Maureen è in una bolla da cui non riesce a uscire, ha perso il fratello gemello e avevano un patto, che chi moriva prima avrebbe "liberato" l'altro/a, dandogli un segnale.
intanto lei vive facendo un lavoro di merda, la personal shopper, per una star che non ha tempo per le cose pratiche, sarà un lavoro ben pagato, ma resta pur sempre una serva.
deve uscire dalla bolla/prigione, ma i tempi non li decide lei.
e poi accade che quel segnale arriva e si libera anche della schiavitù di quel lavoro, per vie tragiche, ma a lei non imputabili, e spezza le catene e ritrova la libertà.
i tragitti in motorino in città, piena di vestiti non suoi, sono bellissimi.
buona, straniata, visione - Ismaele
Non credo, sai, in cose reali,
creature o quant’altro, sostanze che fluttuano attorno a noi. Credo però che
tutti quanti noi viviamo con i nostri fantasmi. È qualcosa con cui tutti ci
relazioniamo, perché “fantasma” designa il rapporto con le nostre memorie, il
rapporto con il nostro subconscio.
Olivier Assayas
…Personal
Shopper affascina e disturba perché si spinge oltre il patto
conosciuto tra autore e spettatore, oltre lo stesso confine dell’opera
d’autore, in definitiva oltre il cinema e la vita.
La messa in abisso
è qui letterale: c’è uno sguardo rivolto a uno sguardo che avanza a mosca cieco
nel buio. Attirato e atterrito da quel nero che, potendo, inghiottirebbe
tutto. È un tentativo folle, suicida quasi, di realizzare un film sul negativo.
A memoria non
ricordiamo un gesto cinematografico altrettanto solitario e coraggioso. Non si
tratta più di dire della morte del cinema – e per estensione, dato il rapporto
gemellare, del reale – ma di familiarizzare già con il suo fantasma (ma è
davvero fraterno lo spettro che cerca Maureen, e con lei Assayas?). Così, non
si procede più per segmenti narrativi o per raccordi di stile, ma balenando a
intermittenza, inseguendo lo sfarfallio tra dissolvenze in nero (e infine in
bianco…).
Film senza
controcampo né fuoricampo, monologante e respingente. Terrificato più che
terrificante, come proteso su un invisibile precipizio dove forse è ancora
possibile scorgere cinema e vita, ma non più nelle forme e
nei modi che conosciamo.
…Personal Shopper, film difficile,
quasi inafferrabile, affascinante, ha tutte le caratteristiche (e lo script)
che piacciono a me, eppure per tutta la sua durata mi è restato davanti ad un
metro di distanza, senza che io riuscissi a farlo mio del tutto.
Un pò perchè umanamente è freddo (come il mondo che racconta del resto) un
pò perchè, come dicevo, la sua preponderante parte psicologica arriva a noi in
un modo insolito, "superficiale", nel senso che non turba quasi per
nulla ma sembra raccontarci una vicenda quasi "normale" che nasconde
significati nascosti…
…più che film di fantasmi è film con
fantasmi, in cui di
puro Horror rimane davvero pochissimo a fronte di quello che è a tutti gli
effetti prodotto drammatico autoriale, con protagonista
una medium che, più che cercare il contatto con l'entità spiritica (cosa che
pure fa, claro), trascorre gran parte di film su uno
scooter per le strade parigine e londinesi per procurare costosi ed esclusivi
abiti ad un personaggio secondario che non appare praticamente mai. Personal Shopper è il modo di Assayas, oltre che
di dipingere un altro, bellissimo ritratto femminile, di trattare temi ultimi
come morte, identità, lutto, aldilà. Il vivere con la spada di Damocle sulla
testa. Lontano che più non si potrebbe da derive new age hollywoodiane,
nell’epoca del Dio tecnologico, della comunicazione digitalizzata, dello
smartphone con cui messaggiare anche con un presunto spirito, in un crescendo
surreale di tensione ed insondabilità…
…Kristen Stewart, lasciata da sola sullo schermo
praticamente per tutto il film, diventa il mezzo attraverso cui si definisce
una storia tutta interiore piena di collegamenti con il mondo esterno. Assayas
la spinge in giro per Parigi, la nasconde nel buio e in vestiti fuori misura,
la spoglia rendendola fragile e seducente. Costruisce una mitologia del corpo
come tramite delle sensazioni. E nella rappresentazione dell’immateriale, il
regista e critico francese trova un linguaggio che si riempie di riferimenti
alla storia del cinema, da Hitchcock a Roman Polanski (L’inquilino del terzo piano, ma anche la ricerca
impossibile di Frantic) e si definisce in
un’ultra-genere che riunisce l’horror, il thriller, la psicologia, lo stile
europeo e quello statunitense. Tutto sintetizzato in Kristen Stewart.
…La
ricerca di un segno, l’attestazione di una presenza, si trasforma
inevitabilmente nell’indagine - e nella scoperta - di sé. Siamo ormai divenuti
entità ectoplasmatiche, residui di carne invasi da pixel, cervelli-4K in cui
profilerano quantità spasmodiche di informazioni. Non importa quanti
chilometri, quante città, quante stazioni, quanti luoghi attraversi Maureen:
non è lei a essere un fantasma tra i vivi, è la stessa scena del mondo a
calare. È lo stesso set-realtà a esser divenuto un gigantesco, famelico villaggio
globale. La parola è il trillo di una notifica. Lo sconosciuto della chat
è l’altro che non si può – che non si deve – incontrare. Un grande, seducente
set, un grande, seducente doppio: tornano alla mente i gemelli di Cronenberg e
il mito di Narciso riletto da McLuhan. Proprio allora Maureen riconosce nella
protesi il suo doppio, nel fratello se stessa.
“Ci sei? O sono solo io?” chiede Kristen Stewart alla fine del
film.
In fondo cos’altro è Personal Shopper se non un acutissimo,
avvolgente racconto di formazione?
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