lunedì 17 febbraio 2025

Do Not Expect Too Much from the End of the World (Non aspettarsi troppo dalla fine del mondo) - Radu Jude

Radu Jude non delude mai.

in questo film ci sono tanti fatti piccoli e sorpendenti, diverse storie che si rincorrono e si intersecano nella stessa giornata.

Angela Raducani (che ha girato altri film del regista) è interpretata dall'instancabile Ilinca Manolache, che corre come un criceto, una lavoratrice schiava tuttofare.

sono passati i tempi nei quali i lavoratori erano organizzati e contavano qualcosa, la Romania è in mano alle multinazionali che lasciano il paese sempre più povero, l'unica ribellione di Ilinca è quella di creare un personaggio su TikTok, sboccato e sincero, l'unico spazio di libertà per Ilinca.

il film è pieno di citazioni e, per quanto sembri una stramberia, è un godimento per chi guarda.

peccato che il film sia stato nelle sale poco e male, gli attori sono davvero bravi, cercatelo e godetene tutti.

buona visione - Ismaele

 

 

 

 

 

…Do not expect too much from the end of the world è un film lungo; un film che condensa tanti generi, e innumerevoli registri cinematografici. Ciononostante, quello diretto da Radu Jade è un film che compie una magia più unica che rara: riesce a raccogliere nello spazio dei propri raccordi tutta l'esasperazione di giovani costretti a ore interminabili di lavoro, e una ricerca di evasione dalla realtà nello schermo di uno smartphone. Un mix esplosivo generante un ritratto della nostra quotidianità, dipinta con caustica e irresistibile ironia, abile nel coinvolgere il proprio pubblico fino a inserirsi nello strato più profondo della sua anima.

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La satira dai toni grotteschi sulla società contemporanea, il gioco degli opposti pieno di citazioni, aforismi, battute e scambi tra registri non può più essere considerato (soltanto) un semplice esercizio di stile. Questo film di superfici, come l’ha definito lo stesso Jude, riassume nell’unità del film-aforisma tutte le suggestioni del suo cinema e analizza con una straordinaria profondità riflessiva le immagini del mondo in cui viviamo. Basta un TikTok per avere contezza di temi come la morte, lo sfruttamento sul lavoro, la gig economy, la guerra in Ucraina? Dramma, in parte commedia, in parte road movie, in parte film di montaggio, in parte film d’archivio (Angela merge mai departe, 1981) che sconfina attraverso i suoi protagonisti (Dorina Lazăr, László Miske) all’interno della pellicola contemporanea di Jude.

Do Not Expect Too Much From the End of the World è un film stratificato, denso, per cui un’unica visione non basta a decifrarne completamente la portata riflessiva. Un ulteriore passo in avanti nella filmografia di uno dei cineasti europei la cui analisi sulla contemporaneità sembra aver raggiunto il suo apice espressivo.

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Nell’estenuante traffico di Bucarest, la satira di Radu Jude viene scandita da nuove nevrosi in bianco e nero, alter ego di TikTok e colori d’archivio. Un ambizioso gioco di registri che culmina nell’apice espressivo del regista romeno, grottesco, esasperato, tragicamente realistico. Le violenze del capitalismo contemporaneo intercettano gli anni di Ceaușescu in uno stratificato ‘film di superfici’ fatto di digressioni, aforismi, antitesi, censure. Nulla è lasciato al caso: tutto opera al servizio di un unico, lucidissimo, grande delirio, molto più grande dello stesso film, che non assomiglia a nulla di già visto.

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Il sottotitolo del nuovo film di Radu Jude, ovvero Do Not Expect Too Much From the End of the World, è “dialogo con un film dal 1981”. È quindi evidente che, come nel caso di The Marshal’s Two Executions (2018) e Tipografic majuscul (2020) ci troviamo ancora una volta davanti a quello che è innanzitutto un sofisticato esercizio di montaggio. Un film di finzione che racchiude in sé spezzoni di un film precedente, quello diretto appunto nel 1981 da Lucian Bratu e intitolato Angela Goes On, utilizzato da Jude come capsula del tempo utile a documentare la Bucarest degli anni Ottanta, quindi dell’era di Ceaușescu, che diventa la base visiva per una serie di evocative giustapposizioni della città di allora e di oggi. Jude richiama così in scena Angela Coman (Dorina Lazăr), la protagonista - oggi anziana - di Angela Goes On (o Angela Moves On, titolo dal significato ambivalente, che al movimento nello spazio ne associa anche uno emotivo), che nel film originale guidava moltissimo per le strade di Bucarest per guadagnarsi da vivere. Il montaggio alternato di Radu Jude invita il pubblico a confrontare la Bucarest mappata dall’immaginaria Angela di Bratu nel suo ruolo di tassista, mentre l’era di Ceaușescu stava appena entrando nel suo ultimo decennio, con la Bucarest attraversata dalla nuova protagonista del suo film, anche lei Angela e anche lei in auto, più di 40 anni dopo. Ci troviamo davanti a una città molto più trafficata, con un numero esponenzialmente più alto di auto a intasare le strade della capitale e a scaricare polveri inquinanti nell’aria, al punto che le immagini provenienti dal passato socialista ci appaiono preferibili e avvolte da un nostalgico romanticismo. Ma ovviamente è tutto un gioco di percezioni, un modo per svelare come il cinema - così ieri, così oggi - possa manipolare la realtà e dare una visione falsata della stessa…

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Lontano da ogni scialba ambizione di perfezione tecnica, Jude è autenticamente rosselliniano (con buona pace dei più rigidi e scandalizzati cultori del magistero del regista di Paisà) per la sua capacità di costruire il reale attraverso il rapporto tra l’uomo e lo spazio, tra l’immediatezza della rappresentazione e l’azzeramento delle distanze, tra la schiettezza delle emozioni e la continua scoperta dei luoghi, tra la forza dell’involucro narrativo e le continue epifanie della realtà che costringono a rimettere ogni scena (e ogni scelta) in discussione.

Non solo, però. L’autore di Sesso sfortunato o follie porno (con cui fu premiato con l’Orso d’oro a Berlino) riprende da Rossellini anche la necessità di superare certe contraddizioni del linguaggio da riunire in un nuovo progetto espressivo, anche se il suo sguardo a volte sembra quello di un moralista ottocentesco e a volte quello di un Voltaire meno incarognito. Così, la semplicità quasi sciatta del webcasting si unisce a una fotografia (di Marius Panduru) – in bianconero per la maggior parte della durata – quasi piatta e volutamente senza profondità, realizzata con mezzi pressoché amatoriali (c’è anche il flickering della luce sui muri) ma di una solidità corrusca e perfino scultorea.

Senza contare che la vicenda di Angela dialoga con quella dell’omonima protagonista del vecchio film di Lucian Bratu Angela merge mai departe (1981, titolo internazionale Angela Moves On), che come lei vaga in auto (qui, per la precisione, si tratta di un taxi) per le strade di Bucarest. Spezzoni di questo film vengono mostrati e integrati alla narrazione non solamente come semplice contrappunto. Con un geniale colpo di scena, infatti, si verrà a scoprire che il personaggio principale (non la sua interprete Dorina Lazar, che pure riprende il ruolo) di Angela Moves On è anche la madre di Ovidiu (Ovidiu Pîrșan), colui che sarà poi scelto per raccontare la sua sfortunata vicenda nello spot-progresso. Ennesima dimostrazione di un’idea di cinema liberissima (e per questo radicale), dove il nichilismo si stempera nella beffa: in fondo conviene «non aspettarsi troppo nemmeno dalla fine del mondo», suggerisce il titolo «rubato» all’aforista polacco Stanisław Jerzy Lec. Come a dire che ogni individuo sembra impossibilitato a costruirsi realmente il proprio futuro senza prima ritagliarsi uno spazio di libertà all’interno di un mondo recalcitrante a essere ridotto ai voleri del singolo.

A fare di Do Not Expect Too Much from the End of the World un capolavoro, però, è la capacità di Jude di condensare il discorso all’interno della sua ricerca stilistica che ha la quieta temperanza del gioco. L’apparente eterogeneità del linguaggio, infatti, serve per dimostrare un assunto apparentemente semplice: al giorno d’oggi ogni immagine può essere messa in comunicazione con qualsiasi altra. Non importano le sue origini, i suoi contorni, il suo formato, la sua destinazione d’uso e il suo significato originario: ogni differenza può essere integrata, senza pregiudizi o gerarchie. Un discorso che, in fondo, si è invitati a traslare dal piano ludico e semiserio del film ad altri e ben più importanti aspetti della realtà e della vita.

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Il caos di Non aspettarti troppo dalla fine del mondo è più simile a quello che si intendeva nelle cosmogonie della Grecia antica: una massa oscura e palpitante, sotto la cui superficie si muovono le cose che saranno, che prima o poi verranno, e chissà, magari sotto la coltre oscura riposano anche le macerie di quello che è stato in un’altra iterazione dell’eternità. Cosa siano, queste cose, al momento non è dato saperlo: angeli che verranno a salvare il cinema? I demoni che lo malediranno? Jude ha detto che il suo prossimo progetto è un film girato tutto con l’iPhone in formato 9:16. Perché? Perché è il formato attraverso il quale la maggior parte delle persone che esistono oggi esperiscono il mondo. Perché da tantissimi è considerata, questa, la forma del brutto. Perché per Jude TikTok e Instagram possono ancora essere strumenti d’arte, inizio di un nuovo cinema vernacolare, e qualcuno deve pur cominciare a mettere le fondamenta di questa Decima arte fatta di schermi verticali e video di 30 secondi al massimo. Magari è così che il cinema si salverà, o forse Radu Jude è l’agente del caos, l’angelo del male, l’araldo dell’apocalisse venuto ad annunciarci che il cinema è morto – e quindi il mondo è finito – e queste sono le ceneri che ne restano, a noi la scelta se chiuderle in una teca e piangere o usarle per concime e sperare che qualcosa nasca. Sempre meglio, però, non aspettarsi troppo dalla fine del mondo.

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