sabato 5 febbraio 2022

La fiera delle illusioni – Nightmare Alley - Guillermo del Toro

non mancano le citazioni, e ci stanno tutte bene.

il film di Guillermo del Toro è praticamente perfetto, anche troppo, ma forse manca un po' di anima.

il regista racconta un mondo, esattamente uguale al nostro, dove i soldi sono tutto, chissà che non sia il nostro, dove tutto è illusione e inganno e quello che appare, a volte, è un altra cosa.

Stan dal niente scala il successo, arriva alla cima, solo quello gli interessa, e poi, come nei giochi di società, torna al punto di partenza, fango e sangue, paglia e letame, e ripartirà, ma alcuni non se la cavano, e per loro il gioco finisce.

gli attori sono impeccabili e memorabili, Guillermo del Toro sa come si fa.

buona (illusionistica e ingannevole) visione - Ismaele


 

 

Intriso di una divorante passione cinefila, pieno di echi che vanno da Freaks di Tod Browning a Io ti salverò di Hitchcock (gli occhi nel tunnel dell’orrore ricordano quelli disegnati da Dalì per questo film), senza contare l’evidente omaggio allo Zampanò di Fellini nella figura di Bruno (Ron Perlman), con una seconda parte intrisa di sangue e di morte (del tutto impensabili nel film del ’47), La fiera delle illusioni è un atto d’amore per il cinema come illusione non manipolatoria, che dichiarando la propria natura finzionale può permettersi di smascherare le illusioni che invece pretendono di spacciarsi per realtà. Nel gioco di inganni fra imbonitori e imboniti, fra manipolatori e manipolati, fra chi crea le apparenze e chi ne è soggiogato, non è difficile intuire dove va a colpire la critica feroce di Del Toro: se La forma dell’acqua aveva celebrato la poesia del diverso, qui mette in scena invece l’orrore dell’identico, cioè l’inganno che si cela in chi intuisce quello che vuoi e fa carte false per darti sempre e solo ciò che già conosci e che ti illudi di volere. Forse, il circo e il mentalismo non sono che maschere antiche dietro cui si cela l’odierna dittatura degli algoritmi sui nostri sogni e sulle nostre illusioni.

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la realización de Del Toro explora la facilidad con la que la manipulación comunal se da vuelta y el embaucador es embaucado y debe autocondenarse para sobrevivir a decapitar muchas gallinas con los dientes porque ese es el único empleo que la antropofagia capitalista tiene para ofrecerle cuando los días de gloria desaparecieron, los magos y videntes están en retroceso y la morbosidad parece ser el único interés de un público condicionado por el mercado a comportarse como moscas y fetichizar la mierda…

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la sua nuova versione sembra reggere solo finché la fiera delle illusioni resta in piedi. Fino a che lo schermo dello spettacolo, sospeso nell’incertezza etimologica tra la meraviglia, la mostruosità e la sua necessaria esposizione, è ancora intatto. Nel momento in cui si va dall’altra parte, si squarcia il velo e si entra in città, nei meccanismi del mondo che stritola, là dove brulicano i veri demoni, quelli morali, quelli senza speranza né scrupolo, il residuo magico si perde. E diviene groviglio psicologico. Il noir si fa cupo, denso, e mostra il suo lato più moralista. Il destino stringe la sua trama e diviene implacabile. La colpa non ha più possibilità di redenzione. Il cerchio si chiude. Per quanto la storia mantenga i suoi elementi di interesse, per quanto le star mettano in gioco tutto il loro mestiere, del Toro sembra perdere la sua vena più fertile. Si muove in una specie di Gotham City e si accontenta della calligrafia, di un repertorio visivo e di un apparato scenografico di rimando. Diventa l’esecutore di una volontà scritta altrove, in un altro tempo e in un altro mondo. Guarda al passato, semplicemente. E quando il cinema guarda solo al passato, non ha molto speranza. La memoria perde la profezia. E se è vero che la profezia è sempre stata vicina all’inganno, alla menzogna, alla follia, è pur vero che i segni esistono, quelle connessioni impreviste che aprono spazi di libertà.

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Con un cast di stelle in ruoli consolidati e non autoironici (come invece succedeva in Don't Look Up), dal febbrile Bradley Cooper all'ingenua Rooney Mara, dalla glaciale Cate Blanchet alla seducente Toni Colette, più altri grandi interpreti in ruoli secondari (Willem Dafoe, Richard Jenkins, David Strathairn, Mary Steenburgen, Ron Perlman), La fiera delle illusioni sembra un film d'altri tempi: lungo due ore e mezza; ricco nella produzione ma non stratificato nello sviluppo; immerso in atmosfere propriamente cinematografiche (il noir, per l'appunto, ma anche il dramma psicologico, la parabola morale); metaforico eppure diretto.
Nella seconda parte, dal momento in cui Stan e Molly lasciano il circo per andare «a stendere il mondo», diversamente dal romanzo - che è fin da subito imbevuto del puzzo di morte che il protagonista si porta appresso e che alimenta a ogni misfatto - il film apre ai toni cupi e minacciosi inizialmente nascosti, facendo finalmente emergere il lato dark e meno disimpegnato di Del Toro.

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Nightmare Alley (El callejón de las Almas Perdidas) de Guillermo del Toro acaba siendo una experiencia que deja insatisfecho a pesar de su deslumbrante puesta en escena y del delicado uso del sonido y de la luz en varias escenas. Su principal error ha sido construir un guion que acaba siendo plomizo en algunos aspectos al cargar demasiado las escenas, y no construir los antecedentes con la misma delicadeza con la que se incorporan otros elementos de la dirección.

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Se si può rimproverare qualcosa a questo suo nuovo film è probabilmente una durata forse eccessiva (2 ore e 30 minuti), che rischia di appesantire determinati passaggi. Se ci si apre alle immagini e al loro senso più profondo, non si proverà però mai noia. Nell’approcciarsi a La fiera delle illusioni – Nightmare Alley occorre infine comprendere di essere di fronte ad un’opera del regista apparentemente differente dalle sue precedenti. Lo è infatti quel tanto che potrebbe scontentare chi si aspetta un nuovo racconto intriso di fantasy ed elementi dark. Eppure di questi ultimi ve ne sono a bizzeffe, solo affrontati sotto punti di vista nuovi, che provano il talento di del Toro come narratore visionario. Un termine questo di cui troppo spesso si abusa ma che nel caso del regista messicano si applica perfettamente.

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