Le produzioni televisive della Turchia hanno superato i confini nazionali raggiungendo 146 Paesi, dall’America del Sud all’Asia e dall’Africa all’Europa, per un mercato che ha toccato il miliardo di dollari. Ma il sistema produttivo è ancora immaturo ed espone gli attori e i lavoratori a turni estenuanti, paghe basse e set pericolosi. Mentre i controlli sono inesistenti il governo cerca di influenzarne i contenuti. Il racconto della sceneggiatrice Ayfer Tunç.
Le serie
televisive turche hanno ormai conquistato un pubblico vastissimo, raggiungendo
146 Paesi, dall’America del Sud all’Asia, dall’Africa all’Europa. Secondo la Bbc,
nel 2023 questo mercato avrebbe raggiunto un valore pari a un miliardo di
dollari. Il successo mondiale delle serie tv turche è però solo la punta di
un iceberg che cela un sistema di condizioni economiche
ingiuste, ritmi di lavoro insostenibili e una censura molto diffusa.
In un articolo di
approfondimento realizzato dalla critica televisiva Sina Kologlu, nel 2022
risultavano attive 45 case di produzione con circa 150 registi che operano
esclusivamente nel mondo dello sviluppo delle serie tv in Turchia.
L’aumento della
produzione e l’espansione del mercato risalgono all’inizio degli anni 2000. Le
produzioni trovano spazio sia nei canali statali sia in quelli privati e
ultimamente soprattutto all’estero.
Ayfer Tunç è una
delle sceneggiatrici più importanti del settore. Ha iniziato la sua carriera
quasi 20 anni fa con la serie “Binbir Gece” (“Le mille e una notte”), poi ha
scritto 14 libri e le sceneggiature di tre film e 17 serie televisive. I suoi
sceneggiati hanno conquistato centinaia di milioni di persone nel mondo. “Sono
stata invitata in Cile per ricevere vari premi e ho conosciuto dei genitori che
hanno chiamato i loro figli Onur o Şehrazat, ossia i protagonisti della serie
‘Binbir Gece’, per la quale ho lavorato per tre anni”, racconta ad Altreconomia.
Secondo Tunç la
chiave del successo delle serie turche non è una sola: “Prima di tutto, a
livello ambientale, in Turchia offriamo delle produzioni molto particolari. Le
nostre serie non si svolgono soltanto negli interni ma anche all’esterno,
quindi chi guarda ha l’occasione di conoscere le strade, le persone, i colori e
i suoni di città che non ha mai visitato”. Infatti, negli ultimi anni, anche
grazie alle serie turche, è iniziata da diverse parti del mondo un’ondata di
turismo televisivo verso la Turchia. Tunç fa notare che si tratta di un
fenomeno per certi versi settoriale: “Le persone decidono di venire a Istanbul,
per esempio, proprio per vedere quei luoghi in cui gli episodi sono stati
girati”.
Un altro punto di
forza delle serie turche è la struttura drammatica delle sceneggiature. “Le
emozioni vengono vissute in modo spettacolare in queste produzioni. I
conflitti, gli innamoramenti o le esplosioni di rabbia, tutto è superlativo.
Quindi chi guarda si sente assolutamente coinvolto, molto di più rispetto agli
sceneggiati europei”, spiega Tunç, sottolineando che non tutte le serie vengono
preferite dagli stessi mercati. “Proprio per via di questa particolarità, forse
i mercati più difficili sono quello statunitense e quelli dell’Europa centrale
e nordica. Invece, nella fascia mediterranea, in Nord Africa e in Sud America,
abbiamo un riscontro straordinario”.
Il giornale online turco Gazete
Oksijen riporta che in Europa il secondo mercato più
importante per le serie turche, dopo la Spagna, è proprio quello italiano.
All’interno della ricerca realizzata dal giornale nel maggio 2023, solamente la
serie “Bir Zamanlar Çukurova” (“Terra amara”) in Italia inchioda davanti agli
schermi due milioni e 700mila persone. Si tratta di una produzione entrata nel
mercato italiano nel 2022, anche se era stata prodotta in Turchia quattro anni
prima.
La sceneggiatrice
della serie “Terra amara” è sempre Ayfer Tunç e sostiene che il successo
turco in Italia abbia diverse ragioni: “In Turchia ogni puntata dura 150
minuti, ma in Italia viene servito un format diverso, secondo
gli standard del mercato. Quindi ogni puntata si riduce a 25 o 30 minuti. Così
facendo abbiamo ottenuto 667 puntate. Si tratta di una quantità decisamente
elevata, quindi lo spettatore si affilia fortemente alla serie. Inoltre, in
Italia, come nel resto del mondo, le nostre serie vengono apprezzate perché
hanno un taglio conservatore. In quelle statunitensi c’è sempre un piccolo
‘pericolo’. Nelle serie turche il sesso è quasi inesistente e il bacio dura
poco. Quindi sono adatte per le famiglie. Penso che anche per questo in Italia
abbiano trovato un riscontro popolare”.
Nonostante i
numeri giganteschi e una carriera che cresce sempre di più in questi ultimi 25
anni, Tunç specifica che è difficile parlare di una vera industria quando si
tratta delle serie turche: “Il settore ottiene un ricavato che si avvicina
molto a quello statunitense. Tuttavia, per arrivare a quel punto, è stato
adottato un sistema di produzione straordinario. Per esempio, io scrivo ogni
settimana per circa 150 minuti e all’anno per 35 puntate. Ciò che scrivo io in
un anno corrisponde al lavoro di 17 anni degli sceneggiatori della Bbc.
Inoltre, per la vendita all’estero, spezzando le puntate, una serie da 100
puntate ‘turche’ diventa da 300 per l’estero”. Questo sistema di produzione e
ricavi ottenuti da fuori dalla Turchia, secondo Tunç, soprattutto tenendo in
considerazione le caratteristiche dell’economia turca, porta un notevole
guadagno al settore, ma ancora non si può parlare di un sistema che funzioni in
modo sano e giusto per tutti.
Infatti negli
ultimi anni con la crescita sfrenata delle produzioni sono emersi diversi
problemi, tra cui gli incidenti sui set. Numerosi giornalisti hanno
riportato condizioni di lavoro ai livelli di un vero e proprio sfruttamento
diffuso. I salari bassi, le misure di sicurezza precarie e le ore di lavoro
insostenibili hanno spinto diverse persone che lavorano nel settore a unirsi
nel 2010 per intraprendere le prime lotte e nel 2011 è stato fondato il primo
sindacato, l‘Oyuncular Sendikası (il sindacato
degli attori).
Il sindacato segue
i lavoratori impiegati sui set, sul palco e negli studi. Tra le
principali campagne che porta avanti c’è quella di creare uno standard
nazionale del lavoro e la lotta contro quello minorile. Ufuk Demirbilek,
regista e membro del sindacato, in un’intervista rilasciata a Euronews nel
2022 raccontava così le condizioni di lavoro durante le riprese delle serie
turche: “Per una puntata da 120 minuti si lavora sul set per
17 ore, con condizioni di sicurezza molto precarie e controlli inesistenti.
Spesso ci sono lavoratori senza contratto e sottopagati. Inoltre, ci sono
notevoli ritardi nei pagamenti”.
Un altro aspetto
che ci aiuta a capire il funzionamento del sistema è il ruolo dei produttori.
Ayfer Tunç riporta che sono principalmente i canali televisivi turchi, privati
o statali, e il funzionamento del sistema si basa su una valutazione molto
parziale: “I canali misurano in continuazione l’audience, ma
esclusivamente in riferimento alla Turchia e non all’estero. Quindi, se una
serie funziona male a casa, è probabile che il canale produttore la interrompa
subito, anche se magari all’estero grazie questa serie lo stesso canale
guadagna molto. Infatti sappiamo che i canali non ricavano abbastanza dalla
vendita domestica, anzi le loro principali risorse provengono dall’estero.
Inoltre, lo spettatore in Turchia ormai guarda meno la televisione e più la
rete, e per questo i ricavi pubblicitari televisivi domestici sono sempre più
bassi. È un sistema che funziona male, per questo servono regole rigide che
oggi non esistono”.
A questo punto le
piattaforme online potrebbero essere una soluzione per il
futuro delle serie turche, soprattutto considerando che, secondo i dati del
World Population Review, l’uso della rete in Turchia raggiunge l’87% della
popolazione, superando India, Nigeria, Messico, Belgio e Italia. Tuttavia, Tunç
sottolinea che al momento non si può parlare delle piattaforme come di un
mercato alternativo: “Prima di tutto, ci sono pochi iscritti alle piattaforme a
pagamento (nel 2024 Netflix Turchia dichiara due milioni di utenti su una popolazione
pari a 85 milioni). Poi le grandi piattaforme scelgono solo determinati tipi di
serie. Infine, queste realtà trattengono una percentuale che, con le condizioni
attuali, è insostenibile per il mercato”.
Infine, la censura
e l’autocensura. Le serie turche, nonostante il loro successo globale, non
parlano di politica, non avanzano mai critiche contro il governo e spesso
promuovono l’uso della violenza. Il tema ha trovato ampio spazio in una
relazione parlamentare presentata nel 2019 dalla deputata Gamze Taşcıer, del
partito d’opposizione Cumhuriyet halk partisi (Chp):
“La pagella della violenza delle serie tv”.
Secondo la ricerca
condotta da Taşcıer, in alcune serie ogni puntata presenta in media 20 minuti
di violenza fisica e 41 minuti di violenza psicologica. Ayfer Tunç evidenzia
che c’è una notevole limitazione della libertà di espressione nel mondo delle
serie televisive: “La censura esiste, così come gli interventi politici sulle
serie. Esiste l’ente RTÜK che regolamenta la censura e sanziona le
trasgressioni. Noi ormai quando scriviamo non pensiamo assolutamente ai
contenuti politici, altrimenti rischiamo. Tuttavia le scene con le pistole sono
ben accette. Fino a qualche anno fa la critica politica era più libera, ma oggi
non ci pensiamo minimamente. L’autocensura è ormai più presente della censura
stessa”.
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