un film sorprendente e coraggioso, ambientato in un villaggio trentino, un secolo fa, quando tutti, o quasi, non parlavano la lingua italiana.
un racconto pieno di bambini, che capiscono tutto.
una figlia del maestro, Lucia, s'innamora di un siciliano che torna dalla guerra e si ferma in quel villaggio, Pietro e Lucia si sposano, e arriva un bambino, ma il padre non c'è più.
le donne devono solo obbedire, ma ormai un vento di libertà ha cominciato a soffiare.
Maura Delpero ricostruisce fedelmente un mondo che non c'è più, e che un po'. almeno per sentito dire, abbiamo conosciuto tutti, che in quei paesi non ci siamo nati.
Vermiglio ha un'aria di Piccolo corpo, che racconta una storia di una mamma con un bambino.
non perdetevi questo film di oggi che racconta storie di ieri.
buona (resistente) visione - Ismaele
…“Vermiglio” è un film che riesce a far emergere la vita di
una famiglia immersa in una realtà rurale e immutabile, raccontando con
delicatezza e crudezza il peso della tradizione e della sottomissione
femminile. Con una regia semplice ma potente, Maura Delpero offre uno sguardo
sincero su un mondo ormai perduto, mantenendo viva la memoria di una cultura e
di usanze che il tempo ha spazzato via. Un’opera che parla al cuore dello
spettatore, rievocando atmosfere verghiane attraverso una narrazione lenta e suggestiva.
…Richiamandosi
al cinema della vita contadina di Ermanno Olmi e sulla scia di quello più
recente proposto da Alice Rohrwacher, Maura Delpero firma il suo capolavoro
attraverso un racconto lirico in cui il rigore della forma trova corrispondenza
nella scelta di sottrarre le sequenze al movimento, affidando l'efficacia del
risultato alla fissità della mdp (metafora anche della chiusura del mondo in
cui vivono i personaggi), pronta a cogliere l'umanità dei protagonisti nella
concentrazione dello sguardo così come nella plastica composizione della
postura di un'intera epoca.
La bravura della Delpero è quella di continuare a ragionare sui temi che le
sono consoni cambiando per intero la geografia umana e paesaggistica dei suoi
orizzonti. "Vermiglio" è un'opera seconda che non smentisce la prima,
riuscendone addirittura a migliorarne i pregevoli risultati. Almeno per chi
scrive il film si candida al premio per il miglior film e interpretazioni. Tra
queste ultime oltre a Tommaso Ragno, Carlotta Gamba e all'iconico cameo Sara
Serraiocco, non si può fare a meno di citare le meravigliose Martina Scrinzi,
Rachele Potrich e Anna Thaler, attrici esordienti a cui speriamo il cinema
italiano sia capace di dare altre possibilità per esprimere il loro talento.
…È
un film affascinate e ipnotico Vermiglio,
costruito su costanti ellissi narrative nelle quali gli eventi accadono spesso
in fuori campo (come per il destino di morte di Pietro) lasciando a noi
spettatori la condivisione delle conseguenze umane. Il dramma si insinua
silenzioso nella quotidianità, nel fluire della vita e delle stagioni, come
correlativo oggettivo di una difficoltà a far collimare l’azione al sentimento.
Pensiamo al bellissimo personaggio di Ada e alla sua ricerca identitaria posta
sullo sfondo di una tragedia collettiva (la guerra) e di una tragedia privata
(il destino della sorella Lucia incinta) che reclamano il primo piano. Eppure
Ada è capace di generare emozioni e riflessioni “contemporanee” confinate in
una manciata di scene rubate alle linee d’azione principali.
L’archivio di forme e il registro metaforico di autori
come Pietrangeli, Olmi o Pasolini è in più occasioni evocato e rimodellato ma
mai sterilmente serigrafato. Così come il confine tra pratiche del documentario
e spinte finzionali viene più volte valicato nel fertile lavoro antropologico
su attori e luoghi. Un rigore formale che rende ancora una volta universale il
tema della maternità tra dimensioni pubbliche e private,
folklore e dolore. Certo, il film sconta qualche schematismo nella definizione
dei suoi caratteri e qualche semplificazione narrativa nel comprensibile timore
di mettere in chiaro i tanti fronti delle riflessioni contemporanee (la guerra,
la maternità, la condizione femminile, l’orientamento sessuale, ecc). C’è tanto
altro, però. Perché Delpero continua a fidarsi delle proprie inquadrature
aprendole a una moltitudine di significanze possibili, quindi concedendoci il
giusto tempo di lettura. Questo è un film che crede ancora nella potenza dei
luoghi e dei volti come tramite per
andare oltre le storie contingenti, inscrivendosi in una tradizione di cinema
italiano che fa dell’etica della forma la sua intima riflessione umanista.
Insomma, Vermiglio è un film sincero e
onesto con il suo spettatore confermando in Maura Delpero uno sguardo registico
personale e consapevole che arricchisce il panorama del cinema italiano
contemporaneo.
…“Vermiglio” colpisce il pubblico
con la sua semplicità nel raccontare la vita quotidiana di montagna. E’ un modo
affascinante che riporta sul grande schermo immagini di un tempo ormai lontano
decenni. La riproduzione degli ambienti, nonostante le difficoltà di
registrazione immense, è perfetta; i vestiti, gli utensili, tutta
l’oggettistica è curata nei particolari. Anche le luci usate e la fotografia
riescono a immergere lo spettatore.
Si
tratta di un vero e proprio affresco sociale perchè non coinvolge solo la
numerosa famiglia come era in uso in tutta Italia ai tempi, si tratta anche di
coinvolgere altre famiglie, altri personaggi importanti del paesino. La scuola
in classe unica con componenti di diverse età, la locanda dove gli uomini
bevono, fumano, giocano a carte; la chiesa, il lavoro nei campi, sono tutti
luoghi di incontro e che permettono a diversi personaggi di confidarsi e
informarsi.
Il
paese presenta una società tipica dell’epoca: una società prettamente
patriarcale. Le dinamiche relative al lavoro nei campi, alla possibilità di
istruzione, al corteggiamento, al fidanzamento, al matrimonio e alla gestione della
famiglia sono antiche, diverse da come le conosciamo oggi. L’espediente per
riuscire a spiegare al pubblico alcune dinamiche è stato quello di far parlare
i bambini piccoli della famiglia che chiedono ai familiari più grandi anche
tramite domande semplici e ingenue…
… Ada desidera qualcosa che non è permesso, per questo si
nasconde dietro l’armadio, e poi prega per i suoi desideri che possano non tracimarle
dentro; Flavia vuole studiare ma non vuole lasciare la famiglia, vuole stare
vicina a Lucia che ha impugnato la sua vergogna tessendola come una tela nera a
lutto. Questo ci suggerisce come ogni personaggio abiti il suo spazio, piccolo
e spesso piccolissimo, in una realtà che non accoglie i desideri di tutti ma
solo i doveri. Vermiglio è un film corale
ambientato durante la fine della guerra, ma la guerra è la grande assente, è
indicibile, mortifera, vedovile, è un fantasma che vive altrove.
C’è un dolore pervasivo, percettibile,
visibile che abita nelle pieghe di questa umanità periferica, disadorna, un
dolore che vive nei fantasmi delle guerre, nella morte dei figli, nelle lettere
mai corrisposte, negli amori mai sbocciati, proibiti e nello stupore della
soglia, quel crinale che divide i confini, dentro e fuori dal mondo, storie
personali e storie collettive, montagna e valle, neve e fiocchi di luce, le
stagioni della vita e quelle dell’amore che in pace e in guerra hanno forme
diverse e direzioni differenti. In Vermiglio si
respira il dolore dello stare al mondo e il dolore della sopravvivenza. In
entrambi i casi l’amore partecipa e occupa uno spazio scomodo, sempre
insidioso.
…Religione, misticismo e ragione
convivono in un unico abbraccio e si influenzano a vicenda, mostrando la
propria limitatezza. Vermiglio cresce, sedimenta, sale. E c’è
indubbiamente un punto narrativo più alto rispetto agli altri, ma è un momento
che ha la stessa tensione sospesa di un sospiro – dura l’attimo che dura e
subito dopo, semplicemente, non c’è più. Un aiuto fondamentale alla costruzione
del racconto, con la sua coerenza visiva e il suo spessore, lo dà la fotografia
di Mikhail Krichman: ci sono degli azzurri più azzurri di altri, e poi dei neri
che non diventano mai totalmente neri e che sembrano sempre fermarsi un secondo
prima, come se qualcuno li strattonasse. Le immagini sono piene. E non perché
contengono una moltitudine di corpi o di oggetti. Ma perché sono in grado di
offrire allo spettatore una totalità di luci e di ombre, con dei confini che
non tagliano le inquadrature ma che, anzi, sanno come sostenerle e ammorbidirle…
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