martedì 18 febbraio 2025

L'uomo nel bosco (Miséricorde) - Alain Guiraudie

il titolo italiano è completamente diverso dal titolo francese, ma ci siamo abituati. 

non si capisce bene cos'è questo film, d'amore, un thriller, umorismo nero, di gelosia.

quello che è sicuro è che non ci si annoia, bravi attori nelle mani di un bravo regista, colpi di scena continui, apparenze che diventano altro, si inizia con un morto, poi un altro, c'è un prete sorprendente, una vedova che sa il fatto suo, due gendarmi che non riescono a capire cosa succede.

purtroppo si può vedere solo in una decina di sale, anche a questo siamo abituati.

cercatelo e godetene tutti.

buona (difficile da vedere) visione - Ismaele


 

 

 

 

…Al netto della serietà con cui inscena le trame del desiderio, "Miséricorde" è altresì un film infuso di toni da commedia nera, ma più che accentuare le deviazioni grottesche dell’intreccio, sembra intento a cogliere con naturalezza i sintomi della quotidianità cui aderisce. Nell’universo di Guiraudie che si pasteggi coi funghi concimati da un corpo in disfacimento non è fatto più inconsueto di un ateo che confessi un parroco - su richiesta, si badi, del prelato, il quale d’altro canto, come il giovane curato che ne "Le due zittelle" di Landolfi arringava in favore della scimmia sbafatasi un piatto di Ostie consacrate, si premura di dichiarare apertamente le sue posizioni ereticali sul delitto e il castigo in quella che è la scena più esplicita di questa operetta morale. E se le vicissitudini di un cadavere sepolto, dissepolto e ri-sepolto richiamano alla memoria quello che è il film più inglese di Alfred Hitchcock, vale a dire "La congiura degli innocenti", l’implacabile coppia di poliziotti si innesta in un solco tra le stravaganze di Bruno Dumont e una invenzione à la Chabrol, incarnando l'ortodossia del senso comune e della morale tradizionale.
Aderendo al principio di Flaubert, secondo cui il maggior esito nell’arte non consiste nel far ridere o piangere, ma nel saper agire come fa la natura, Guiraudie rifiuta l’enfasi e si mette in ascolto del battito sotterraneo che anima le cose del mondo. Lo spia, per così dire, con una macchina da presa ad altezza d’uomo, per scrutare i corpi, per desiderarli e farli desiderare, con quella casta impudicizia d’adolescente che da sempre informa il suo cinema.

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Perché, dunque, in L’uomo nel bosco Jérémie sembra quasi volersi sostituire alla figura del figlio e al tempo stesso a quella del padre, tornando metaforicamente (ma nemmeno troppo) verso il corpo della madre? E perché, nel suo risalire alle origini della vita incontra la morte, e dunque la colpa, senza assumersene la responsabilità? E chi, allora, lo farà per lui quel gesto di misericordia per cui la salvezza passa per la menzogna, il travestimento, il silenzio?
L’immoralità del cinema di Guiraudie sta nella confusione dei comportamenti e dei valori mostrati; nell’oscenità intesa letteralmente come “fuori scena” e normalmente come offensiva verso il comune senso del pudore, perché tutto nel suo mondo grezzo e istintuale è confuso, stravolto, non conforme, non spiegato (e buffo), eppure stranamente – ed è qui lo scandalo – naturale, istintivo. Naturale perché istintivo…

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C’è anche Jérémie, anche lui corpo mutante. Sotto questo aspetto è incredibile il volto di Félix Kysyl (vittima? carnefice? entrambe le cose?) in un gioco di dipendenza con Catherine Frot che sembra uscita da un film di Chabrol. Diventa quasi l’attore di una calibrata messinscena teatrale dove ha bisogno di interpretare più personaggi; ha addosso infatti i vestiti del fornaio deceduto e vuole mettersi quelli di Walter. Potrebbe fare tutti i ruoli, come Dénis Lavant con Léos Carax. Ma anche scomparire, essere un fantasma, guardare da fuori questa versione nera di Rohmer  – una specie di  ‘conte macabre’ – dove le traiettorie dei protagonisti di “Commedie e proverbi” possono essere anche simili ma a muoversi non sono i corpi umani ma gli zombie. Un film in continuo disequilibrio come gran parte dell’opera di Guiraudie, che cerca di dare forma al mistero tra la gravità delle azioni e la banalità del male. Il titolo originale, Miséricorde, forse ne racchiude parte del senso più profondo. Magistrale.

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Miséricorde si rivela uno spasso per come riesce a districarsi tra malizie, segreti e verità inconfessabili, ardori tra uomini che si rivelano segreti di Pulcinella, e il candore dei sentimenti che giustifica atti e comportamenti impulsivi che gli abitanti del paesello risultano vivere con incosciente ma vitale entusiasmo, e soprattutto slanci erotici incontenibili.

Molto valida la prestazione del protagonista, il giovane ed ambiguo Félix Kysyl, attorniato dalla sempre rassicurante Catherine Frot, vedova chioccia moto meno ingenua di quello che potrebbe apparire a prima vista.

Ma la figura più potente, si potrebbe azzardare di tutto il cinema del 2024, è quella dell'astuto prete, abile nel mettere in atto un proprio sentimento di giustizia e di colpa/espiazione tutto suo.

Un personaggio strepitoso, che si mette letteralmente a nudo esibendo l'erezione più clamorosa degli ultimi anni.

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Les Cahiers du cinéma lo hanno collocato in cima alla classifica dei migliori film del 2024, certo è un film che non lascia indifferenti. Se mai è poco pubblicizzato e, di conseguenza, poco visto. Peccato, L’uomo nel bosco è di notevole sottigliezza ottenuta con gradi successivi e quasi inavvertiti di penetrazione…

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L’uomo nel bosco, il cui titolo originale è Misericordia, è un’opera a dir poco misteriosa. L’estrema cura nel mostrarci i suoi lunghi dialoghi è accompagnata dalla costante sensazione che nessuno stia dicendo tutta la verità, che nessuno sia davvero chi afferma di essere. Molte delle sequenze in cui vediamo i personaggi parlare tra di loro sembrano arrivare allo spettatore come brevi frammenti di conversazioni origliate da dietro una porta, in cui non si conosce bene il contesto del discorso e si può soltanto continuare a ipotizzare. Come la fitta foresta in cui il protagonista si aggira in cerca di funghi nasconde innumerevoli segreti, così anche le stesse parole degli abitanti del paesello celano qualcosa, e non soltanto i posti dove è più facile trovare i porcini.

L’alone di mistero generale è però compensato da una regia estremamente realistica, che rifiuta persino la colonna sonora se non per il segmento iniziale dei titoli di coda. Lo sguardo di Guiraudie sulle vie e casette del paese, ma anche sullo splendido bosco che lo circonda, risulta talvolta molto simile a quello che si può trovare in un dipinto realista di fine Ottocento, ad esempio le opere del nostro connazionale Teofilo Patini. Così anche la visione dei rapporti umani, che risultano ridotti all’osso, scarni, ma allo stesso tempo sembrano nascondere qualcosa di più profondo e viscerale. Il tutto risulta essere in uno stato di ambiguità e di assurdo, di oscillazione tra quello che sappiamo, quello che pensiamo di sapere e quello che bisogna tenere nascosto, come ci ha sempre insegnato la realtà del paesino di provincia. Anche lo stesso Jérémie è parte di questa ambiguità, silenzioso, chiuso e quasi in imbarazzo nelle prime volte in cui compare sullo schermo, finché poco dopo non viene messo letteralmente a nudo davanti ai nostri occhi, sia a livello fisico che soprattutto psicologico.

L’uomo nel bosco è un film che ha come obiettivo quello di confondere, poi intrappolare lo spettatore all’interno della sua storia, e infine lasciarlo lì solo, seduto sulla poltroncina a chiedersi “e adesso?”. È un Possum senza il suo mostro, una visione assurda delle pulsioni e perversioni umane che non possono essere portate a galla. È uno sguardo su qualcosa che traspare soltanto, come fa il sole tra i rami degli alberi in un fitto bosco. E forse proprio per questo merita di essere visto.

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