giovedì 3 ottobre 2024

Vermiglio - Maura Delpero

un film sorprendente e coraggioso, ambientato in un villaggio trentino, un secolo fa, quando tutti, o quasi, non parlavano la lingua italiana.

un racconto pieno di bambini, che capiscono tutto.

una figlia del maestro, Lucia, s'innamora di un siciliano che torna dalla guerra e si ferma in quel villaggio, Pietro e Lucia si sposano, e arriva un bambino, ma il padre non c'è più.

le donne devono solo obbedire, ma ormai un vento di libertà ha cominciato a soffiare.

Maura Delpero ricostruisce fedelmente un mondo che non c'è più, e che un po'. almeno per sentito dire, abbiamo conosciuto tutti, che in quei paesi non ci siamo nati.

Vermiglio ha un'aria di Piccolo corpo, che racconta una storia di una mamma con un bambino.

non perdetevi questo film di oggi che racconta storie di ieri.

buona (resistente) visione - Ismaele

 

 

 

 

…“Vermiglio” è un film che riesce a far emergere la vita di una famiglia immersa in una realtà rurale e immutabile, raccontando con delicatezza e crudezza il peso della tradizione e della sottomissione femminile. Con una regia semplice ma potente, Maura Delpero offre uno sguardo sincero su un mondo ormai perduto, mantenendo viva la memoria di una cultura e di usanze che il tempo ha spazzato via. Un’opera che parla al cuore dello spettatore, rievocando atmosfere verghiane attraverso una narrazione lenta e suggestiva.

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Richiamandosi al cinema della vita contadina di Ermanno Olmi e sulla scia di quello più recente proposto da Alice Rohrwacher, Maura Delpero firma il suo capolavoro attraverso un racconto lirico in cui il rigore della forma trova corrispondenza nella scelta di sottrarre le sequenze al movimento, affidando l'efficacia del risultato alla fissità della mdp (metafora anche della chiusura del mondo in cui vivono i personaggi), pronta a cogliere l'umanità dei protagonisti nella concentrazione dello sguardo così come  nella plastica composizione della postura di un'intera epoca.
La bravura della Delpero è quella di continuare a ragionare sui temi che le sono consoni cambiando per intero la geografia umana e paesaggistica dei suoi orizzonti. "Vermiglio" è un'opera seconda che non smentisce la prima, riuscendone addirittura a migliorarne i pregevoli risultati. Almeno per chi scrive il film si candida al premio per il miglior film e interpretazioni. Tra queste ultime oltre a Tommaso Ragno, Carlotta Gamba e all'iconico cameo Sara Serraiocco, non si può fare a meno di citare le meravigliose Martina Scrinzi, Rachele Potrich e Anna Thaler, attrici esordienti a cui speriamo il cinema italiano sia capace di dare altre possibilità per esprimere il loro talento.

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È un film affascinate e ipnotico Vermiglio, costruito su costanti ellissi narrative nelle quali gli eventi accadono spesso in fuori campo (come per il destino di morte di Pietro) lasciando a noi spettatori la condivisione delle conseguenze umane. Il dramma si insinua silenzioso nella quotidianità, nel fluire della vita e delle stagioni, come correlativo oggettivo di una difficoltà a far collimare l’azione al sentimento. Pensiamo al bellissimo personaggio di Ada e alla sua ricerca identitaria posta sullo sfondo di una tragedia collettiva (la guerra) e di una tragedia privata (il destino della sorella Lucia incinta) che reclamano il primo piano. Eppure Ada è capace di generare emozioni e riflessioni “contemporanee” confinate in una manciata di scene rubate alle linee d’azione principali.

L’archivio di forme e il registro metaforico di autori come Pietrangeli, Olmi o Pasolini è in più occasioni evocato e rimodellato ma mai sterilmente serigrafato. Così come il confine tra pratiche del documentario e spinte finzionali viene più volte valicato nel fertile lavoro antropologico su attori e luoghi. Un rigore formale che rende ancora una volta universale il tema della maternità tra dimensioni pubbliche e private, folklore e dolore. Certo, il film sconta qualche schematismo nella definizione dei suoi caratteri e qualche semplificazione narrativa nel comprensibile timore di mettere in chiaro i tanti fronti delle riflessioni contemporanee (la guerra, la maternità, la condizione femminile, l’orientamento sessuale, ecc). C’è tanto altro, però. Perché Delpero continua a fidarsi delle proprie inquadrature aprendole a una moltitudine di significanze possibili, quindi concedendoci il giusto tempo di lettura. Questo è un film che crede ancora nella potenza dei luoghi e dei volti come tramite per andare oltre le storie contingenti, inscrivendosi in una tradizione di cinema italiano che fa dell’etica della forma la sua intima riflessione umanista. Insomma, Vermiglio è un film sincero e onesto con il suo spettatore confermando in Maura Delpero uno sguardo registico personale e consapevole che arricchisce il panorama del cinema italiano contemporaneo.

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“Vermiglio” colpisce il pubblico con la sua semplicità nel raccontare la vita quotidiana di montagna. E’ un modo affascinante che riporta sul grande schermo immagini di un tempo ormai lontano decenni. La riproduzione degli ambienti, nonostante le difficoltà di registrazione immense, è perfetta; i vestiti, gli utensili, tutta l’oggettistica è curata nei particolari. Anche le luci usate e la fotografia riescono a immergere lo spettatore.

Si tratta di un vero e proprio affresco sociale perchè non coinvolge solo la numerosa famiglia come era in uso in tutta Italia ai tempi, si tratta anche di coinvolgere altre famiglie, altri personaggi importanti del paesino. La scuola in classe unica con componenti di diverse età, la locanda dove gli uomini bevono, fumano, giocano a carte; la chiesa, il lavoro nei campi, sono tutti luoghi di incontro e che permettono a diversi personaggi di confidarsi e informarsi.

Il paese presenta una società tipica dell’epoca: una società prettamente patriarcale. Le dinamiche relative al lavoro nei campi, alla possibilità di istruzione, al corteggiamento, al fidanzamento, al matrimonio e alla gestione della famiglia sono antiche, diverse da come le conosciamo oggi. L’espediente per riuscire a spiegare al pubblico alcune dinamiche è stato quello di far parlare i bambini piccoli della famiglia che chiedono ai familiari più grandi anche tramite domande semplici e ingenue…

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Ada desidera qualcosa che non è permesso, per questo si nasconde dietro l’armadio, e poi prega per i suoi desideri che possano non tracimarle dentro; Flavia vuole studiare ma non vuole lasciare la famiglia, vuole stare vicina a Lucia che ha impugnato la sua vergogna tessendola come una tela nera a lutto. Questo ci suggerisce come ogni personaggio abiti il suo spazio, piccolo e spesso piccolissimo, in una realtà che non accoglie i desideri di tutti ma solo i doveri. Vermiglio è un film corale ambientato durante la fine della guerra, ma la guerra è la grande assente, è indicibile, mortifera, vedovile, è un fantasma che vive altrove.

C’è un dolore pervasivo, percettibile, visibile che abita nelle pieghe di questa umanità periferica, disadorna, un dolore che vive nei fantasmi delle guerre, nella morte dei figli, nelle lettere mai corrisposte, negli amori mai sbocciati, proibiti e nello stupore della soglia, quel crinale che divide i confini, dentro e fuori dal mondo, storie personali e storie collettive, montagna e valle, neve e fiocchi di luce, le stagioni della vita e quelle dell’amore che in pace e in guerra hanno forme diverse e direzioni differenti. In Vermiglio si respira il dolore dello stare al mondo e il dolore della sopravvivenza. In entrambi i casi l’amore partecipa e occupa uno spazio scomodo, sempre insidioso.

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Religione, misticismo e ragione convivono in un unico abbraccio e si influenzano a vicenda, mostrando la propria limitatezza. Vermiglio cresce, sedimenta, sale. E c’è indubbiamente un punto narrativo più alto rispetto agli altri, ma è un momento che ha la stessa tensione sospesa di un sospiro – dura l’attimo che dura e subito dopo, semplicemente, non c’è più. Un aiuto fondamentale alla costruzione del racconto, con la sua coerenza visiva e il suo spessore, lo dà la fotografia di Mikhail Krichman: ci sono degli azzurri più azzurri di altri, e poi dei neri che non diventano mai totalmente neri e che sembrano sempre fermarsi un secondo prima, come se qualcuno li strattonasse. Le immagini sono piene. E non perché contengono una moltitudine di corpi o di oggetti. Ma perché sono in grado di offrire allo spettatore una totalità di luci e di ombre, con dei confini che non tagliano le inquadrature ma che, anzi, sanno come sostenerle e ammorbidirle…

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