come un documentario il film di Ghobadi racconta la sopravvivenza dei giovani musicisti in una nazione che li odia e li perseguita.
Ashkan e Negar provano a mettere su un gruppo e a organizzare una tournée all'estero, ma non esiste nessuna possibilità legale di farlo, in quel paese che si chiama Iran.
il film segue le peripezie di chi vuol fare solo musica indie-rock, e siccome agli ayatollah non piace quella musica, e la liberta, allora c'è solo la galera, per dei ragazzi che non vogliono fare altro che cantare e suonare.
in Iran tutto il cinema è politico, visto che racconta di quello che non piace al governo (quasi tutto), tutto è sottoposto a un regime poliziesco di autorizzazioni, controlli e punizioni, e gli esiti possibili sono il silenzio, la prigione, l'esilio.
il film merita molto, cercatelo e soffritene tutti.
buona visione - Ismaele
…Ci sono film che hanno un valore di
denuncia che va al di là della loro qualità artistica. Ci sono film poi che
invece conservano un loro stile al di là del messaggio che intendono veicolare.
Quello di Barman Ghobadi si colloca nella seconda categoria. Chi ha in mente il
cinema iraniano fatto di lande desolate, scene ripetitive, tempi morti sul
piano narrativo (fatti salvi i capolavori di pochi maestri come Abbas Kiarostami) qui ha l'occasione per respirare un'aria nuova.
Con grande coraggio e rischiando personalmente Ghobadi ha girato un film senza
autorizzazione, è riuscito a realizzare riprese in esterni talvolta corrompendo
agenti con l'offerta di dvd 'proibiti' (compresi quelli dei suoi film precedenti)
ed ha così potuto offrirci il ritratto di un Teheran nascosta in cui i giovani
cercano di resistere come possono a un regime teocratico in cui il divieto di
qualsiasi forma di espressione non allineata viene represso. Non è un caso che
alla sceneggiatura abbia partecipato la compagna del regista, la giornalista di
origine americana Roxana Saberi.
Costei, arrestata con il pretesto di un'accusa di spionaggio,
è stata liberata esattamente due giorni prima della proiezione del film a
Cannes. Il regime ha capito che, in caso contrario, la cassa di risonanza
mediatica sarebbe stata troppo forte e che gli echi sarebbero stati colti da
quella 'pericolosa opposizione' costituita dai giovani che vogliono esprimersi
anche con la musica. Perché i gatti persiani possono essere costretti ad
apparire come animali da salotto. Ma non bisogna dimenticare che possono (e un
giorno lo faranno) sfoderare le unghie. Nel frattempo Ghobadi ha dovuto
autoesiliarsi.
Iran 2009. Nella capitale Teheran, i gatti sono
costretti a nascondersi nelle abitazioni e non possono palesarsi liberamente al
mondo esterno per non incappare nell’ipocrita e ottusa morsa del proibizionismo
nazionale. Un lungometraggio sui felini? Evidentemente no, ma come si può
intuire i gatti persiani non sono altri che i giovani iraniani e questo film,
con grande energia e notevole coraggio, lancia un urlo di protesta nel deserto
della legittimità morale della più popolosa città dell’Iran.
L’autore della denuncia è il regista
kurdo-iraniano Bahaman Ghobadi che, stanco di attendere invano i permessi di
rito per realizzare un progetto sulla pena di morte intitolato “60 secondi su
di noi”, acquista una camera digitale (tutte le attrezzature 35mm appartengono
allo Stato e per affittarle bisogna avere un’autorizzazione a cinematografare,
ndr) e comincia a provarla filmando clandestinamente un gruppo di musicisti
indipendenti; questa la stravagante genesi dell’idea alla base de “I gatti
persiani”, che sarà poi girato - giocoforza - a tempo di record in meno di
venti giorni.
Motore dell’iniziativa e oggetto del racconto è la
musica, nella sua accezione più modaiola: l’indie rock, come è denominato (non
solo) nella pellicola; ovvero una macro-corrente di musicisti indipendenti, con
all’interno i generi più disparati. Non è un caso che Ghobadi abbia cercato
riscatto nella musica, in quanto è da poco diventato un cantante (appare in
questa veste anche in una scena all’inizio del film, ndr) e proprio durante le registrazioni
senza licenza del suo primo album ha incontrato in studio Ashkan e Negar, il
ragazzo e la ragazza protagonisti della pellicola, due artisti autentici della
scena underground locale, che hanno un solo desiderio: fare musica. Facile, si
potrebbe pensare, ma non in territorio islamico, dove la musica viene giudicata
impura – in quanto fonte di allegria – e per chi intende “peccare” a suon di
basso e batteria non resta che infrattarsi o meditare una fuga all’estero…
LES CHATS PERSANS
s’impose comme un film politique, une critique virulente du manque de liberté
tant artistique que d’expression en Iran, tout en se voulant être un réel gage
de l’amour des Iraniens pour leur pays et leur culture. Bahman Gobaldi recourt
à la fiction pour mettre en scène la réalité. Véritable film musical LES CHATS
PERSANS présente un panel diversifié de la production musicale
« underground » iranienne.
Sur base d’une trame narrative aux accents dramatique le
réalisateur convie le spectateur à rencontrer ceux qui composent cette scène
musicale alternative, à découvrir leur créativité et leur débrouillardise mais
aussi et surtout à en écouter le message.
La séquence d’ouverture lève le voile et s’impose comme
nécessaire : par une intelligente mise en abyme, elle témoigne de la force que
le cinéma peut encore avoir. Les erreurs esthétiques qui surgissent se gomment
d’elles-même : l’exagération dramatique de l’écriture de l’axe purement
fictionnel ou les appuis de mise en scène s’oublient face à la révélation
d’illégalité même de la réalisation du film. Car LES CHATS PERSANS est un film
censuré, un film qui ne peut exister aux yeux de l’autorité iranienne … Un film
qui par son existence même livre un témoignage.
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