(Giona A.Nazzaro intervista Kevin Jerome Everson)
Kevin Jerome Everson è senza dubbio una delle voci più originali del cinema
statunitense contemporaneo. Nonostante dichiari di non saperne molto di cinema
(«Sono molto più interessato all’arte»), vanta una filmografia di quasi
duecento film di varia lunghezza e formati e numerosi riconoscimenti accademici
fra i quali una fellowship della Guggenheim. Scultore, fotografo, pittore oltre
che cineasta, l’anno scorso la Heinz Foundation gli ha conferito il suo
prestigioso riconoscimento per le scienze umanistiche.Docente presso
l’università della Virginia a Charlottesville, Everson e il suo lavoro sono
stati oggetto di numerose retrospettive, installazioni, esibizioni – al Centre
Pompidou di Parigi, al Museum of Contemporary Arts di Los Angeles, alla Tate
Modern di Londra al Carnegie Museum of Art di Pittsburgh.
EVERSON è appena rientrato a Charlottesville da Berlino, dove era ospite
dell’accademia Americana per una residenza artistica, e ha quasi completato
l’obbligatorio periodo di quarantena di due settimane: «Tutto quello che sta
succedendo e che a molti sembra nuovo non è nient’altro che la solita vecchia
storia», dichiara immediatamente. «L’America bianca è sempre stata irrispettosa
della tradizione orale afroamericana. Ogni volta che una persona afroamericana
dichiara qualcosa, l’America bianca non gli crede mai. Deve essere filmata per
essere creduta. L’America bianca non sopporta che qualcuno possa essere
testimone delle sue atrocità. Loro sono i primi a credere alle proprie menzogne
di essere sempre i buoni. Se tenti di contrastare questa visione attraverso una
narrazione orale, non ci credono. E quando finalmente lo vedono pensano sempre
che si tratti di un fatto isolato. Si rifiutano di accettare che sia sistemico
perché gli permette di conservare la loro presunta superiorità morale, di
restare aggrappati al potere. Se i bianchi commettono un crimine, si tratta
sempre di un ’individuo’. Se un afroamericano commette un crimine, allora è
tutta la comunità che lo commette. Un serial killer bianco è sempre un ’lupo
solitario’. O un pazzo. Perché i bianchi si ritengono essenzialmente ’buoni’.
Per cui se un bianco commette una strage, si tratta di un folle o di malato
perché si allontana dalla norma della supremazia bianca. Il sottotesto è: ’noi
sempre migliori di chiunque altro e quello è solo il crimine di un singolo
individuo’. Il sistema non è mai messo in discussione. Per cui l’Isis, Al Qaeda
e tutte queste organizzazioni sono riconducibili a interi gruppi etnici che
vengono criminalizzati. Persino Dylann Storm Roof che ha compiuto la strage
della Emanuel African Methodist Episcopal Church viene estrapolato dal suo
contesto. Il suo giubbotto, però, recava la scritta Rhodesia. Quindi qualcuno
lo ha indottrinato. Quello non è solo un ’lupo solitario’».
«PER I BIANCHI il problema non mai dei bianchi in generale. È questo è il problema
della supremazia bianca: ’Siamo superiori quindi non possiamo essere malvagi’.
Il sistema non è mai ritenuto responsabile perché loro ritengono che il sistema
sia infallibile. Sono una persona molto pessimista ma è interessante osservare
che molte di queste proteste non si sono verificate in quartieri neri. C’erano
tantissimi bianchi per strada Hanno dato alle fiamme macchine della polizia che
non stavano nei loro quartieri. Hanno messo a ferro e fuoco Santa Monica! E
Santa Monica è più bianca che non si può! Non ci vive nessuno di noi (ride,
ndr). Sono arrivati a Rodeo Drive (distretto dello shopping di lusso
losangelino, ndr)! Chi l’avrebbe mai detto? Quello sì che è un posto fuori mano
(ride, ndr.). Ci credo che hanno chiamato la Guardia Nazionale e volevano
l’esercito per strada! Sono entrati nei quartieri dei bianchi ricchi. Per
questo motivo stanno andando fuori di testa: mica bruciava South Central! Il
fatto che la protesta sia multiculturale la rende molto più minacciosa rispetto
a quelle del passato. Se si fosse trattato di soli afroamericani avrebbero
usato senz’altro pallottole vere per fermare le rivolte e tutto sarebbe stato
molto più violento e la repressione molto più sanguinosa».
Come considerare il fatto che molti bianchi si sono uniti alla protesta? «I
giovani oggi crescono in un ambiente multiculturale. Probabilmente non sono
così segregati come le generazioni che li hanno preceduti. E sono più
istruiti».
PARLANDO con Spike Lee, lui suggeriva che invece di limitarci a puntare il
dito sul razzismo degli Stati Uniti dovremmo pensare a come fermare la pandemia
del razzismo in casa nostra. «Spike ha ragione. In queste narrazioni si tratta
sempre degli ’altri’, mai di . ’noi’. Quando sono stato in Italia nel 2002
c’era questo ritornello ossessivo contro gli albanesi. Ogni cosa che accadeva
era colpa degli albanesi! Senza contare poi questa frattura regionalistica dove
ognuno pensa di essere più ’italiano’ degli altri. Poi basta guardare a come è
stata gestita la crisi dei rifugiati in Italia. Una cosa terribile. D’altronde
questa è la stessa cosa che accade negli Stati Uniti. I bianchi guardano sempre
da un’altra parte. ’Mio Dio, stanno opprimendo la gente in Tibet! Oddio
un’altra strage nel Darfur!’ A me verrebbe da dire: ’Hey! Siete mai stati a St.
Louis?’. Troppo facile: così non sei mai tu il responsabile. Quando i bianchi
fanno i film sulla schiavitù e lo schiavismo la buttano sempre sul razzismo e
mai sull’economia. In questo modo il padrone della piantagione ha sempre la
parlata sudista strascicata dall’accento pesantissimo. Ed è sempre
rappresentato come un bifolco. In questo modo uno come Tarantino può dire: ’Non
sono io, sono loro!’».
«DANNO sempre la colpa a qualcun altro, ma in fondo si tratta ogni volta del
medesimo privilegio bianco che ti permette di fare queste distinzioni. Oggi ho
come l’impressione che in Italia, per esempio, il discorso sia estremamente
frammentato, come se non ci fosse più spazio per l’idea di inclusività. Eppure
nel 40 a.c. nel senato romano c’erano senatori africani perché dovevano
trattare anche con altri popoli e tutti stavano sempre su delle navi in perenne
movimento a commerciare e a viaggiare».
GEORGE FLOYD è stato ucciso pochi giorni dopo Ahmaud Arbery. Gli afroamericani
sono più che mai esposti a una violenza impunita e continuata. «È sempre stato
così. Ricordo che quando andavo alle medie, negli anni 70, tiravano giù dai bus
scolastici ragazzi di appena 14 anni in manette. Avevo 12 anni quando osservai
il vicepreside della mia scuola ordinare a tre ragazzi bianchi di mettere in
riga tre miei coetanei. Quando trasmettevano Radici la mattina dopo a scuola ti
insultavano dandoti del negro e dovevi fare a botte ogni giorno. Si viveva in
un clima di violenza costante. Era normale».
Alcune persone in Europa sostengono ora che finalmente gli Stati Uniti hanno gettato la maschera. «Non c’è mai stata nessuna maschera! (ride di gusto, ndr). Quando i miei colleghi – che amo e ammiro – mi invitano a partecipare a seminari sul razzismo, l’integrazione, ecc. io rifiuto sempre. Mi limito a dire: ’Fatelo voi questo lavoro. Non ho nessuna intenzione di partecipare a tavole rotonde sull’inclusione e la diversità. L’America con tutte le sue risorse potrebbe cambiare lo stato delle cose se solo lo volesse e non lo fa perché a loro le cose vanno bene come stanno. Questo complesso di superiorità offre loro infiniti benefici e a loro fa piacere essere dove sono. Non hanno nessuna voglia di cambiare posto. Chris Rock una volta ha detto: ’Nessun bianco vorrebbe stare al mio posto. E io sono uno ricco!’. Le persone che si occupano di immobili dicono sempre: ’Quando nel tuo quartiere ti avvicini alla soglia dell’11% di residenti non bianchi quello è il momento in cui spuntano i cartelli Vendesi’. Temo che i bianchi siano perfettamente capaci di rivotarsi Trump per altri quattro anni anche se lui sta facendo un ottimo lavoro per non farsi rieleggere. Dopo la sua elezione, alcuni colleghi mi chiedevano: ’Ma che fine ha fatto il vostro voto?’. E io rispondevo: ’Che fine fatto ha fatto il vostro voto!’ Tocca ai bianchi fare la parte del sollevamento pesi. Noi siamo solo il 13-14%. E il nostro lavoro lo facciamo tutti i giorni. Facessero pulizia in casa loro e iniziassero a lavorare sul serio. I bianchi costruiranno sempre nuovi muri. Queste cose sono state ripetute all’infinito. La cultura, la musica, l’intrattenimento ha detto tutto quel che c’era da dire eppure i bianchi non vogliono ascoltare (ride ancora, ndr). Pensa a Redd Foxx, Richard Pryor, James Baldwin, Toni Morrison, Maya Angelou: che altro puoi fare? Aveva ragione Dick Gregory quando diceva: ’Siamo nei guai: i bianchi non sono molto svegli’. Gli ripeti le stesse cose mille volte e continuano a non crederti. Se devo essere sincero sino in fondo, stai facendo queste domande alla persona sbagliata. Queste domande dovresti farle a tutti i registi bianchi e vedere cosa ti rispondono».
Alcune persone in Europa sostengono ora che finalmente gli Stati Uniti hanno gettato la maschera. «Non c’è mai stata nessuna maschera! (ride di gusto, ndr). Quando i miei colleghi – che amo e ammiro – mi invitano a partecipare a seminari sul razzismo, l’integrazione, ecc. io rifiuto sempre. Mi limito a dire: ’Fatelo voi questo lavoro. Non ho nessuna intenzione di partecipare a tavole rotonde sull’inclusione e la diversità. L’America con tutte le sue risorse potrebbe cambiare lo stato delle cose se solo lo volesse e non lo fa perché a loro le cose vanno bene come stanno. Questo complesso di superiorità offre loro infiniti benefici e a loro fa piacere essere dove sono. Non hanno nessuna voglia di cambiare posto. Chris Rock una volta ha detto: ’Nessun bianco vorrebbe stare al mio posto. E io sono uno ricco!’. Le persone che si occupano di immobili dicono sempre: ’Quando nel tuo quartiere ti avvicini alla soglia dell’11% di residenti non bianchi quello è il momento in cui spuntano i cartelli Vendesi’. Temo che i bianchi siano perfettamente capaci di rivotarsi Trump per altri quattro anni anche se lui sta facendo un ottimo lavoro per non farsi rieleggere. Dopo la sua elezione, alcuni colleghi mi chiedevano: ’Ma che fine ha fatto il vostro voto?’. E io rispondevo: ’Che fine fatto ha fatto il vostro voto!’ Tocca ai bianchi fare la parte del sollevamento pesi. Noi siamo solo il 13-14%. E il nostro lavoro lo facciamo tutti i giorni. Facessero pulizia in casa loro e iniziassero a lavorare sul serio. I bianchi costruiranno sempre nuovi muri. Queste cose sono state ripetute all’infinito. La cultura, la musica, l’intrattenimento ha detto tutto quel che c’era da dire eppure i bianchi non vogliono ascoltare (ride ancora, ndr). Pensa a Redd Foxx, Richard Pryor, James Baldwin, Toni Morrison, Maya Angelou: che altro puoi fare? Aveva ragione Dick Gregory quando diceva: ’Siamo nei guai: i bianchi non sono molto svegli’. Gli ripeti le stesse cose mille volte e continuano a non crederti. Se devo essere sincero sino in fondo, stai facendo queste domande alla persona sbagliata. Queste domande dovresti farle a tutti i registi bianchi e vedere cosa ti rispondono».
Killer Mike dei Run the Jewels è stato al centro di forti polemiche per
delle affermazioni a favore dell’uso delle armi da fuoco. Qual è la tua
posizione? «Davanti alla mia finestra del mio ufficio quando c’è stata la
marcia per Unite the Right ho avuto nazisti armati fino ai denti per giorni
interi. Una donna aveva un AR-15 a tracolla. Un’altra aveva un lanciagranate».
«PERSONALMENTE ho un porto d’armi. In quei giorni avevo sempre la mia pistola con
me. Se invece di bianchi nazisti armati fino ai denti fossero stati egiziani,
cinesi, albanesi li avrebbero ammazzati uno per uno senza troppe storie.
Essendo bianchi ottengono un trattamento speciale. Ma i nazisti li conosciamo.
Sai chi sono e cosa vogliono fare. Il problema è la signora o l’impiegato
bianco che magari hanno votato due volte per Obama ma che se incontrano un
afroamericano nel loro quartiere chiamano immediatamente la polizia. Per questo
motivo ho voluto fare questa serie di film sui Bird Watcher (ornitologi
amatoriali). Quale attività più pacifica e tranquilla? Eppure se la gente si
ritrova di fronte un Bird Watcher afroamericano si spaventa e chiama la
polizia. Se ci pensi è la paura dell’interruzione della loro normalità, il
sottotesto base di tutti i film horror. Il mostro della laguna nera interrompe
i piani di relax dei bianchi, così come lo squalo interrompe le vacanze della
classe media. Ci trattano come alieni. Non a caso faccio vedere a miei studenti
E.T. di Spielberg. La cosa straordinaria di quel film non è l’alieno ma
l’assenza di tutti gli altri. In quella parte della California è impossibile
non incontrare cittadini messicani eppure nel film non ce ne è nemmeno uno.
Senza contare gli afroamericani anche se la maggior parte degli avvistamenti di
Ufo avviene nei quartieri neri (ride, ndr). È questa esclusione, quest’assenza
data per scontata che è problematica».
COSA pensi del cinema di John Ford e in particolare dei suoi film con
Stepin Fetchit? «Stepin Fetchit era un grande attore. I ruoli che gli offrivano
erano il problema. Sono convinto che Ford fosse una persona di grande talento
ma non riesco più a vedere Sentieri selvaggi. Da noi passa in tv in
continuazione. Ritengo che Howard Hawks un artista più moderno, dalla tavolozza
più ricca. Mi piace il suo senso dell’essenzialità. Billy Wilder è un altro
cineasta che mi interessa. Un film come L’appartamento mi
sembra davvero modernissimo. Non ho alcuna idea di cosa sia il ’cinema afroamericano’,
siamo appena agli inizi, ma ogni volta che mi invitano a discutere Nascita di
una nazione mi arrabbio. Dico sempre: ’Se vengo, vi prendo a pedate bifolchi!’
(ride a lungo, ndr). Si continua a sostenere che sia un lavoro geniale perché
ha introdotto delle innovazioni formali ma quelle idee erano già nell’aria.
All’epoca c’era anche Oscar Micheaux che faceva i suoi film ma lui è quasi
dimenticato. Anche in questo caso si tratta di esclusione e di assenza».
da qui
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