il film, ambientato in un medioevo senza tempo, ricorda un po' Aspromonte - La terra degli ultimi, i più poveri dei poveri lasciano le loro terre in montagna per andare a fare i poveri semplici da un'altra parte.
Agostino, moglie e figlio non abbandonano la loro casa sotto il monte, che fa un'ombra perenne.
e allora, dopo una discesa ai sottopiani della miseria Avostino decide di combattere con la natura, una lotta pericolosa e senza quartiere.
Amir Naderi sa cos'è il Cinema, abbiate fede.
buona visione - Ismaele
QUI il film completo,
in italiano
…È la vita stessa dell’uomo che non si ferma e sa
combattere, sempre e comunque, anche se sa che è una fatica, la sua, senza
speranza. La montagna contro cui combatte Agostino rappresenta il muro che
continuamente la vita ci pone davanti, talvolta insormontabile (come il monte
del film), talvolta solo di carta. Ma rappresenta la vita stessa, e il
protagonista combatte sempre e comunque, anche se sa che la sua fatica è senza
speranza. Resta, come a tutti, la soddisfazione e l’orgoglio di aver tentato.
Poco vale il risultato se si sa che si è fatto tutto per raggiungere lo scopo…
…His challenge of the mountain that
blocks out the sun and rips life away from his house and his family is a
necessary choice. As well as a crazy one. Agostino starts titanically pounding
the huge mountain, dark and threatening, in which sacred verticality blends
with the heaviness of the thing, a place where heaven meets earth, the home of
the gods. But if the Pueblo Indians interviewed by Carl Gustav
Jung are right when they say that “all life comes from the mountains”,
then Agostino is not challenging God, but rather himself, in an angry surrender
of self-awareness.
Amir Naderi uses no dialogue and
reduces the narration to a minimum to focus on the visual strength of the film
in its symbolism, giving the sound design (which he was responsible for along
with the screenplay and the editing) a preponderant role, through the deep and
incessant trumpeting coming from the bowels of the mountain…
…Questa meravigliosa ultima mezz’ora di Monte è la sfida definitiva
del corridore ingabbiato dallo schermo, la
vittoria definitiva dell’acqua-vento-sabbia insinuati
ormai in ogni singolo cut di montaggio, senza più una lingua o un
linguaggio (ben prima l’ABC), senza più numeri da interpretare (a Manhattan) o tesori da ritrovare (a Vegas). L’immagine rinuncia a
ogni “significato” rigenerandosi in un gesto filmico fine a se
stesso e immensamente umano, ossia il gesto ciclico di Agostino:
ossessivo, rabbioso, onesto, commovente, sincero e sublime nella sua
inutilità. Proprio come il cinema. Ecco allora: Naderi scala per
l’ennesima volta la sua privata
montagna di (r)esistenza, arrivando a liberare la luce di un
cinema divenuto definitivamente nostro.
…Monte diventa così l’emblema della sfida del singolo contro l’eternità
delle leggi considerate naturali. Ad
Agostino si affianca prima la moglie e poi anche il figliol prodigo, tornato a
dar man forte ai genitori dopo essere sfuggito a una cattura da parte delle
guardie. Loro tre, di nuovo insieme ma senza più alcun istinto alla vita normale. Non c’è più casa, non c’è praticamente più
cibo, non esiste giaciglio. C’è solo quel martello che si alza per abbattersi
sul monte, un colpo dopo l’altro, incessantemente, giorno dopo giorno e anno
dopo anno. Lo scopo della vita di Agostino diventa la lotta, null’altro. La
lotta per la rivendicazione di un’esistenza a cui è negato perfino il più elementare
dei diritti: la luce del sole.
Naderi la riprende a sua volta ossessionato da quei gesti, da quei singulti, da quel sudore e da quella fatica. Riprende questa lotta come se fosse in qualche modo anche la sua: la lotta per la rivendicazione di un cinema mai “di Stato”, ma di popolo, di terra. Un cinema che ha radici ovunque, perché la radice è nello sguardo, e nel sentimento. Se Cut si concludeva con i “100 film migliori della storia del cinema”, Monte si schianta senza paura contro la parete crepata di una vetta crudele e immobile. Forse eterna, ma friabile, intaccabile. Riscattando le già citate debolezze delle prime sequenze – ma la regia anche in quel caso mantiene un nitore accecante – Monte si innalza in un crescendo continuo tra le visioni più emozionanti della settantatreesima edizione della Mostra, dove avrebbe meritato di poter concorrere per il Leone d’Oro. Ma si sa, gli apolidi sono sempre stati trattati con sufficienza, quando non con timore e disprezzo; non hanno mai pace, né riparo. Avanti allora, a mani nude, contro le montagne!
Naderi la riprende a sua volta ossessionato da quei gesti, da quei singulti, da quel sudore e da quella fatica. Riprende questa lotta come se fosse in qualche modo anche la sua: la lotta per la rivendicazione di un cinema mai “di Stato”, ma di popolo, di terra. Un cinema che ha radici ovunque, perché la radice è nello sguardo, e nel sentimento. Se Cut si concludeva con i “100 film migliori della storia del cinema”, Monte si schianta senza paura contro la parete crepata di una vetta crudele e immobile. Forse eterna, ma friabile, intaccabile. Riscattando le già citate debolezze delle prime sequenze – ma la regia anche in quel caso mantiene un nitore accecante – Monte si innalza in un crescendo continuo tra le visioni più emozionanti della settantatreesima edizione della Mostra, dove avrebbe meritato di poter concorrere per il Leone d’Oro. Ma si sa, gli apolidi sono sempre stati trattati con sufficienza, quando non con timore e disprezzo; non hanno mai pace, né riparo. Avanti allora, a mani nude, contro le montagne!
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