domenica 4 aprile 2021

Personal Shopper - Olivier Assayas

Maureen è in una bolla da cui non riesce a uscire, ha perso il fratello gemello e avevano un patto, che chi moriva prima avrebbe "liberato" l'altro/a, dandogli un segnale.

intanto lei vive facendo un lavoro di merda, la personal shopper, per una star che non ha tempo per le cose pratiche, sarà un lavoro ben pagato, ma resta pur sempre una serva.

deve uscire dalla bolla/prigione, ma i tempi non li decide lei.

e poi accade che quel segnale arriva e si libera anche della schiavitù di quel lavoro, per vie tragiche, ma a lei non imputabili, e spezza le catene e ritrova la libertà.

i tragitti in motorino in città, piena di vestiti non suoi, sono bellissimi.

buona, straniata, visione - Ismaele


 

 

Non credo, sai, in cose reali, creature o quant’altro, sostanze che fluttuano attorno a noi. Credo però che tutti quanti noi viviamo con i nostri fantasmi. È qualcosa con cui tutti ci relazioniamo, perché “fantasma” designa il rapporto con le nostre memorie, il rapporto con il nostro subconscio.

Olivier Assayas

da qui

 

Personal Shopper affascina e disturba perché si spinge oltre il patto conosciuto tra autore e spettatore, oltre lo stesso confine dell’opera d’autore, in definitiva oltre il cinema e la vita.

La messa in abisso è qui letterale: c’è uno sguardo rivolto a uno sguardo che avanza a mosca cieco nel buio. Attirato e atterrito da quel nero che, potendo, inghiottirebbe tutto. È un tentativo folle, suicida quasi, di realizzare un film sul negativo.

A memoria non ricordiamo un gesto cinematografico altrettanto solitario e coraggioso. Non si tratta più di dire della morte del cinema – e per estensione, dato il rapporto gemellare, del reale – ma di familiarizzare già con il suo fantasma (ma è davvero fraterno lo spettro che cerca Maureen, e con lei Assayas?). Così, non si procede più per segmenti narrativi o per raccordi di stile, ma balenando a intermittenza, inseguendo lo sfarfallio tra dissolvenze in nero (e infine in bianco…).

Film senza controcampo né fuoricampo, monologante e respingente. Terrificato più che terrificante, come proteso su un invisibile precipizio dove forse è ancora possibile scorgere cinema e vita, ma non più nelle forme e nei modi che conosciamo.

da qui

 

Personal Shopper, film difficile, quasi inafferrabile, affascinante, ha tutte le caratteristiche (e lo script) che piacciono a me, eppure per tutta la sua durata mi è restato davanti ad un metro di distanza, senza che io riuscissi a farlo mio del tutto.

Un pò perchè umanamente è freddo (come il mondo che racconta del resto) un pò perchè, come dicevo, la sua preponderante parte psicologica arriva a noi in un modo insolito, "superficiale", nel senso che non turba quasi per nulla ma sembra raccontarci una vicenda quasi "normale" che nasconde significati nascosti…

da qui


più che film di fantasmi è film con fantasmi, in cui di puro Horror rimane davvero pochissimo a fronte di quello che è a tutti gli effetti prodotto drammatico autoriale, con protagonista una medium che, più che cercare il contatto con l'entità spiritica (cosa che pure fa, claro), trascorre gran parte di film su uno scooter per le strade parigine e londinesi per procurare costosi ed esclusivi abiti ad un personaggio secondario che non appare praticamente maiPersonal Shopper è il modo di Assayas, oltre che di dipingere un altro, bellissimo ritratto femminile, di trattare temi ultimi come morte, identità, lutto, aldilà. Il vivere con la spada di Damocle sulla testa. Lontano che più non si potrebbe da derive new age hollywoodiane, nell’epoca del Dio tecnologico, della comunicazione digitalizzata, dello smartphone con cui messaggiare anche con un presunto spirito, in un crescendo surreale di tensione ed insondabilità…

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Kristen Stewart, lasciata da sola sullo schermo praticamente per tutto il film, diventa il mezzo attraverso cui si definisce una storia tutta interiore piena di collegamenti con il mondo esterno. Assayas la spinge in giro per Parigi, la nasconde nel buio e in vestiti fuori misura, la spoglia rendendola fragile e seducente. Costruisce una mitologia del corpo come tramite delle sensazioni. E nella rappresentazione dell’immateriale, il regista e critico francese trova un linguaggio che si riempie di riferimenti alla storia del cinema, da Hitchcock a Roman Polanski (L’inquilino del terzo piano, ma anche la ricerca impossibile di Frantic) e si definisce in un’ultra-genere che riunisce l’horror, il thriller, la psicologia, lo stile europeo e quello statunitense. Tutto sintetizzato in Kristen Stewart.

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…La ricerca di un segno, l’attestazione di una presenza, si trasforma inevitabilmente nell’indagine - e nella scoperta - di sé. Siamo ormai divenuti entità ectoplasmatiche, residui di carne invasi da pixel, cervelli-4K in cui profilerano quantità spasmodiche di informazioni. Non importa quanti chilometri, quante città, quante stazioni, quanti luoghi attraversi Maureen: non è lei a essere un fantasma tra i vivi, è la stessa scena del mondo a calare. È lo stesso set-realtà a esser divenuto un gigantesco, famelico villaggio globale. La parola è il trillo di una notifica. Lo sconosciuto della chat è l’altro che non si può – che non si deve – incontrare. Un grande, seducente set, un grande, seducente doppio: tornano alla mente i gemelli di Cronenberg e il mito di Narciso riletto da McLuhan. Proprio allora Maureen riconosce nella protesi il suo doppio, nel fratello se stessa.
“Ci sei? O sono solo io?” chiede Kristen Stewart alla fine del film.
In fondo cos’altro è Personal Shopper se non un acutissimo, avvolgente racconto di formazione?

da qui

 

 


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