martedì 22 febbraio 2022

Sonbahar - Ozcan Alper

Yusuf esce dalla prigione turca, era prigioniero politico, dopo dieci anni, malato ai polmoni, torna al villaggio, molti non se lo ricordano più, la mamma sì, lo cura con attenzione e amore.

Yusuf è un uomo solo, ormai, non ha più rapporti con i compagni di prima, e sta a casa, nel paesetto di montagna dimenticato da dio e dal mondo.

prova a vivere di nuovo, segnato dalla malattia e dalla solitudine.

altro non si può dire, se non di cercare e trovare questo gioiellino.

buona (solitaria) visione - Ismaele 




Özcan Alper sceglie di raccontare la storia per sottrazione: eliminando qualsiasi elemento superfluo, riducendo i dialoghi all’essenziale evitando riferimenti troppo espliciti – mentre gli incidenti del passato vengono rievocati attraverso alcune scene in retrospettiva, con sequenze di repertorio che irrompono nella forma di incubi nell’inquieto sonno di Yusuf. Lascia che le accuratissime atmosfere (costruite con il prezioso contributo della fotografia curata da Feza Çaldiran) si impossessino della storia diventandone ulteriori protagoniste e fondendosi in essa senza mai prendere il sopravvento. E non lascia nulla al caso, in un film di cui ogni singolo elemento è frutto di lunghi studi e profonda conoscenza della materia.
Con grande eleganza non solo formale ma ancora di più nell’approccio ai personaggi e al tema, disillusione, lotta, sopraffazione diventano materia per un racconto sempre forte e profondamente poetico, con echi di Chekhov, rivolgendosi infine a una platea potenzialmente senza confini.
Sonbahar è il sorprendente debutto nel lungometraggio di quello che, già con la sua seconda opera, si confermerà come uno tra gli autori più interessanti della sua generazione, che comprende anche, tra gli altri, Hüseyin Karabey, Seren Yüce e Emin Alper e segue quella di Nuri Bilge Ceylan e Zeki Demirkubuz, delle cui lezioni sa fare tesoro elaborandole in modo personale.
Gioiello di sottigliezza e intelligenza, raro esempio di capacità di scavare nell’anima dei suoi personaggi seguendo percorsi inusitati e usando empatia, Sonbahar è uno di quei rari film di cui ogni singolo elemento si fonde nell’altro restituendo un’opera di tale bellezza da lasciare a bocca aperta…

da qui


La speranza di un futuro sedimenta nelle nozioni di matematica trasmesse al ragazzino, Onur, o attraverso l’innamoramento con la prostituta georgiana Eka, elusione della solitudine e tentativo disperato di aggrapparsi alla vita. Ma Yusuf è un personaggio uscito dalle pagine di una novella russa, come lo definirà la sua amante, abitante di un mondo distante dal presente, tanto da rinunciare alla fuga d’amore, da disattendere la (nuova) vita.
E il grumo poetico, custodito segretamente,  rappreso  tra le “grinze” della pellicola (fotogramma dopo fotogramma), emerge nel piano sequenza finale (tanto simile, nella sua dinamica, a quello che chiudeva Professione Reporter), in cui la macchina fluttua – s’impadronisce del film – passa dall’interno al di fuori: movimento lento, speculare a quello dell’anziana, accompagnata da una funerea zampogna, foriera di morte: oltre i vetri della finestra, un corteo funebre marcia tra la coltre di neve posatasi lungo il pendio, caduta silente e bianca a confondere i limiti, i perimetri dell’essere, a dissolvere la superficie, il contatto con la terra.

da qui



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