giovedì 3 febbraio 2022

Venere nera - Abdellatif Kechiche

raramente un film ti fa star male come Venere nera.

chissa quante Saartjie hanno popolato il mondo, nel film Abdellatif Kechiche lo (di)mostra, ci fa vedere solo una Saartjie, ma la visione è spesso insostenibile, non per colpa del regista (anzi è un suo merito), ma perchè quelle cose sono successe.

aspettate i titoli di coda, e vedrete.

un film imperdibile, da non perdere.

buona (insostenibile) visione - Ismaele

 

 

 

 

Applaudito e fischiato in egual misura alle proiezioni per la stampa, questo di Kechiche è un film facile da odiare perché (giustamente) non cerca di addolcire la pillola agli spettatori pur non facendo mai pornografia del dolore. La vicenda di Saartjie è infatti ripresa con eleganza ma non per questo in maniera soft, perché è proprio la storia a turbare, non le immagini. La storia di un donna che proclama la propria libertà pur essendo poco più di una schiava, che si dichiara un’attrice pur facendo solo parte di un freak show, che si sforza di conservare la propria dignità anche davanti agli scienziati dell’Accademia Reale di Medicina di Parigi. Una donna che, però, non riesce ad evitare il suo più completo svilimento prima davanti all’alta società parigina e poi per le strade della capitale francese.

L’esordiente Yahima Torrès offre anima e corpo a un personaggio complesso, un personaggio forte e scritto benissimo, che non stupirebbe se la portasse al Premio Mastroianni a Venezia 2010. Le fotografie che Kechiche fa di Londra e Parigi possono forse sembrare artefatte ma sono comunque funzionali ed efficaci, e la sua regia appare calda come sempre nonostante il tema sia decisamente meno piacevole da raccontare e da sentirsi raccontare rispetto alle sue opere precedenti. Forse Venere nera non è una pellicola capace di portare al cinema le masse, soprattutto in Italia, ma non è neanche un film che merita le accuse e i fischi che ha ricevuto al Lido. Anzi, è un film che merita di essere visto.

da qui

 

un dramma non solo straziante ma, per esplicità volontà del regista, profondamente disturbante. La terribile odissea della protagonista, il suo scivolare lento e inesorabile verso il vicolo cieco della degradazione totale e della morte, è riportato da Kechiche attraverso una struttura a spirale, ciclica ed ossessivamente ripetitiva, per logorare i nervi, gli occhi e il cuore dello spettatore di pari passo con il precipitare di Saartje.

Mai gratuito, persino quando l’essenzialità cede il passo a qualche momento didascalico di troppo (ma sono minuzie), Venere nera non risparmia niente e nessuno. Con pochi colpi di cinepresa, Kechiche disvela delle responsabilità e delle insensibilità che toccano tutti i livelli e tutte le istituzioni della società europea dell’epoca: il potere giudiziario (e politico), quello religioso, la scienza, il giornalismo, le classi sociali più basse così come quelle più alte, passando per tutto quello che c’è in mezzo. E per quanto la storia della Baartman sia un emblema dello spregevole razzismo di ieri e di oggi, il regista non dimentica di enfatizzare l’elemento sessista della vicenda, né la natura crudele dell’animo umano…

da qui

 

quella di Saartjie è una massa sempre più minata dalla malattia, stanca di vivere, costretta a ripetere l’oscenità dei soliti numeri porta dentro di se un cancro indotto che è anche quello di uno sguardo glacialmente pornografico capace di sovrapporre orrore e commozione cosi da renderli indistinguibili; è in fondo la stessa confusione tra ipocrisia e pietà che Kechiche filma con un attenzione sorprendente dentro gli interni libertini francesi fermandosi sui volti e sulle reazioni difformi degli astanti. L’antropologia Kechichiana non può non essere allora meno spietata dello stupro culturale che mette sul banco autoptico; una freddezza necessaria.

da qui

 

Le projet originel du réalisateur était de cueillir Sarah Baartman avant son départ d'Afrique. Faute de moyens, on la découvre à Londres, déjà alcoolique, en proie à une tristesse qui ne se dissipe que rarement. Ce que Kechiche demande à la jeune Cubaine Yahima Torres va bien au-delà du travail ordinaire d'une actrice. Etre à la fois la marionnette que voient les foules et la femme qu'elle s'efforce de demeurer. Il faut de l'abandon et de la force, de l'instinct et de l'intelligence. Yahima Torres trouve tout ça ; si elle n'y était pas parvenue, Vénus noire aurait sans doute été un film insupportable à regarder.

Les personnages qui l'entourent n'inspirent guère de sympathie, à la possible exception de Caezar. Le comédien sud-africain Andre Jacobs en fait un maquignon retors mais pas dépourvu de sensibilité. Son successeur, le Français Réaux (Olivier Gourmet) est un maquereau sans conscience qui livre la pauvre Vénus à la libido de l'aristocratie française.

Enfin, la dernière station de ce chemin mène Saartjie Baartman sous le regard des scientifiques. C'est là que le plus grand mal est fait, dans cette détermination "objective" de la hiérarchie entre humains. François Marthouret, intense, monomaniaque, compose un savant fou à force de raisonnements faussés. Et la résistance que lui oppose la jeune femme fait entendre, très faible, très ténue, la voie de la raison.

da qui

 

E' cinema in senso puro e stretto quello di Kechiche, un cinema che punta sulle immagini nude e crude, anche quando si tratta di mostrare senza filtri il martirio di una donna sottomessa che mai si ribella, una donna misteriosa e impenetrabile che accetta inspiegabilmente il suo destino senza opporsi, come se si rendesse conto di non avere un'alternativa.
Una rappresentazione troppo romanzata ne avrebbe ridotto il fascino e la veridicità e sarebbe stata irrispettosa nei confronti della memoria di una donna che non si è mai mostrata al pubblico senza barriere, perchè quella che si vedeva durante le rappresentazioni non era la vera Sartjie ma la sua caricatura, non era quello che lei voleva dare, ma ciò che il pubblico voleva vedere. Lei era un'artista che mai ha potuto esprimersi liberamente perchè non era quello che ci si aspettava da lei. Ed è questo a nostro avviso il punto focale di tutta l'opera, il vero contatto tra la storia di Sartjie e le paure di Kechiche, perchè la cosa più spaventosa che possa accadere ad un essere umano, e a maggior ragione ad un regista, è conformarsi al modo in cui qualcun altro ci guarda.
Una riflessione sullo sguardo altrui quella di Kechiche, che tocca corde delicate e non può lasciare indifferenti. Un film girato e interpretato magistralmente che lascerà un segno indelebile nella memoria collettiva.

da qui

 

Attraverso la metafora dello spettacolo, Kechiche ci parla così della violenza dello sguardo e delle pesanti catene che esso può imporre. In questa lotta, Saartjie è sola contro tutti: padroni, spettatori, scienziati, umanisti; eppure, il regista sa come orchestrare la tensione e l'emotività per non renderla una figura patetica o trasformare gli altri personaggi in maschere della crudeltà. E questo perché il suo cinema non cerca di cogliere lo spettacolo della realtà (che è il lavoro degli schiavisti, degli impresari, di chi giustifica l'accadere dei fenomeni in funzione della propria superiorità), quanto piuttosto di far uscire spontaneamente dalla forma dello spettacolo la libertà del reale.

da qui

 

…lo sguardo divino della donna è insostenibile per chiunque, come se fosse uno specchio in cui nessuno ha realmente il coraggio di guardarsi. Come un vetro di cristallo, la sacralità della Venere kechichiana è inafferrabile, perché l’uomo non ha il coraggio di coglierla; la grazia nella danza, l’armonia nel canto, ne fanno una creatura di un altro mondo; in questa lettura il suo sesso è visto come unica porta verso l’altro. Ma il solo metodo utilizzato dall’uomo per accedere al segreto che questa Rosebud esotica nasconde è la violenza. La violazione.
L’incedere verso questa violenza è inesorabile e non c’è alcuna possibilità di via d’uscita. Ed è forse in questo che bisogna sottolineare il senso ultimo del film; la necessità e l’urgenza che si presenta dietro a ogni immagine della Venere nera, sono anche la necessità e l’urgenza dell’opera di Kechiche e di tutto il cinema. Ossia la necessità e l’urgenza di tendere verso qualcosa e di perderlo nell’istante stesso in cui si è raggiunto.

da qui

  


Nessun commento:

Posta un commento