domenica 13 febbraio 2022

Grave (Raw) – Julia Ducournau

dopo il corto Junior (premiato al festival di Cannes nel 2011, protagonista Garance MarillierJulia Ducournau gira il suo primo lungometraggio, Grave il titolo francese, Raw il titolo internazionale, protagonista sempre Garance Marillier, bravissima.

una ragazza va all'università, sceglie la facoltà di veterinaria, le farà da guida la sorella.

succede di tutto, e anche di più, e solo alla fine si scoprirà cosa c'è dietro, un'eredità che arriva dalla notte dei tempi (succedeva anche in Thelma, no?) e va tenuta a freno, altrimenti succedono cose inenarrabili (che a pensarci succedono continuamente tutti i giorni, mutatis mutandis).

un film che non si dimentica, promesso (per alcuni è una minaccia).

buona (vegetariana) visione - Ismaele

 

 

 

 

dopo un attento spulciare tra mucchi enormi di indecente spazzatura, ci ritroviamo di fronte a un horror pieno di dignità e di autoconsapevolezza, come da tempo non se ne vedeva uno.

Che poi sia stato girato da una regista donna non può più nemmeno sorprenderci del tutto dato che molti film horror ultimamente sono opere create per lo più da ragazze o ragazze un po’ cresciute. A questo proposito il rollingstone dedica anche un bell’articolo (puoi leggerlo qui) ricordando “The Babadook” di Jennifer Kent e “A Girl Walks Home Alone at Night” di  Ana Lily Amirpour e sostenendo che una nuova ondata di “film horror ideata e girata da donne … ha contribuito ad elevare il genere aprendolo a storie che disturbano il pubblico in modi nuovi e diversi”…

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Che succederebbe se Antoine Doinel fosse una ragazza e invece di amare le donne (o gli uomini) scoprisse di amare la carne, di desiderare le persone…nel senso di volerle mangiare? Beh in quel caso avremmo davanti un racconto di formazione horror che Truffaut certo non avrebbe mai potuto immaginare negli anni ’60, ma che Julia Ducournau, parigina classe 1983, ha realizzato e presentato alla cannense Semaine de la critique nel 2016, dove ha vinto il premio Fipresci. Intrisa di feminist film theory e di “mostruoso femminile” Ducournau esordisce con un film che sovverte alcune regole dell’horror riallacciandosi alla tradizione francese dell’adolescenza come spazio emotivo da attraversare e raccontare attraverso le immagini…

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Raw vuol dire “crudo”. Crudo era l’aggettivo con cui una volta si definivano, nel lessico borghese, equilibrato, né troppo né troppo poco, i film che noi del popolo siamo abituati a definire disturbanti. Raw è un film crudo. Che vuole evocare e difatti perfettamente evoca il colore, l’odore e il sapore della carne cruda. Non il carpaccio al limone, però. La carne nuda, cruda e al sangue dell’essere umano. Da un certo punto di vista, banalizzante ma chiaro, Raw è un film sul cannibalismo, cioè sul piacere che si prova a mangiare un altro uomo, piacere che si scopre pulsione incoercibile. Necessità. Come sono buoni i bianchi. Ma anche i meticci, perché la protagonista del film non è certo razzista o schizzinosa nello scegliere il pigmento delle polpe da mettere sotto le sue giovani mascelle. L’importante è divorare. La mangiatrice è Justine (Garance Marillier, molto brava, molto tagliente), ha sedici anni, proviene da una famiglia di vegetariani di quelli molto strict. E sulle orme della sorella maggiore Alexia (Ella Rumpf), si avvia a studiare in una scuola di veterinaria che sembra piuttosto un dolce mattatoio: il meno che tocchi alle matricole è di ricevere una doccia di sangue, con l’obbligo di restare poi inzaccherati di rosso, gli abiti, il corpo. Più che una semplice iniziazione, un vero e proprio battesimo per Justine, la quale ha l’aspetto attonito e incerto di chi ancora non ha ben capito quale sia la propria natura. La sorella, che invece la propria natura l’ha già scoperta e accettata, è lì per darle una mano…

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la realizzazione e il confezionamento del film nel suo insieme risultano di buon valore artigiano, regalando anche momenti di disagio ai limiti del claustrofobico e della nausea. Con un dosaggio diverso degli elementi, poteva venir fuori un prodotto di qualità superiore; così può rimanere comunque una visione che un amante di un certo cinema più truculento potrà apprezzare.

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La società tutta si basa su principi cannibalistici sottesi, i corpi non vengono mangiati ma si nega la loro esistenza, mentre l’unica modalità che Justine sta imparando per affermarsi e affermare la propria identità sessuale è quella dell’incorporazione attraverso l’orizzonte originario del cibo. Desiderio bruciante e minaccia, aggressività e dipendenza sono le pulsioni coesistenti che la spingono a cibarsi del corpo degli altri, una dimensione sintetizzata sopratutto nel rapporto con la sorella, mantenuto in piedi sul limite della lotta, dell’umiliazione e dell’amore divorante, appena un passo prima rispetto all’autodistruzione e assolutamente realistico nel raccontare rapporti di sangue istintivi e regolati dall’abiezione…
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La protagonista tiene un lado freak que se amolda perfectamente a su hambre caníbal. Garance Marillier es una actriz maravillosa. Ducournau la llena de momentos expresivos. Todo el filme puede leerse como un canto de femineidad. Siempre es interesante, y el terror se maneja en base al progresivo descubrimiento, a la lucha por calmarse y controlar la situación y al supurar forzado de la antropofagia. Alexia tampoco ayuda mucho, se presta de inmadura. Es como un demonio incitando a su hermana menor a aceptar su lado caníbal. Hay una pelea entre hermanas que es también un momento de soberbia ejecución.

La novatada presiona y abusa de la paciencia de la protagonista, que es atacada por varios frentes quedando muchas veces a merced de tanta presión. El generar intencionalmente desagrado, incomodidad, asco o escozor de la mano de Justine está muy presente en el filme.  Es una gran historia con ratos intensos, donde la juventud es temible cuando se divierte. Justine en ese ambiente es una chica con su personalidad y fuerza pero nueva en el campo de estudio y en estado de crecer y conocerse más enfrentará pruebas enormes. Todo amplificado por la antropofagia, que es una mayor simbolización de su etapa de desarrollo. Ya lo dice el filme al final con un tono algo sarcástico a la par que se muestran heridas de horror y malas experiencias. Vas a tener que idear una forma de superarlo. Es decir, es problema tuyo, crecer y ser uno mismo es un problema personal.

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La regia di Raw rifugge da qualsiasi trappola dell’immaginario e non si limita a seguire la grammatica abituale dell’orrore contemporaneo. Là dove è il dettaglio a poter prendere di sprovvista lo spettatore, magari giocando sul facile effetto del sangue, sul suo colore livido e violaceo, sul neanche troppo dissimulato orgasmo ottico del pubblico nel gioco tra horror e pornografia del mostrare, la regista preferisce lavorare su tempi maggiormente dilatati, su campi lunghi e in alcuni casi lunghissimi, su atmosfere che non anticipano mai il macabro. Il macabro, difatti, è messo in scena con una naturalezza quasi scientifica, e se non mancano le sequenze in grado di colpire al cuore lo spettatore sono spesso quelle non legate direttamente al fil rouge dell’horror, ma capaci di muoverglisi accanto e sopra. Il rapporto sessuale di Justine con Adrien, da questo punto di vista, è esemplare e riporta alla mente quello di Anne Parillaud e Anthony La Paglia in Innocent Blood di John Landis.
Nella messa in scena di Ducournau, nella sua nettezza di sguardo, nella crudezza del suo racconto che pure non manca della dolcezza della disperazione, c’è il senso intimo di Raw, la sua natura. Questi corpi poco più che adolescenti macellati e macellanti sono il contrappunto a una società che ha imparato a vivere solo nelle sue estremità, provando a contenerle per mantenere il passo borghese. Una bella radiografia della Francia, e non solo…

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Da molte parti Raw - Una cruda verità è stato considerato uno degli horror più belli degli ultimi anni e la lunga lista di riconoscimenti ricevuti nei festival di tutto il mondo sta a confermare questo giudizio. Di certo l’opera di Julia Ducournau funziona in ogni suo aspetto: la storia è ben scritta, la regia è superba, la tensione è sottile ma insinuante, i momenti crudi non mancano, senza cadere però nel gore, il senso di disagio che si prova nel sentirsi empiricamente legati coi cannibali è forte e, per taluni, forse disturbante e per finire, come in ogni horror che si rispetti, fondamentale c’è la prova degli attori; in tal senso Garance Marillier nel ruolo di Justine è superba nel suo assecondare la dolorosa trasformazione della protagonista e Ella Rumpf, la sorella Alexia, diventa ben presto il valido l’alter ego della protagonista in un rapporto complesso, conflittuale, a tratti con sfumature morbose, ma anche di grande complicità.

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