lunedì 5 aprile 2021

Io sono Tempesta – Daniele Luchetti

Marco Giallini ed Elio Germano sono bravissimi, come sempre.

la storia è divertente, ma troppo buona, tutti sono buoni, vogliamoci bene, è troppo, diventa una fiaba.

poteva essere di più (cattivo, amaro, sorprendente), ma così è stato.

buona, normale, visione - Ismaele



 

…Scritto insieme a Sandro Petraglia e Giulia Calenda, il film di Luchetti – che a quanto pare prende le mosse dalla vera notizia di qualche anno fa, con Silvio Berlusconi condannato ai servizi sociali – si sposta ben presto sul terreno della farsa e trova nella felice performance dei suoi due protagonisti, Marco Giallini ed Elio Germano, il primo punto a favore di una commedia che pur non raccontando nulla di nuovo si lascia vedere con gusto.

Non tanto, non solo, per la (facile) contrapposizione tra il ricco senza scrupoli e un padre senza più nulla, tra un uomo senza nulla a parte i suoi soldi e le sue ricchezze e un altro, indigente sì, ma ancora amato, quanto piuttosto per l’intelligente e oculata scelta di casting che mescola gente presa dalla strada (tra tutti, Franco Boccuccia, già visto nel recente Il più grande sogno di Michele Vannucci) ad attori professionisti.

Certo, i richiami a certe situazioni e/o dinamiche già percorse dal nostro cinema più glorioso non mancano (Brutti sporchi e cattivi torna alla mente più volte, e come non pensare anche a Un povero ricco con Renato Pozzetto?), ma non latitano nemmeno ottimi momenti di comicità pura, dati appunto dalla verve e credibilità dei comprimari “poveri”. Che, a dispetto di qualunque luogo comune politically correct, sapranno dimostrare di essere più “fiji de ‘na mignotta” del loro inaspettato “maestro di vita”…

https://www.cinematografo.it/recensioni/io-sono-tempesta/

 

L'interesse de "Io sono Tempesta" risiede su altro: per esempio, sul modo con il quale Luchetti riesce a trasfigurare personaggi e situazioni tratte dalle cronache dei nostri giorni per formulare una rappresentazione del paese che, almeno sul piano del pensiero e dei desideri, certifica la sostanziale parità di vedute tra alto e basso. Una verità che emerge durante il percorso riabilitativo di Numa, costretto a scontare la condanna per evasione fiscale lavorando presso il centro sociale frequentato da Bruno. Con il passare dei giorni il finanziere, grazie anche alle personali elargizioni di denaro, da corpo estraneo ne diventa parte integrante, riuscendo alla sua maniera a realizzare i sogni di ricchezza degli indigenti frequentatori. La quale cosa non sarebbe neanche cosi scandalosa se si pensa che, in qualche modo, la conversione finale di Numa, accompagnata dalla riconciliazione con sé stesso e con gli altri ha più di qualche punto di contatto (a cominciare dagli aspetti fiabeschi) con il miracolo raccontato da Dickens nel suo "Canto di Natale". In realtà, essendo la figura del protagonista almeno inizialmente ispirata a Berlusconi e all'affidamento ai servizi sociali di cui è stato soggetto per le note vicende giudiziarie, non è banale, da parte di Luchetti, optare per una visione delle cose tutto sommato indulgente, laddove il cinema italiano ha fatto carte false pur di figurare tra i grandi accusatori di Belzebù, enfatizzando la distanza tra quest'ultimo e le sue vittime…

da qui 


Non ci sono buoni e non ci sono cattivi qui,  è uno stato delle cose che danza su se stesso in un neorealismo dopato e faceto, simpatico, senza che però né il comico né - dall'altra parte - il malinconico riescano a sfondare, a farsi testa d’ariete, maschera espressiva totalizzante. Un  girotondo di brutti e sporchi senza ferocia ma neanche candore; il ritratto di un super ricco che forse è diventato così perché il padre gli ripeteva in loop - e continua ancora oggi a definirlo - “coglione!”, come è successo d'altronde ai peggiori tiranni, sprovvisti però del buon cuore  - ma già lo sapevamo -  di Numa. In una Roma ancora più Roma di quanto già tragicomicamente non sia (inizialmente si era pensato a Milano: forse per aggiornare Vittorio De Sica?), e in un Kazakistan come nuova terra promessa di paradisi immobiliari, la banda di straccioni capitanati da Numa si muove per le strade tra I soliti ignoti, con un “nuovo Capannelle” come jolly, e perfino Shining nell’albergo extralusso, territorio sconfinato per la sconfinata solitudine di Numa, tra l’idromassaggio in terrazza e i flipper in riga, i tavoli apparecchiati per gente che mai verrà e la piscina che delizierà i poveri…

da qui

 

E al posto del bieco Nanni Moretti in odore di craxismo, c’è il simpatico Marco Giallini, così fiabesco da non essere nemmeno berlusconiano. Quanto ai poveri (il solito assortimento multietnico), sono sì corruttibili, ma non sono certo quelli di Brutti, sporchi e cattivi: e alla fine, dopo tante batoste, gli sorride pure la vita. Ci mancherebbe: siamo al cinema. Diciamolo, però: ci vuole un bel coraggio a proporre, nel 2018, gag sui poveri alle prese con aragoste o piscine di lusso. Ma il colmo dell’ovvietà è nella rappresentazione delle escort: naïf, tenere, col cuore grande e pure studentesse di psicologia, anche se finiscono a fare le bariste (realismo?). Mai che si veda una escort cinica e avida in un film italiano. Luchetti dice di ispirarsi ai grandi film del passato, ma dovrebbe rivedere, che so, A cavallo della tigre (quello di Luigi Comencini).

da qui

 

Partendo da uno spunto molto interessante, che riesce a rielaborare l’attualità declinandola in una forma nuova, gli autori non sono riusciti a sviluppare in maniera adeguata tutto ciò che si muove intorno. Al contrario: gli spunti per le trame secondarie, lo scavo psicologico del protagonista, sono vanificati in passaggi privi di struttura, semplificati al massimo per arrivare alla conclusione. Perché Io sono Tempesta soffre, tra le altre cose, di un difetto raro per il cinema italiano: l’eccessiva brevità. Per una volta, uno sviluppo ulteriore rispetto ai 94 minuti complessivi del film avrebbe potuto giovare nella costruzione del finale, che invece così come è  offre risposte semplici a domande complesse.

È un peccato davvero, perché lo spettro costante del paragone con il cinema del passato fino a un certo punto viene tenuto sotto controllo. La scelta di Giallini come protagonista mattatore è azzeccata, così come è decisamente interessante vedere Elio Germano nel ruolo secondario di Bruno, il principale interlocutore all’interno della comunità dei bisognosi. Ma le dinamiche tra gli interpreti non bastano. Per un film come vorrebbe essere Io sono Tempesta mancano due ingredienti fondamentali: l’amarezza e il grottesco.

Senza uno sguardo cinico sull’Italia di oggi si finisce nel binario già eccessivamente trafficato del buonismo, del lieto fine a tutti i costi. Ed è quello il capolinea di Io sono Tempesta.

da qui

 


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