mercoledì 9 febbraio 2022

I gatti persiani – Bahman Ghobadi

come un documentario il film di Ghobadi racconta la sopravvivenza  dei giovani musicisti in una nazione che li odia e li perseguita.

Ashkan e Negar provano a mettere su un gruppo e a organizzare una tournée all'estero, ma non esiste nessuna possibilità legale di farlo, in quel paese che si chiama Iran.

il film segue le peripezie di chi vuol fare solo musica indie-rock, e siccome agli ayatollah non piace quella musica, e la liberta, allora c'è solo la galera, per dei ragazzi che non vogliono fare altro che cantare e suonare.

in Iran tutto il cinema è politico, visto che racconta di quello che non piace al governo (quasi tutto), tutto è sottoposto a un regime poliziesco di autorizzazioni, controlli e punizioni, e gli esiti possibili sono il silenzio, la prigione, l'esilio. 

il film merita molto, cercatelo e soffritene tutti.

buona visione - Ismaele


 

 

 

 

Ci sono film che hanno un valore di denuncia che va al di là della loro qualità artistica. Ci sono film poi che invece conservano un loro stile al di là del messaggio che intendono veicolare. Quello di Barman Ghobadi si colloca nella seconda categoria. Chi ha in mente il cinema iraniano fatto di lande desolate, scene ripetitive, tempi morti sul piano narrativo (fatti salvi i capolavori di pochi maestri come Abbas Kiarostami) qui ha l'occasione per respirare un'aria nuova. Con grande coraggio e rischiando personalmente Ghobadi ha girato un film senza autorizzazione, è riuscito a realizzare riprese in esterni talvolta corrompendo agenti con l'offerta di dvd 'proibiti' (compresi quelli dei suoi film precedenti) ed ha così potuto offrirci il ritratto di un Teheran nascosta in cui i giovani cercano di resistere come possono a un regime teocratico in cui il divieto di qualsiasi forma di espressione non allineata viene represso. Non è un caso che alla sceneggiatura abbia partecipato la compagna del regista, la giornalista di origine americana Roxana Saberi.
Costei, arrestata con il pretesto di un'accusa di spionaggio, è stata liberata esattamente due giorni prima della proiezione del film a Cannes. Il regime ha capito che, in caso contrario, la cassa di risonanza mediatica sarebbe stata troppo forte e che gli echi sarebbero stati colti da quella 'pericolosa opposizione' costituita dai giovani che vogliono esprimersi anche con la musica. Perché i gatti persiani possono essere costretti ad apparire come animali da salotto. Ma non bisogna dimenticare che possono (e un giorno lo faranno) sfoderare le unghie. Nel frattempo Ghobadi ha dovuto autoesiliarsi.

da qui

 

Iran 2009. Nella capitale Teheran, i gatti sono costretti a nascondersi nelle abitazioni e non possono palesarsi liberamente al mondo esterno per non incappare nell’ipocrita e ottusa morsa del proibizionismo nazionale. Un lungometraggio sui felini? Evidentemente no, ma come si può intuire i gatti persiani non sono altri che i giovani iraniani e questo film, con grande energia e notevole coraggio, lancia un urlo di protesta nel deserto della legittimità morale della più popolosa città dell’Iran.
L’autore della denuncia è il regista kurdo-iraniano Bahaman Ghobadi che, stanco di attendere invano i permessi di rito per realizzare un progetto sulla pena di morte intitolato “60 secondi su di noi”, acquista una camera digitale (tutte le attrezzature 35mm appartengono allo Stato e per affittarle bisogna avere un’autorizzazione a cinematografare, ndr) e comincia a provarla filmando clandestinamente un gruppo di musicisti indipendenti; questa la stravagante genesi dell’idea alla base de “I gatti persiani”, che sarà poi girato - giocoforza - a tempo di record in meno di venti giorni.
Motore dell’iniziativa e oggetto del racconto è la musica, nella sua accezione più modaiola: l’indie rock, come è denominato (non solo) nella pellicola; ovvero una macro-corrente di musicisti indipendenti, con all’interno i generi più disparati. Non è un caso che Ghobadi abbia cercato riscatto nella musica, in quanto è da poco diventato un cantante (appare in questa veste anche in una scena all’inizio del film, ndr) e proprio durante le registrazioni senza licenza del suo primo album ha incontrato in studio Ashkan e Negar, il ragazzo e la ragazza protagonisti della pellicola, due artisti autentici della scena underground locale, che hanno un solo desiderio: fare musica. Facile, si potrebbe pensare, ma non in territorio islamico, dove la musica viene giudicata impura – in quanto fonte di allegria – e per chi intende “peccare” a suon di basso e batteria non resta che infrattarsi o meditare una fuga all’estero…

da qui

 

LES CHATS PERSANS s’impose comme un film politique, une critique virulente du manque de liberté tant artistique que d’expression en Iran, tout en se voulant être un réel gage de l’amour des Iraniens pour leur pays et leur culture. Bahman Gobaldi recourt à la fiction pour mettre en scène la réalité. Véritable film musical LES CHATS PERSANS présente un panel diversifié de la production musicale « underground » iranienne.

Sur base d’une trame narrative aux accents dramatique le réalisateur convie le spectateur à rencontrer ceux qui composent cette scène musicale alternative, à découvrir leur créativité et leur débrouillardise mais aussi et surtout à en écouter le message.

La séquence d’ouverture lève le voile et s’impose comme nécessaire : par une intelligente mise en abyme, elle témoigne de la force que le cinéma peut encore avoir. Les erreurs esthétiques qui surgissent se gomment d’elles-même : l’exagération dramatique de l’écriture de l’axe purement fictionnel ou les appuis de mise en scène s’oublient face à la révélation d’illégalité même de la réalisation du film. Car LES CHATS PERSANS est un film censuré, un film qui ne peut exister aux yeux de l’autorité iranienne … Un film qui par son existence même livre un témoignage.

da qui

 


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