un israeliano abbandona il suo paese, lo rinnega, rinnega i genitori, è fuggito a Parigi, dove incontra due persone che lo "adottano" e lo proteggono.
Yoav vaga per Parigi, cerca qualsiasi lavoro, dall'addetto alla sicurezza al porno modello, incontra altri israeliani, abbastanza estremisti, cerca una strada.
in fondo il film è tutto qui, nella ricerca di una strada, il resto ci sta intorno.
non per tutti i gusti, come sempre.
buona (contrastata) visione - Ismaele
…Pur passando per il matrimonio con
Caroline organizzato dallo stesso Emile per accelerare le pratiche di
naturalizzazione, pur passando da aiuti anche economici e tentativi di
sdebitarsi, pur passando da memorie condivise e da metafore omeriche per descrivere
il cadavere del fratello trascinato lungo le strade di Tel Aviv, Yoav si rende
conto che non potrà mai essere come i «fortunati veri francesi», ma rimarrà
sempre ai margini, escluso, vampirizzato da una società che non permette di
integrarsi, al punto di riprendersi indietro le sue storie e di lanciarsi in
una folle piazzata contro la musica classica, simbolo della cultura
occidentale, come definitivo impazzimento di chi è passato dai traumi alla
frustrazione attraversando l’illusione e poi il disincanto.
Ed è paradossalmente proprio qui, in quella che
dovrebbe essere una premessa e che invece è la conclusione – che non sia
semplice integrarsi in un’Europa sempre più smaccatamente razzista e arrogante,
onestamente, non ci pare né una gran novità né un pensiero particolarmente
approfondito, ma semplicemente una constatazione a cui già prima del film era
difficile non riuscire a giungere –, unita a un troppo brusco stop narrativo
quando tutto questo appare come una rivelazione (anche) di fronte agli occhi del
protagonista, che si annidano i principali limiti di Synonymes,
indubbiamente interessante nel suo riflettere sulla mancanza/impossibilità di
identità e sulla presuntuosa ipocrisia sociale giocando con le forme
cinematografiche, ma troppo facile al cliché e all’assunto superficiale per
essere realmente in grado di graffiare…
…Lapid sembra
avere appreso la lezione della Nouvelle Vague facendo scorrere nelle pieghe del
racconto molte atmosfere care a quella corrente, innestandole su un racconto
che molto di sovente sembra astrarsi dalla realtà fino a presentare momenti
surreali e soprattutto sembra volere inseguire con costanza e tenacia una certa
cifra stilistica che il più delle volte appare abbastanza di maniera oltre che
compiaciuta.
Ma al di là
di tutto ciò quello che appare il difetto più grosso del film è la sua scarsa
coerenza: mettere sullo stesso piano la società israeliana e quella francese è
onestamente esercizio piuttosto arduo oltre che non molto onesto, se non altro
perchè se le cose fossero realmente come il regista lascia intendere
(soprattutto in quelle scene nella scuola per immigrati) questo film e anche
alcuni dei precedenti di Nadav Lapid non ci sarebbero stati; la realtà ci dice
invece che il regista di Tel Aviv non solo ha ricevuto appoggi produttivi
potenti, ma è diventato il classico cineasta adottato da Cannes e quindi dalla
cinematografia francese.
Mettere
sullo stesso piano il nazionalismo e il militarismo israeliano con il
proverbiale sciovinismo francese che porta i transalpini a sentirsi sì la
patria delle democrazia in Europa grazie alla Rivoluzione Francese e ai suoi
valori, ma al contempo però a permettere al regista stesso di ottenere
successi artistici notevoli proprio in Francia e con tanto di appoggio produttivo,
è francamente esercizio scorretto che veicola inoltre un messaggio falso.
Inoltre
altri aspetti ( le ridondanti citazioni dell'Iliade imparata da bambino da
Yoav, alcuni flashback al limite dell'incomprensibile) appesantiscono in
diverse occasioni un percorso narrativo che fatica a mantenere una sua
linearità.
In
considerazione di questo aspetto che può apparire secondario ma che invece non
lo è, perchè la tematica è una di quelle costitutive lo scheletro
narrativo del film, Synonymes è lavoro che sebbene ben diretto , è lungi
dall'essere una opera pienamente riuscita.
Va segnalata
come uno degli aspetti positivi del film la prova dell'esordiente Tom
Mercier ( Yoav) . bravo nel conferire il giusto grado di irrequietezza e di
illusione al protagonista.
Signore e
signori, è rinata la Nouvelle Vague 2.0! Dopo finti miti e speranze disilluse finalmente una pellicola che pesca a
piene mani nella corrente cinematografica francese del periodo d’oro, e la
ripropone al tempo degli smartphone, delle videochiamate e dei tablet.
La pellicola
di Lapid è una boccata
d’ossigeno di rara potenza: regia intensa e piena d’inventiva, ogni scena ha
qualche elemento di originalità e particolarità, pensata e filmata con cura,
ritmo nervoso e montaggio frammentato. La scena della canzone francese suonata
col mitragliatore è già cult.
Tre
protagonisti presi direttamente dal mondo di Jules e Jim, con le loro affinità e le differenze del caso, dialoghi infiniti,
surreali e mai banali. La ricerca dei sinonimi di Yoav martellano tutta la
durata del film e sono ipnoticamente intriganti.
Nadav Lapid è un regista nato a Tel Aviv al cui all’attivo ha già una decina di
film, che speriamo di poter vedere anche qui in Italia. Ottimo Tom Mercier in un
ruolo non facile che riesce a trasmettere potenza e fragilità insieme.
Speriamo
vivamente che Synonyms possa
avere il successo che merita e che possa portare a una nuova rivoluzione
cinematografica che, dalla Nouvelle Vague, non si è mai più vista.
…El palíndromo de su puesta en escena se cumple
en el tramo final, en el que volvemos sobre los pasos del inicio. El mismo
recorrido solo que ahora la cámara en vez de temblar le sigue fijada a sus
espaldas de forma pausada. El corte, o ese cambio de toma, ya no mostrará
espacios abiertos o vacíos sino una puerta cerrada. Por mucho que golpees
deseoso de acceder el mundo nuevo no se abrirá. Será entonces cuando
definitivamente esa nación de acogida te expulse, devolviéndote al punto de
partida, y mandándote fuera robando cualquier atisbo identitario. Yoav lucha
con demonios del pasado y se enfrenta como el héroe de sus novelas griegas a un
demonio quizás más fuerte y poderoso. Mata al padre (metafóricamente), reniega
de su propia lengua de origen, vende su cuerpo y se prostituye. Se autoinflinge
un correctivo como si siguiera dentro de un régimen militar. Los ecos y sombras
de su país le acompañan pese a negarlos constantemente y al final se topa con
barreras aún más peligrosas y escurridizas.
…La propuesta es confusa y recuerda en algunos tramos a
algunos títulos del cine francés clásico, en concreto a películas de la
Nouvelle Vague, y es la típica película de extremos que cuenta muchas cosas con
pocas palabras, pero que es bastante irregular, con un gran arranque y un
primer tercio que es lo más interesante del proyecto, pero que va de más a
menos, y que me aburrió durante la segunda mitad, sin interesarme los pasos del
protagonista y de las personas con las que se relaciona en su estancia en
Francia. Tiene varias escenas potentes que funciona de manera aislada, pero que
en conjunto la película va navegando entre diferentes géneros, manteniendo el
tono enigmático, o al menos eso pretende, entre el drama social, el romántico y
el suspense por su aura de misterio sobre el pasado, el presente y el futuro de
los personajes. No me convence la dirección de Navid Lapid, que tiene una
filmación que pretende ser original, y aplaudo ese intento, pero lo que
consigue es sacarme de su visionado en esos enfoques a ningún sitio y ese
cambio de ritmo en el movimiento de la cámara.
Por contra sí me parece defendible el trabajo en la dirección de fotografía
de Shai Goldman, que juega muy bien con la luz natural y artificial y que nos
regala algunas bellas estampas de la ciudad a orillas del Sena.
El guion escrito por el director y su padre Haim Lapid tampoco me convence,
dejando cosas en el aire que deberían haber estado mejor explicadas.
Soy partidario de no contar todo de manera directa y de películas sin
finales cerrados, pero otra cosa es lo de este proyecto que no comprendí a
partir de la primera media hora.
A nivel interpretativo destaca el debutante Tom Mercier, en el papel de Yoav,
ese joven recién llegado a París, y que está creíble en un papel nada fácil,
estando bien en diferentes registros interpretativos. También me parece
destacado el trabajo de Louise Chevillotte, que interpreta a Caroline, y no
tanto el de Quentin Dolmaire como Emile.
Película recomendable a los que buscan un cine poco convencional, en donde no
te cuentan las cosas de manera directa, sino que tienes que ir construyendo tu
propia historia siguiendo al protagonista en su recorrido por la capital
francesa.
…El film también destaca la
importancia del idioma para la construcción de la identidad. Para integrarse en
Francia el protagonista decide abandonar el hebreo y adoptar completamente el
francés, que ejercita con un diccionario conjugando sinónimos y realizando
asociaciones. El lenguaje adoptado nunca cobra para el protagonista la
importancia del materno, que tiene una carga simbólica y emocional de la que
carece la lengua del país adoptivo de Yoav. El aprendizaje autodidacta del
francés funciona como uno de los mecanismos a los que acude el protagonista
para su proceso de asimilación a la cultura gala, curso siempre inconcluso que
deja heridas y marcas en el orgullo.
Sinónimos: Un Israelí en París es
una obra que remarca al cuerpo como objeto de los distintos dispositivos de
control y disciplinamiento sociales que aplican las instituciones. La película
de Nadav Lapid es así una interpelación directa y constante a las democracias
europeas sobre los problemas sociales de los inmigrantes, las políticas de
asimilación, las contradicciones que separan a los países en paz de los países
en guerra y la responsabilidad de los primeros para con los segundos en un
mundo inextricablemente globalizado.
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