John Crowley e Andrew Garfield hanno un'alchimia speciale (vedi Boy A, ne avevo scritto qui), e in questo film c'è la conferma.
Tobias (Andrew Garfield) e Almut (Florence Pugh) si incontrano a causa di uno sfortunato incidente, e poi nasce l'amore.
Almut è una chef, Tobias lavora per un'industria che produce alimenti (più o meno sani).
il film si compone di tanti segmenti, come un flusso di ricordi, non sequenziali, ma appena lo capisci non c'è nessun problema a seguire la storia.
i due protagonisti sono davvero bravi, testardi, ingenui, innamorati.
poteva essere un film strappalacrime e basta, ma il regista e Almut e Tobias (e la figlia Ella) creano un equilibrio davvero difficile, ma ottimamente riuscito, che rende We Live in Time una pellicola indimenticabile.
da non perdere, cercatelo e godetene tutti.
buona (sorprendente) visione - Ismaele
We
Live in Time cammina sospeso, potrebbe cadere da un
momento all'altro, diventare troppo sentimentale oppure al contrario cercare un
taglio più brillante. Trova invece un miracoloso equilibrio proprio perché
riesce a intrecciare insieme due diagnosi di cancro, una storia d'amore, la
nascita di una figlia nello stesso film.
Il cineasta si mette principalmente al
servizio della storia e dei suoi attori ed è per questo che la sua regia è così
trasparente a quella tradizionale di Brooklyn. In quel caso mostrava una faccia
del 'sogno americano', qui invece le pagine della vita di una coppia. Come i
protagonisti, We Live in Time coglie l'attimo. Ogni piano su
di loro (insieme o da soli) cattura il momento di felicità o disperazione. Non
c'è mai un esito scontato come nei drammi sulla malattia, anche quello
bellissimo di James L. Brooks con Debra Winger e Shirley MacLaine. Il destino di Tobias e Almut può cambiare da un momento all'altro prima
del finale. Il vissuto e la sua rappresentazione sono la stessa cosa. In We
Live in Time, tra il cinema e la vita non c'è più nessuna distanza.
…We Live in Time non perde mai davvero un colpo delle sue
argomentazioni, coerente fino all’ultimo con i desideri della sua protagonista,
ma forse al film di John Crowley manca un discorso davvero rinnovatore che
interessi anche il corpo, il dolore, la perdita e che magari liberi le
riflessioni su temi del genere da certa fastidiosa retorica o anche solo
dell’approccio a volte morboso con cui vengono raccontati al cinema. Il film ne
sfiora a tratti certi presupposti ma non sembra voler costruire su di essi
argomentazioni davvero di rottura. La malattia rimane oggetto di conversazione,
mai vero sconquasso emotivo, dettaglio che costringe i personaggi a venire a
patti con loro stessi, salvo nei rari momenti in cui decide “in sicurezza” di
esserlo, parentesi che però hanno il retrogusto di (belle) scene madri pensate
per permettere a Garfield e Plugh di dare il meglio di loro…
…Non è un caso che Garfield, meraviglioso nell’impaccio
da fiero sad boy, sia un grafomane, tant’è che è una penna scarica a innescare
l’incontro con Pugh: porta sempre con sé un taccuino su cui prende appunti su
tutto ciò che non conosce nella speranza di poterlo dominare, pagine piene di
dati e numeri che restituiscono il senso di una storia. E Pugh è clamorosa nel
suo concedersi completamente al film, incinta o martoriata dalla chemio,
competitiva o remissiva, orgogliosa o sarcastica, teorica della rottura delle
uova e pattinatrice pronta a un’altra piroetta…
…Spetta a
Pugh rendere questa donna abbastanza complessa da resistere all’istinto di
definirla semplicemente egoista (una sensazione fastidiosa che la sceneggiatura
stessa sembra supportare, anche quando Almut afferma che lo sta facendo perché
sua figlia sia orgogliosa di lei), oltre a comunicare i rimpianti e le paure,
l’attaccamento all’ottimismo e la filosofia di scalare ogni montagna il prima
possibile, che iniziano a sopraffarla dopo la diagnosi. Tocca a Garfield
convincere che il suo percorso verso la vedovanza, per non parlare delle sue
preoccupazioni su come la figlia gestisca la malattia e sul suo tentativo di
tenere a bada il proprio dolore per non perdere la gioia del loro tempo insieme
che sta diminuendo, sembri autentico e sofferto. E spetta a loro due, insieme,
far credere che stiamo guardando una vera coppia innamorata e in crisi, e non
solo una coppia sullo schermo che si limita a indossare abiti e a portarsi le
mani alla testa.
Fortunatamente due
talenti come questi sono preparatissimi ad affrontare il compito. Crowley ha
lavorato con Garfield quando l’attore ha ottenuto il suo primo ruolo da
protagonista in Boy A (2007), e si può percepire
un interprete che si sta adattando a una parte che gli consente di addentrarsi
in luoghi più profondi e forse più dolorosi, pur continuando a interpretare il
ragazzo dei sogno, un po’ imbranato e tutto sospiri. Qui si ha la sensazione
che stia maturando verso una nuova fase da protagonista, un po’ meno
“adorabile”. Pugh continua a costruire su un talento di base che sembra
sconfinato e, per tutti i lavori che l’hanno costretta a puntare su vittime
dell’horror popolare, su mogli retrò gaslit, su decane dei film d’epoca e su
supercriminali con accento russo, riesce a scavare in una donna “normale” che
si ritrova ad affrontare la sua mortalità con tutto l’entusiasmo possibile.
D’accordo, è anche una chef famosa ed è costretta a partorire in una stazione
di servizio, in quella che in qualche modo è la sequenza più intensa e tenera
stile Love Actually dell’intero film.
Ma tant’è. Sappiamo di sembrare un disco rotto quando affermiamo ancora una
volta che potrebbe essere la più grande attrice cinematografica della sua
generazione, ma è difficile non pensarlo mentre la guardiamo riempire i vuoti
di questo personaggio meno eccentrico e più concreto del solito (per lei) e
nonostante questo continuare silenziosamente a stupirci.
Andrete al cinema per una
sorta di Scene da un matrimonio pasticciato,
senza un vero matrimonio per la maggior parte della narrazione. Rimarrete lì a
guardare, perché questi due comunicano in modo così meraviglioso che i giochi
mentali della narrazione quasi non vi infastidiranno. (Un consiglio da
professionisti: se siete convinti che solo la scena finale si svolga ai giorni
nostri e che il resto del film sia in realtà solo un flusso di ricordi che vi
piombano addosso in modo casuale, come spesso accade, il concetto formale
funziona 10 volte meglio.) We Live in Time è
un film di attori per necessità, se non sempre per scelta. Saprete la
destinazione prima ancora che il film inizi. Pugh e Garfield fanno sì che il
finale valga il viaggio, indipendentemente da dove lo si collochi nel tempo…
Nessun commento:
Posta un commento