lunedì 14 febbraio 2022

Piccolo corpo – Laura Samani

oggi sembra una storia di fantasia, quella che la chiesa cattolica (degli uomini) per secoli non ha permesso di battezzare i bambini e le bambine nati morti, e questa regola misericordiosa è durata fino a pochi anni fa.

il film è l'umile storia di Agata (che non si rassegna alla regola, come dice il prete) e della sua bambina, e del loro viaggio fra mille pericoli, appena un secolo fa, quando fare un viaggio come il loro era pericoloso come un viaggio in Afghanistan oggi.

Agata (una bravissima Celeste Cescutti) è disposta a rischiare la vita per il miracolo di dare un nome alla sua bambina, anche con l'aiuto di Lince (Ondina Quadri).

un piccolo grande film che sarà uno dei più belli e commoventi della stagione cinematografica. 

al cinema è solo in una ventina di copie, vogliatevi bene, non fatevelo sfuggire.

la fine vi lascerà senza fiato, come solo i film bellissimi sanno fare.

buona visione - Ismaele



 

 

LA PAROLA ALLA REGISTA

"Nel 2016 ho scoperto che a Trava, nel mio Friuli Venezia Giulia, esisteva un santuario dove fino al XIX secolo si diceva avvenissero particolari miracoli, che i bambini nati morti potessero essere riportati in vita per il tempo di un solo respiro. Un miracolo come questo era necessario per battezzare i bambini, che altrimenti sarebbero stati condannati a essere sepolti in un terreno non consacrato, come gatti morti. Senza il battesimo, non avrebbero mai avuto un nome o un'identità e le loro anime avrebbero vagato eternamente nel Limbo. Questi tipi di posti sono chiamati à répit, o santuari del respiro, ed erano presenti in tutte le Alpi (nella sola Francia se ne contavano quasi duecento). Sorprende come la loro storia sia del tutto sconosciuta nonostante le dimensioni del fenomeno.

I santuari sono rimasti da qualche parte nella mia mente e hanno finito per catturare la mia attenzione. Sono stata colpita da una cosa in particolare: erano soprattutto gli uomini a recarsi in viaggio nei santuari con i piccoli corpi dei loro neonati. Ovviamente, le donne che li avevano dati alla luce erano confinate nei loro letti soggette a una vana attesa.

La prima domanda che ho posto ai cosceneggiatori Elisa Dondi e Marco Borromei, che hanno deciso di condividere il mio viaggio cominciato con il cortometraggio La santa che dorme, è stata: cosa succede alla donna che è a letto? E se invece fosse lei a mettersi in viaggio? Così abbiamo cominciato a scrivere con due sole certezze: la donna in questione è Agata ed è alla sua prima gravidanza.

Quando la sua piccola nasce morta, Agata sprofonda nel dolore e non ce la fa ad andare semplicemente avanti, come sembrano fare tutti coloro che le stanno intorno. Per me, la parte migliore di una storia è data da quel momento in cui un personaggio decide di ribellarsi. La scelta di Agata è praticamente scandalosa perché denota orgoglio e protesta non solo contro la sua religione ma anche contro le leggi della natura. Arriva un momento preciso, di solito di notte, in cui le possibilità davanti a noi sembrano improvvisamente consistere in una sola scelta ed è allora che il destino si compie: Agata decide di ascoltare le voci che parlano dei miracoli. Seguendo il suo istinto e senza dirlo a nessuno, si mette in viaggio con la sua bambina in una piccola scatola. Da sola.

Ovviamente, la pratica di rianimare i bambini non era vista con benevolenza dalla Chiesa perché considerata un abuso dei sacramenti e simile alla stregoneria. Agata si impegna in un viaggio ai confini dell'ignoto, abbandonando le sue radici e rischiando di perdersi così come di morire. Il suo costante desiderio è quello di dare un nome a sua figlia al fine di lasciarla andare e separarsi da lei, divenendo a quel punto due individui distinti. La verità però è che il viaggio è un modo per prolungare lo stato di simbiosi con la figlia con cui ha vissuto per mesi, una sorta di continuazione della sua gravidanza: la bambina dalla pancia viene trasferita alla schiena, divenendo un peso che porta sulle sue spalle. Il suo viaggio è sì fisico ma diventa anche trascendentale. Agata non si rende conto che per continuare la sua missione deve trasformarsi lei stessa e diventare una morta in mezzo ai vivi.

Agata aveva bisogno di compagnia per il suo viaggio ed è così che è nato il personaggio di Lynx: selvaggio e astuto, chiuso e isolato perché amare significa essere compromessi, indeboliti. Lynx mostra ad Agata la strada, offrendole protezione, ma quello che riceverà da lei è qualcosa di necessario per la sopravvivenza: il profondo senso di attaccamento a qualcosa di amato, l'impegno, il sacrificio e il senso di appartenenza a qualcosa che non puoi controllare e che ti rende vulnerabile. Grazie ad Agata, Lynx si ricongiunge con quella parte di archetipo femminile che ha il coraggio di accettare il lato oscuro dell'amore: il dolore.

Ho ambientato il film nella mia terra natale ma non significa che questa storia sia esclusiva solo di quel luogo. Credo che le storie siano le stesse ovunque. Ho girato in maniera cronologica intraprendendo lo stesso tipo di viaggio che porta Agata da Caorle e dalla laguna di Bibione alla Carnia e alle montagne del Tarvisiano. Questo film è cresciuto con noi come noi siamo cresciuti con lui.

Durante la ricerca dei luoghi in cui girare, ho incontrato persone che sono diventate personaggi nel film, o forse è il contrario, dal momento che nessuno dei due può essere considerato senza l'altro. Quasi l'intero cast è composto da persone che non hanno recitato prima (in alcuni casi, intere famiglie). È anche questo il motivo per cui ho deciso di girare il film nel dialetto veneto e friulano: non solo rendendo più autentica la lingua parlata al tempo della storia ma anche dando alle persone la possibilità di esprimersi nel modo più naturale possibile. Il processo di imposizione della lingua italiana cominciò nella seconda metà dell'Ottocento e proseguì sotto il fascismo, rivelandosi un'operazione politica che, tesa al controllo del territorio, finì per causare un enorme impoverimento culturale. Fortunatamente, non riuscì a cancellare del tutto l'ampia varietà di idiomi. Penso che il dialetto sia un arricchimento prezioso e spesso commovente: basti pensare che la parola per bambino in friulano è frut, perché un figlio è il frutto dei suoi genitori.

Per varie ragioni (e spesso estranee alla storia stessa), tutte le persone coinvolte hanno trovato qualcosa di loro nella storia e nei suoi temi. Questa è la ragione per cui spesso hanno finito per parlare più della loro vita che del cinema e per imparare gli uni dagli altri: alle volte ero io a dirigere loro mentre altre volte accadeva il contrario ed erano loro a guidarmi. La trasversalità è la migliore forma di creazione.

nel film, Dio non si trova nei miracoli, nella preghiera o nel dogma che divide l'aldilà in paradiso, inferno o limbo. Dio esiste a un livello diverso: in Lynx, che crede in niente e che non è toccato dall'iniziale premessa del miracolo; in Agata, che imbriglia la rabbia per ridisegnare i confini di ciò che è possibile; e nel rapporto tra le loro due visioni solitarie che, per un attimo, sono meno dolorose. C'è una linea sottile che divide la vita dalla morte, la realtà dalla magia, le possibilità in cui abbiamo sperato e il tempo che ci resta.

Spero che questo film crei uno spazio condiviso più grande senza la presunzione di trovare risposte assolute per vivere insieme nel dubbio".

da qui

 

Agata (come Samani) si spinge sempre oltre: attraversa luoghi (e fasi esistenziali) di non ritorno, entra dentro la visceralità di un istinto primigenio, affronta in maniera diretta e vertiginosamente profonda il dolore per la perdita di un non nato, e rifiuta il commento più ottusamente crudele di tutti: "Farai altri figli". Perché per Agata esiste solo quella bambina, unica ed irripetibile, e la sua determinazione a strapparla dall'anonimato ha una potenza ancestrale inarrestabile.
Il viaggio di Agata, come ogni percorso femminile, è una staffetta per portare un poco più avanti il testimone secondo un movimento irreversibile, ed è capace di far ritrovare la propria femminilità anche a chi l'ha negata, a ricostruire il legame indissolubile fra una mamma e una figlia anche in chi, dalla propria madre, è stata rifiutata.

È un "viaggio dell'eroina" nel senso drammaturgico più puro, disseminato di prove, antagonisti, mentori e alleati, e Samani ne segue la linea archetipale rimanendo incollata ai corpi e alle cose, essenziale e autentica, tattica e olfattiva, silenziosa e dolente. Agata, giovane donna di mare, si inerpica su per la montagna entrando in un universo a lei ignoto, attraversa una galleria senza sapere se rivedrà mai la luce, si immerge in un lago del quale non vede il fondo: membrane naturali che sono anche tappe di conoscenza e gradini di consapevolezza che contagiano anche Lince. La morbidezza delle immagini nasconde una durezza di fondo che è la piena coscienza di un dolore inaccettabile, perché "il corpo e il cuore non dimenticano"…

da qui

 

…la conclusione di questo viaggio (che ovviamente non riveliamo) è totalmente all’altezza delle premesse e di ciò che è stato messo in campo. Coerente e potentissimo. Ovviamente parliamo di cinema d’autore, non ci cinema commerciale, cioè di un film che non vuole acchiappare lo spettatore con l’azione e lo spettacolo ma che anzi vuole coinvolgerlo in un viaggio interiore, che vuole approfondire cosa sia vivere in quel mondo per una donna di quel tempo. Invece di essere un limite è un tratto originale che conquista immediatamente. Non siamo in un film americano che trasforma qualsiasi scena in un dispositivo di tensione ma in un film italiano che vuole raccontare qualcosa e sa come farlo.

Se è vero che il cinema italiano fa molta fatica con il fantastico Piccolo corpo dimostra che è solo una mentalità ristretta quella che identifica la fantasia con i soliti luoghi, le solite figure e i soliti svolgimenti. L’immaginario fantasioso sta nella maniera in cui i personaggi vedono il mondo. E se seguiamo una contadina di montagna dal forte credo religioso, per la quale tutto è animato da forze invisibili, magiche e onnipotenti, allora anche lì si può respirare lo spirito del cinema fantastico.

da qui

 

In un mondo del cinema italiano sempre più anodino Laura Samani ha il coraggio di lavorare e ragionare sul corpo, vivo e pulsante o cadavere che esso sia. Esibisce le secrezioni e la perdita di fluidi di una donna che ha partorito con sofferenza da pochi giorni, e non ha neanche timore di mostrare il corpicino della sua figlia senza nome, con un effetto speciale che probabilmente creerà molti problemi a una parte degli spettatori ma è in profondità la dimostrazione della coerenza espressiva della giovane cineasta. Cos’è infatti oggi il visibile? In un mondo che sta perdendo sempre più contatto con il materico non è forse uno dei compiti del cinema quello di far sopravvivere – anche ricorrendo a un “miracolo” tecnico – la necessità dello sguardo, unica reazione possibile forse alla deriva dell’oggi? Piccolo corpo non ha paura delle notti buie, non ha timore di affrontare un cunicolo dal quale nessuno è uscito vivo, e si arrischia con gran coraggio a sfidare il naturalismo, e la supposta oggettività del reale. Nelle profondità acquatiche, un attimo prima dell’assideramento, Samani sa ancora trovare il calore dell’umano che sopravvive nel sogno a ogni lutto. E lì, quasi occhieggiando all’onirismo di Vigo, ritrova la vita, e dunque il cinema.

da qui

 

 

 

QUI un’intervista alla regista

 

 


4 commenti:

  1. grandissima recensione per un grandissimo film

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    1. grazie dell'apprezzamento:)

      se non l'hai visto vai a vedere Ennio, insieme al film di Laura Samani fra i migliori dell'anno, almeno in sala

      buoni film(s)

      ciao

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  2. Proietteremo il meraviglioso "Piccolo corpo"di Laura Samani venerdì 1 aprile al Piccolo cineclub Tirreno. La regista presenterà il film in collegamento video.

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    1. speriamo non resti l'unico suo film, dille che aspettiamo i prossimi, senza fretta, con i suoi tempi...

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