illusione! Il cinema è una finzione a beneficio dello
spettatore, che ha diritto a un prodotto godibile e non a una lezione
universitaria. Ma in questo caso, la scelta del dialetto paga, eccome! Ci
accompagna dentro il dramma, senza appesantire più di tanto la visione, grazie
alla mimica dei (bravi) attori, che spesso lasciano intuire il senso del
dialogo anche se non indugiamo nei sottotitoli.
Complimenti.
Un film consigliatissimo.
…Il regista, Francesco Munzi, non indugia in scene
esplicite di violenza agìta, non ammicca ai generi (gomorra e suburra), non
sbraita, non cerca l’effettaccio. Racconta i fatti con freddezza, e senza
giudicare: le vicende sono di per sé implosive; i personaggi hanno sui volti
immobili la condizione esistenziale di infelicità, indipendentemente da quanto
va accadendo; la logica ineludibile della vendetta e del sangue-chiama-sangue è
più agghiacciante e annichilente di ogni brutalità.
…Anime nere rinuncia
a ogni fronzolo e a ogni artificio narrativo, raccontando con sincerità e
amarezza una storia di uomini e di famiglia, ma anche un triste spaccato di una
parte della nostra società, incapace di lasciarsi alle spalle un meccanismo
marcio e perverso che corrode ogni cosa con cui viene a contatto. In un
incessante susseguirsi di violenza e vendetta, a emergere sono allora
l’ineluttabilità del proprio destino e l’impossibilità di arrestare un’assurda
spirale autodistruttiva, ben simboleggiate da un nucleo familiare
apparentemente normale, ma che in realtà cela al suo interno una lotta
intestina fra impulsività e raziocinio, tradizione e progresso, onore e
perdono.
Francesco Munzi centra
l’obiettivo di raccontare i meccanismi alla base della criminalità organizzata
con una regia asciutta e dal taglio documentaristico, ma anche con un ottimo
lavoro in fase di sceneggiatura, che scava in profondità nella mente di
personaggi complessi e ricchi di sfaccettature, ben compensando qualche piccolo
calo di ritmo con qualche prevedibile ma ben assestato colpo di scena, e un
incalzante finale che chiude perfettamente il cerchio della storia. Su tutto
domina un Aspromonte mai così cupo e opprimente, che osserva e accompagna i
protagonisti diventando un vero e proprio personaggio del film…