domenica 11 aprile 2021

Roubaix, une lumiere - Arnaud Desplechin

la città dove arriva la Paris-Roubaix è una città disgraziata, impoverita e difficile.

il commissario Daoud è uno che è cresciuto a Roubaix, di origini algerine, conosce la città come pochi e cerca di risolvere problemi.

un po' psicologo, un po' comprensivo, sembra ancora distinguere il male da chi lo genera, e riesce a tenere insieme i suoi uomini e donne del commissariato come un buon direttore d'orchestra.

ha un amore, i cavalli, ama vederli e vederli correre, sembra non avere difetti, almeno evidenti, dà il suo contributo alla vivibilità della sua città, dove il sole fatica a splendere.

gran bel film, non perdetevelo - Ismaele

 

 

 

 

Andate a vedere Roubaix, une lumière: è un film bellissimo. Parla di una città, delle sue strade, delle sue case e di quello che ci vive dentro, dei suoi abitanti, della sua povertà, della sua disgraziata quotidianità dove si finisce più spesso al commissariato di polizia che dal panettiere. Roubaix, a due passi dal confine con il Belgio, non è solo conosciuta per essere il terminale di una delle corse ciclistiche più importanti del mondo, ma anche per essere il luogo dove avvengono in percentuale crimini come in nessun altro posto della Francia. A Roubaix, città austera e violenta come si dice nel film, il regista Arnaud Desplechin, autore tra i più significativi del cinema d’oggi d’Oltralpe, ci è nato e ha speso l’infanzia. La conosce benissimo. Per parlare di Roubaix, praticamente non la mostra. Qualche vicolo, un paio di strade notturne, una macchina incendiata, le risse nelle case, un’esplosione nella notte, l’omicidio di una donna anziana: insomma, il suo pulsante cuore malato…

da qui

 

Roubaix diventa la protagonista assoluta. Ed è una Roubaix vera, contraddittoria, che mette in mostra il suo aspetto austero, ma ancor più le sue crisi. Un luogo sospeso tra la cintura e l’abbandono, tra la frontiera e le macerie postindustriali. Un incrocio di gente che si stringe intorno a un punto d’ebollizione, che cerca di far fronte alla rabbia, al vuoto, alla disperazione, ma che resta troppo prossima all’incendio. Non a caso la prima immagine forte è quella di un macchina in fiamme sul ciglio della strada, con il commissario Daoud che dà l’allarme in centrale prima di tornare a casa. Ed è sempre un incendio a dare il via alla traccia principale della narrazione, dopo una lunga carrellata di casi più o meno ordinari: un tentativo di frode, una rapina a mano armata, una ragazza che scompare, un’altra che subisce una violenza sessuale… e, infine, la morte di un’anziana strangolata nel suo letto. Tutti crimini “effettivamente accaduti”. Che di fatto accadono. E che, a volte, rimangono al di qua della soglia della punibilità, nel limbo della morale messa alla prova dai fatti della vita…

da qui

 

Il commissario è profondamente umano, quanto il contatto che cerca sempre di instaurare con i piccoli e grandi criminali, visti senza etichette e preconcetti, guardati sempre negli occhi, con la sua sofferenza che cresce con la gravità del crimine che intuisce aver rotto l’equilibrio della vita della persona che si trova di fronte. Bonario e taciturno, questo Maigret (in fondo il Belgio di Simenon è a un tiro di pietra) non si schioda mai dal suo ufficio o dai luoghi della città in cui nota con sofferenza i segnali del declino di Roubaix, ancora più doloroso per chi ha vissuto momenti di gloria economica…

da qui

 

Ispirato, confessa il regista e sceneggiatore francese, a Il ladro di Hitchcock e calato in atmosfere, colpe e tare che abbiamo ravvisato e apprezzato in George Simenon, l’adesione al crime non è materia di genere, ma espressione di uno stato d’animo: perché i delitti, e come le colpe?

Daoud è appassionato di cavalli, ma non vi scommette, lo fa il nuovo arrivato, l’arrovellato e gentile Louis Coterelle, ma un’altra scommessa, quella pascaliana, sembra della partita: eticamente determinato, minuziosamente scritto – a parte i monologhi in voce over della matricola Louis – e psicologicamente declinato, Roubaix, une lumière (Oh Mercy titolo internazionale) è troppo “signore”, elegante e sommesso per non correre il rischio della sottovalutazione.

Male sarebbe, perché è film intelligente, non eclatante, ma sottile – anche meta-cinematografico, sulla messa in scena… – e financo prezioso: come attesta l’ultimo fermo-immagine, dai blocchi, cavalli e umani che siano, si esce tutti insieme, già, e poi che succede?

da qui

 

Roubaix, oggi, è una terra di nessuno. Come gran parte del profondo nord della Francia, è una città socio-economicamente assai depressa, spettrale, fatiscente, in stato avanzato di detroitizzazione, incapace di offrire prospettive che non siano quelle brutali e umilianti della microcriminalità. Il lavoro, dunque, non manca mai per il commissario Daoud, rimasto solo dopo il ritorno di tutta la sua famiglia nella nativa Algeria, e per Louis, fresco di diploma e appena trasferito in un ambiente troppo difficile per la sua ancora scarsa esperienza professionale. Stando a fianco di Daoud, tuttavia, Louis tocca con mano quanto l’esperienza professionale sia meno importante del cosiddetto “fattore umano”, che il commissario padroneggia ai limiti dell’infallibilità. Concessioni altrettanto prevedibili alle coordinate di genere, sono poi il fatto che l’unica persona su cui la sua magia non faccia effetto è proprio un membro della sua famiglia (un nipote facinoroso ospite abituale delle patrie galere), e il chiudersi a imbuto nella seconda metà, tipico dei film giudiziari, su di un singolo caso che si proverà a risolvere attraverso una serie di interrogatori; nella fattispecie: un caso di furto con omicidio ai danni di un’anziana, da parte di una ragazza madre e della sua amante.
Qui, tuttavia, non c’è nessun processo. Desplechin non ambienta il suo dramma in un’aula di tribunale – spazio che avrebbe suggerito una presenza forte delle istituzioni che è invece impensabile in quel far west che è oggi Roubaix. No: Desplechin sceglie invece gli uffici della questura, e ne fa uno spazio sempre più intimo, portando il suo sguardo sempre più fisicamente a ridosso dei protagonisti, tanto le due accusate quanto i poliziotti che cercano di ricostruire la verità. Ricostruzione che sarà possibile solo andando a toccare le zone nevralgiche della psiche delle due sventurate, e soprattutto i vicoli ciechi, i presupposti inconfessati e le opache dinamiche di potere del loro rapporto…

da qui


Nessun commento:

Posta un commento