sabato 20 giugno 2020

Il declino dell'impero americano - Denys Arcand

il titolo nasce da una citazione di un libro che è perfetta per il film.
siamo in un fine settimana, in una casa in riva a un lago, vicino a Montreal.
otto amici e amiche, quasi tutti insegnanti universitari, parlano e parlano e parlano e a volte soffrono, perché la verità fa male.
si parla di sesso, sopratutto, il motore del loro annoiato mondo borghese, e non esiste altro, al di fuori di loro stessi.
un mondo chiuso, in estinzione.
intanto si divertono, forse, ma non troppo.
uno sguardo cinico e crudele a un piccolo mondo (antico?) cinico e crudele.
merita la visione, questo è certo - Ismaele




it is not the physical activity of sex that the characters in this movie are really talking about. They're discussing the meaning of sex, the object of sex, the embarrassment and guilt, the ambition and silliness of sex. To them, as to so many civilized people, good sex boils down to winning the admiration of someone you admire. They'd rather have a mediocre time in bed with the right person than a great time with the wrong one…

La storia ruota intorno a quattro coppie medio-borghesi che trascorrono il week-end nella casa sul lago di uno di essi. Sia per le donne che per gli uomini, il tema ossessivo è il sesso. Riuniti a cena, gli otto si ritrovano a chiacchierare senza troppo interesse, quando Mario si alza, seguito poi da Louise, e se ne va "perché non si fanno orge", dice. La notte, amare riflessioni assalgono tutti, ma "l'esasperata caccia alla felicità personale, non sarà l'inizio del declino dell'impero americano?". Dopo vari intrecci amorosi notturni, le quattro coppie ripartono il mattino dopo, riprendendo forse anche la via dell'ipocrisia.

Il messaggio è chiaro: il teatrino prima o poi è destinato a cadere. E le conseguenze saranno imprevedibili. Arcand non sembra tuttavia turbarsi molto di questa prospettiva per due motivi principali: il primo è che lui, come i protagonisti del film, vivono “alla periferia dell’impero”, onde per cui sentiranno molto meno le scosse del prossimo disastro; il secondo è che tale decadenza è inevitabile e opporsi ad essa è inutile: ogni civiltà è destinata ad un ciclo vitale che prevede ascesa, primato e declino, così come ogni individuo nasce, vive e muore.
Nell’attesa quindi non rimane che seguire il vecchio motto napoletano “chiagne’ e’ fotte’”, all’inseguimento di un edonismo sfrenato che nonostante la sua incapacità di dare la felicità all’umanità (la consapevolezza amara che ogni amore dura non più di uno-due anni) rimane l’unica strada scelta da quello che dovrebbe essere lo strato sociale più colto e illuminato della società, ma che metafore colte a parte, si mostra esistenzialmente sulla stessa barca del villico più ignorante e imbarazzante.
Nonostante tutti questi paroloni è bene ribadire la struttura davvero devastante del film: una commedia travolgente godibile da tutti, con momenti di profonda ilarità dovuti ad un umorismo sincero e popolare, perfettamente aderente all’uomo di strada come al professorone più ingessato che arrivato a casa non vede l’ora di togliersi la maschera e sparare due cazzate con gli amici.

l'opera riesce in un'operazione davvero straordinaria rispetto a quegli anni. Non vediamo un film che ci parla di cultura, di omosessualità, di edonismo sessuale cercato e trafugato in modo ostinato; secondo me bisognerebbe tener conto che in quegli anni, nella grigia metà degli anni ottanta, un accostamento del genere, cultura alta e edonismo becero, non era un fatto così scontato e diffuso come oggi, ma era d'uso in alcuni ambienti intellettuali, per segnalare l'acume del disincanto, stringendo l'occhiolino a una certa destra liberista, capace di reclutare nel suo seno docenti universitari radicali ancora sinistreggianti al fine di inculcare dolcemente, nelle nuove file degli allievi, il nuovo verbo, che avrebbe inondato l'occidente libero dalla tensione dei due blocchi e inaugurato il suo inizio globale con la guerra nel golfo. 
Costoro dunque sono alcuni dei cinquantenni intellettuali post sessantottini, disillusi, in grado di essere un ponte sociologico ben congeniale per traghettare i giovani dalla sinistra alla destra, con le conseguenze quanto mai attuali. Qui non c'è una critica alla cultura, agli intellettuali in generale, ma una critica ad arte delle trasformazioni in atto del ceto intellettuale egemone di quegli anni, in forza dei quali la sinistra è stata del tutto disastrata, riciclata e trascesa in un nuovo fronte ideologico al servizio del liberismo. Non voglio dire che tutti quelli del '68 negli anni 80 hanno cambiato casacca. Delusi tanti, e anche tanti che seppur in modo diverso hanno perseverato nel loro credo, ristrutturandolo per le nuove e imprevedibili sfide. Ma non tutti, e questi non tutti, esaminati nel film,  in quegli anni non ancora indefinibili, ambivalenti forse anche a se stessi, e ancora silenti, hanno finito per primeggiare, diventano poi una moda per le nuove generazioni di fine Novececento e inizi Duemila. Forse le attuali generazioni, i giovani d'oggi, si stanno svegliando, perchè il declino è diventato una crisi, e la crisi difficilmente assopisce. Almeno lo si spera. 

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