Yusuf esce dalla prigione turca, era prigioniero politico, dopo dieci anni, malato ai polmoni, torna al villaggio, molti non se lo ricordano più, la mamma sì, lo cura con attenzione e amore.
Yusuf è un uomo solo, ormai, non ha più rapporti con i compagni di prima, e sta a casa, nel paesetto di montagna dimenticato da dio e dal mondo.
prova a vivere di nuovo, segnato dalla malattia e dalla solitudine.
altro non si può dire, se non di cercare e trovare questo gioiellino.
buona (solitaria) visione - Ismaele
…Özcan Alper sceglie di raccontare la storia per
sottrazione: eliminando qualsiasi elemento superfluo, riducendo i dialoghi
all’essenziale evitando riferimenti troppo espliciti – mentre gli incidenti del
passato vengono rievocati attraverso alcune scene in retrospettiva, con
sequenze di repertorio che irrompono nella forma di incubi nell’inquieto sonno
di Yusuf. Lascia che le accuratissime atmosfere (costruite con il prezioso
contributo della fotografia curata da Feza Çaldiran) si impossessino della
storia diventandone ulteriori protagoniste e fondendosi in essa senza mai
prendere il sopravvento. E non lascia nulla al caso, in un film di cui ogni
singolo elemento è frutto di lunghi studi e profonda conoscenza della materia.
Con grande eleganza non solo formale ma ancora
di più nell’approccio ai personaggi e al tema, disillusione, lotta,
sopraffazione diventano materia per un racconto sempre forte e profondamente
poetico, con echi di Chekhov, rivolgendosi infine a una platea potenzialmente
senza confini.
Sonbahar è il sorprendente debutto nel lungometraggio di quello che, già
con la sua seconda opera, si confermerà come uno tra gli autori più
interessanti della sua generazione, che comprende anche, tra gli altri, Hüseyin
Karabey, Seren Yüce e Emin Alper e segue quella di Nuri Bilge Ceylan e Zeki
Demirkubuz, delle cui lezioni sa fare tesoro elaborandole in modo personale.
Gioiello di sottigliezza e intelligenza, raro
esempio di capacità di scavare nell’anima dei suoi personaggi seguendo percorsi
inusitati e usando empatia, Sonbahar è uno di quei rari film
di cui ogni singolo elemento si fonde nell’altro restituendo un’opera di tale
bellezza da lasciare a bocca aperta…
… La speranza di un
futuro sedimenta nelle nozioni di matematica trasmesse al ragazzino, Onur, o
attraverso l’innamoramento con la prostituta georgiana Eka, elusione della
solitudine e tentativo disperato di aggrapparsi alla vita. Ma Yusuf è un
personaggio uscito dalle pagine di una novella russa, come lo definirà la sua
amante, abitante di un mondo distante dal presente, tanto da rinunciare alla
fuga d’amore, da disattendere la (nuova) vita.
E il grumo poetico, custodito
segretamente, rappreso tra le “grinze” della pellicola (fotogramma
dopo fotogramma), emerge nel piano sequenza finale (tanto simile, nella sua
dinamica, a quello che chiudeva Professione Reporter), in cui la
macchina fluttua – s’impadronisce del film – passa dall’interno al di fuori: movimento
lento, speculare a quello dell’anziana, accompagnata da una funerea zampogna,
foriera di morte: oltre i vetri della finestra, un corteo funebre marcia tra la
coltre di neve posatasi lungo il pendio, caduta silente e bianca a confondere i
limiti, i perimetri dell’essere, a dissolvere la superficie, il contatto con la
terra.
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