lunedì 28 ottobre 2024

Parthenope – Paolo Sorrentino

Già dal titolo si capisce che la protagonista del film non poteva non essere Napoli, filmata in modo innamorato e indimenticabile da Sorrentino.

La storia viene raccontata da Parthenope (Celeste Della Porta da giovane, Stefania Sandrelli da anziana), una storia d'amore che ricorda a tratti Jules e Jim di François Truffaut. 

Nella seconda parte del film appaiono due interpreti (e interpretazioni) memorabili, il professore universitario Silvio Orlando e il vescovo Peppe Lanzetta.

Silvio Orlando è il maestro di Parthenope, il professore che la sceglie come successore, e ha un segreto, un figlio malato, e lo mostra a Parthenope (il figlio ha qualche somiglianza con Charlie, il professore super obeso di The Whale).

Peppe Lanzetta è perfetto per il suo ruolo, il vescovo alle prese con il sangue di san Gennaro.

Un film che è una gioia per gli occhi, tra l'altro.

Buona (partenopea) visione - Ismaele

 


 

 

 

Che Sorrentino ci abbia abituato alla dismisura, è un dato di fatto. Che Sorrentino abbia un universo intimo e che spesso questo universo resti aggrappato al suo interno pur illudendosi di darsi completamente al pubblico, è un altro incontestabile dato di fatto. Che poi Sorrentino abbia una qualità visiva eccezionale, che parte proprio da quell’universo intimo, da quella particolare propensione a vedere le cose attraverso un filtro tra il levigato e il mostruoso, tra luci iperrealistiche scintillanti e l’oscurità grottesca di Francisco Goya, è altrettanto incontestabile.

Parthenope è questo. È un distillato di Sorrentino, che torna ancora a Napoli e la omaggia attraverso la parabola esistenziale di una donna attraente, amata da tutti ma che poco si concede, pur dispensando a chiunque la sua attenzione. Parthenope, interpretata dalla pressoché esordiente Celeste Della Porta, è creatura immersa in sostanza metaforica, è la ovvia prosopopea (non la superba presunzione, la figura retorica) di una città che nasce dall’acqua per sedurre, per soffrire, per convivere con i fantasmi rimossi del passato e per allontanarsi inesorabilmente da se stessa, continuando a coltivare il proprio rifiuto affascinato e nostalgico…

da qui

 

Paolo Sorrentino non è nuovo all’utilizzo della metafora e del simbolismo. Con E’ stata la mano di Dio aveva già percorso le strade di Napoli, che però erano principalmente scenario alla vicenda personale di Fabietto, il protagonista, e poi si è scoperto alter ego del regista stesso. Con Parthenope, Sorrentino rimane a Napoli ma fa della città un personaggio nel corpo e nel viso splendido di Celeste Della Porta. La prima parte del film è più legata al classico viaggio di formazione, che si esaurisce e conclude (forse) di fronte al primo grande dolore di questa giovane donna. Da quel momento in poi che non specifichiamo ma che sarà chiaro a chiunque vedrà il film, Parthenope prende una strada accidentata, quella appunto metaforica e simbolica in cui la fanciulla si fa città e, man mano che procede nella sua ricerca di senso della vita, entra in contatto con ogni aspetto di Napoli stessa.

Parthenope entra in contatto con l’ambiente dell’arte, e si avvicina alla recitazione, arrivando a ricevere consigli da una grande attrice, una diva di origini napoletane che nel look e nei modi ricorda vagamente Sofia Loren. Si avvicina all’occultismo e alla magia della fede folkloristica tipica della città: il Miracolo e il Tesoro di San Gennaro, il Vescovo intermediario tra la città e il popolo, che vuole “fottere” la città per il suo tornaconto. Entra addirittura in contatto con le viscere mafiose del capoluogo campano, quando assiste a un “matrimonio” tra famiglie di camorra. Si immerge nell’ambito accademico, aspetto forse meno noto di Napoli, ma importante e significativo a livello internazionale, dopotutto è a Napoli l’Università più antica d’Europa, la Federico II. E’ lì che Parthenope “si ferma” e mette radici. Il riprendere canonico del racconto monografico di questa non più giovane donna la ritrova docente in via di pensionamento, mentre dice addio alla sua cattedra di Antropologia…

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